di MARTINA MORETTI
29 Novembre 2017
Lo scorso 20 novembre, presso l’Aula del Consiglio dell’Università di Roma Tre, organizzato dalla cattedra di diritto amministrativo del Professor Napolitano, si è tenuto un convegno denominato “La regolazione efficiente dei contratti pubblici”, il cui obiettivo è stato quello di delineare un primo bilancio dell’attività dell’Anac, quale autorità di regolazione e vigilanza sui contratti pubblici, in rappresentanza della quale era presente il Presidente della stessa Autorità, Raffaele Cantone. A seguito degli interventi dei professori Napolitano, Zoppini, Decarolis, Torchia, Chiti, Clarich, Auletta, che hanno analizzato allo stesso tempo problematiche, aspetti innovativi e vantaggi della disciplina, il presente contributo si pone il problema di analizzare uno degli argomenti peculiari della materia, ovvero la creazione di un’Autorità dotata insieme di più funzioni e poteri eterogenei, strumentali e a volte in contrasto tra loro, quali quelli di vigilare, regolare, punire e giudicare.
Uno dei temi, su cui il dibattito si è incentrato, riguarda la configurazione del mercato dei contratti pubblici come mercato soggetto a regolazione. In tale mercato, l’Autorità nazionale anticorruzione è soggetto titolare delle funzioni di regolazione così come interpretato dal Consiglio di Stato nel parere n. 855/2016. I concetti di Stato e mercato sono spesso contrapposti: «Ogni qual volta si afferma lo Stato con il suo regime pubblicistico, corrispondentemente si tende a registrare la ritirata del mercato con le proprie regole di libertà. E viceversa».
Non sempre è possibile però delineare una netta linea di demarcazione tra i due concetti, specificare gli ambiti di appartenenza dell’uno e dell’altro e comprendere le reciproche sfere di influenza. Lo stesso Stato potrebbe essere configurato come mercato o come insieme di mercati, specie quando interviene in economia come portatore di “domanda economica”. Il mercato dei contratti pubblici viene ad essere composto da attori chiamati ad operare in un quadro giuridico di riferimento molto articolato e dettagliato, capace di coinvolgere interessi pubblici e privati, assorbendo denaro in ingenti quantità (si pensi che gli appalti pubblici in Italia ammontano annualmente ad oltre 100 miliardi di euro). Tutto ciò giustifica l’interesse delle istituzioni pubbliche e delle imprese circa la regolazione della materia.
Ma l’identificazione dell’oggetto della regolazione con il “mercato dei contratti pubblici”, fa sì che esso possa venire a configurarsi come altri mercati soggetti a potere di regolazione di altre autorità indipendenti? Se la risposta fosse affermativa apparirebbero subito forti differenze rispetto agli altri mercati sottoposti a regolamentazione indipendente.
La prima riguarda i destinatari della regolazione: nel settore dei contratti pubblici le regole e i controlli sono rivolte ad amministrazioni pubbliche, nella loro qualità di stazioni appaltanti, e non a soggetti privati. In riferimento agli altri mercati (ad esempio quelli delle comunicazioni elettroniche o quelli finanziari), le autorità indipendenti operano per garantire la tutela degli utenti attraverso il rispetto della concorrenza, in modo da assicurare un’indipendenza dall’indirizzo governativo «Perché l’autorità politica potrebbe essere più incline a scegliere i giocatori, invece che far rispettare le regole del gioco» , inoltre nel nostro ordinamento la funzione di regolazione delle autorità amministrative indipendenti si presenta come «Sostitutiva di un intervento pubblico più penetrante ed intrusivo: lo Stato da imprenditore si trasforma in Stato regolatore». Nel settore degli appalti pubblici, le regole sono rivolte invece a pubblici soggetti che, allo stesso tempo, vengono vigilati e controllati attraverso l’esercizio dei poteri dell’Anac.
La seconda differenza, collegata a quanto precedentemente osservato, riguarda il fatto che, mentre le altre autorità di regolazione sono state introdotte nell’ordinamento in seguito a normative europee, mentre l’Anac non trova fondamento in nessuna direttiva comunitaria, tanto che nel resto dei Paesi dell’Unione Europea manca un’autorità di regolazione del mercato dei contratti pubblici.
È proprio sulla base dell’influenza delle direttive europee che si possono poi operare altre considerazioni. La disciplina della contabilità degli anni ’30 costituisce la situazione originaria da cui si è partiti, essa aveva solo un interesse: curare l’efficienza e la corretta gestione del denaro pubblico. A questo interesse dominante, nel tempo, si andò affiancando un altro scopo, per così dire strumentale, che pian piano ha ampliato la gamma di interessi curati dalle stazioni appaltanti e che si spinse ben al di là dell’idea iniziale: quello di evitare i danni causati dalla corruzione. La politica degli appalti divenne così uno strumento per perseguire politiche pubbliche che superano i confini delle singole gare di appalto.
La configurazione di un’Autorità unica propria dell’esperienza italiana, caratterizzata dalla concentrazione del duplice ruolo di Autorità di vigilanza e autorità di prevenzione, in cui vengono regolate allo stesso tempo ambedue le condotte dei soggetti che partecipano alla pattuizione economica, è confermata dalla legge delega. Quest’ultima, disponendo l’ampliamento delle funzioni di promozione dell’efficienza e di vigilanza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, ricomprende «anche poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio, nonché di adozione di atti di indirizzo quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante» (art. 1 comma 1, lettera t).
In quale situazione ci troviamo? Qual è la finalità e la mission della nuova Autorità? La regolazione del mercato dei contratti deve essere interamente ispirata alla prevenzione, alla repressione, alla lotta alla corruzione o può essere settorializzata?
Il Presidente Cantone ha provato a dare una soluzione partendo dall’analisi del rapporto OCSE del 2016, il quale aveva evidenziato che il problema principale, che riguarda il sistema degli appalti, è la corruzione. Ha quindi poi affermato che, combattere la corruzione è il fine necessario ad evitare distorsioni della concorrenza, aggiungendo inoltre come «non vi è una preferenza della prevenzione della corruzione rispetto ad altre finalità, ma che forse essa rappresenta la base di tutto».
Sembrerebbe dunque che nell’Anac si sommano due missioni centrali e strumentali tra loro: la vigilanza sui contratti pubblici che è anche funzionale al perseguimento di finalità di anticorruzione. Forse l’eterogeneità delle funzioni attribuite dalla legge all’Autorità nazionale anticorruzione dipende da molteplici esigenze: quella di innovare l’autorità di vigilanza, confermando i poteri precedentemente previsti dal Codice del 2006 e attribuiti all’autorità dell’epoca, ma rafforzandoli e ampliandoli; quella di rafforzare i controlli, gli interventi e le sanzioni in una materia dominata da una diffusa mala gestio; quella di rispondere a recenti casi comprovanti il dilagante fenomeno della corruzione negli appalti pubblici (il riferimento è alla stagione che la storia giudiziaria italiana ha definito “Tangentopoli”).
Tutto ciò ha scaricato sull’Anac un compito e delle responsabilità enormi: attribuire in capo all’Autorità poteri regolatori è sembrata essere però l’unica soluzione compatibile, considerando soprattutto il sistema delle fonti italiano e il dettato della legge delega. Proprio quest’ultima infatti ha previsto la possibilità di adottare strumenti di regolazione flessibile, ovvero linee guida, dotate di forza vincolante. Secondo gran parte della dottrina, tale efficacia vincolante è stata conferita in quanto le linee guida possiedono la forza di veri e propri regolamenti aventi natura normativa, dato che esse si sostituiscono nelle funzioni del previgente regolamento attuativo dell’abrogato Codice dei contratti.
La critica che, tuttavia, è stata avanzata è quella di non ravvisare l’esigenza di affidare ad un’Autorità amministrativa indipendente la regolazione giuridica del mercato dei contratti pubblici. È stato poi riconosciuto il fatto che, il mercato dei contratti pubblici, non possiede alcun profilo tecnico e non può essere considerato settoriale, e che, di conseguenza, non sono giustificate le esigenze di una regolazione indipendente dall’organo esecutivo. Infatti, sempre secondo tale interpretazione, il carattere non settoriale del mercato dei contratti pubblici, attribuisce in capo all’Anac profili atipici e anomali. L’introduzione delle linee guida potrebbe comportare uno sconvolgimento dell’assetto costituzionale impedendone un preciso collocamento nel sistema delle fonti, considerando l’inquadramento delle linee guida come una forzatura interpretativa, permettendo di evitare di riconoscere l’introduzione di una fonte sui generis. Probabilmente solo l’effettivo esercizio da parte dell’Autorità potrà rendere più chiaro il sistema.
Forse la soluzione che potrebbe rendere il nuovo Codice, e di conseguenza l’intera disciplina dei contratti pubblici, un’occasione di modernizzazione del sistema, senza per forza far soccombere un interesse rispetto all’altro, sarebbe quella di intervenire sulla disciplina dei controlli nel settore pubblico, rinnovando la materia e dividendo gli ambiti di prevenzione della corruzione e quello più specifico dei contratti pubblici, anche attraverso l’istituzione di un’autorità di vigilanza economica. In tal modo sarebbe possibile, attraverso strumenti tipici quali le analisi di mercato, valutazioni periodiche, elaborazione di dati, lasciare maggiore spazio di sperimentazione ad una nuova cultura tecnica, integrando le competenze dell’autorità anche attraverso l’ausilio di operatori del campo specifico.