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Trump’s Executive Order against Obamacare: limiti e prospettive

di Margherita Anchini

02/02/2016

Come promesso, il neo-eletto Presidente degli Stati Uniti nel suo primo giorno nell’ufficio presidenziale ha mosso il primo passo verso l’abrogazione di quello che rappresentava il fiore all’occhiello dell’uscente amministrazione Obama. L’Affordable Care Act ha senza dubbio costituito una svolta storica nell’organizzazione del servizio sanitario negli USA, realizzando un proposito inseguito dalle precedenti amministrazioni democratiche da oltre mezzo secolo. Alcuni si sono spinti fino a considerare l’Affordable Care Act come il primo passo verso il riconoscimento di un diritto all’assistenza sanitaria negli Stati Uniti. E in effetti i risvolti in termini di riduzione del numero di uninsured sono innegabili. La legge è stata tanto voluta dai democratici quanto ostacolata dai conservatori, da sempre sostenitori di un mercato sanitario libero da intrusioni statali. In questo senso l’ordine esecutivo recentemente firmato non delude le aspettative e rivolgendosi al Dipartimento della sanità (Health and Human Services) e alle altre agenzie federali, afferma la volontà già espressa in campagna elettorale, di riformare l’impianto legislativo in materia di sanità.

Il processo di orderly transition, come definito dal Vice-Presidente Pence, inizia con un invito alle amministrazioni di prendere ogni misura idonea a minimizzare il carico regolatorio e finanziario connesso all’applicazione dell’Affordable Care Act. Le autorità governative dovranno esercitare “ogni potere e ogni discrezionalità a loro disposizione” per derogare, esentare o anche ritardare l’attuazione delle disposizioni dell’Obamacare che implicano un carico fiscale per lo Stato ovvero un costo, una spesa, una tassa o qualsiasi onere in capo a cittadini, pazienti e operatori del sistema (erogatori e assicuratori).

In buona sintesi l’ordine esecutivo legittima le autorità di enforcement ad essere indulgenti nei confronti di possibili violazioni della normativa.

A fronte del contenuto dell’ordine esecutivo, si possono formulare tre brevi considerazioni.

La prima riguarda l’approccio annunciato dalla neo-insediata presidenza e la sua contrapposizione rispetto all’approccio dell’uscente amministrazione Obama (laddove si avessero ancora dubbi). Tale contrapposizione si ritrova proprio nel contenuto dei rispettivi interventi “inaugurali”. Ci si riferisce in particolare all’executive order firmato all’inizio del mandato dal presidente Obama, nel quale spicca un favor per la regulation to improve public health and welfare. In contrasto con l’intervento del 20 gennaio scorso, dal quale emerge, nei limiti dello strumento con cui si esprime, una profonda propensione per una politica di deregulation.

In secondo luogo, è bene riflettere sulle conseguenze pratiche dell’executive order. Quest’ultimo si qualifica come una direttiva immediatamente esecutiva con la quale il Presidente intende indirizzare le azioni del governo federale. Vale la pena precisare che tale strumento non è attribuito al Presidente dalla Costituzione. Ciò nonostante esso viene ricompreso tra i poteri inerenti alla funzione presidenziale. Inoltre l’executive order ha forza di legge solo ove l’azione presidenziale sia fondata su un potere attribuito dalla Costituzione o delegato dal Congresso. Pertanto, oltre a non poter influire direttamente sulla legge in vigore, l’executive order non può neppure intervenire sull’impianto regolatorio messo a punto in applicazione dell’Affordable Care Act. Ad implementare la legge in tal caso è deputato il Segretario del Dipartimento della Salute, e non già al Presidente.

In buona sostanza l’executive order non produce alcun effetto sulla normativa in vigore ma senz’altro richiama l’attenzione sugli strumenti a disposizione dell’amministrazione Trump per modificare la legge senza ricorrere al Congresso. L’Affordable Care Act è uno statute votato da entrambe le camere del Congresso e dal Presidente. Pertanto al fine di una sua abrogazione, l’amministrazione Trump dovrà ottenere un numero considerevole di voti favorevoli soprattutto al Senato. Ciò potrebbe rivelarsi problematico a fronte dell’annunciato dissenso dell’ala democratica. Tuttavia, molti sostengono come, di fatto, non sia necessario riformare il dettato legislativo al fine di inficiare l’operatività dell’Affordable Care Act. L’intera architettura finanziaria sulla quale la legge si sostiene, potrebbe essere compromessa tramite un intervento di budget reconciliation (aggiustamento del bilancio), adottabile tramite una maggioranza semplice della Camera o del Senato. Già nel 2015, entrambe le camere votarono una legge di bilancio che avrebbe abrogato le tasse che finanziavano i sussidi nonché le sanzioni in caso di violazione dell’individual mandate, e che avrebbe altresì minato i fondi per l’espansione di Medicaid.

Chiaramente il dettato legislativo non sarebbe sostenibile in assenza della macchina finanziaria a sostegno delle misure imposte. Un intervento del genere comporterebbe tuttavia un grave squilibrio nel mercato sanitario, trascinando gli operatori (assicurazioni e ospedali) in una situazione di incertezza circa i benefici a cui aspirare.

Una terza considerazione si concentra sull’invito posto dall’executive order alle autorità federali affinché garantiscano agli Stati maggiore flessibilità al fine di promuovere la libertà nel mercato delle prestazioni sanitarie. Con ciò l’amministrazione non fa altro che riaffermare la piena autonomia degli Stati in materia di sanità. L’approccio riflette quel federalismo che sin dal principio (e ancor più a seguito della pronuncia della Corte Suprema nel caso NFIB v Sebelius) ha costituito il punto debole della riforma Obama. Se l’amministrazione uscente ha lottato fino agli ultimi giorni per convincere gli Stati ad espandere il programma Medicaid, la prima misura adottata dall’amministrazione Trump lascia intendere la chiara intenzione di cavalcare quella discrezionalità statale che ha a lungo compromesso l’accesso alla sanità ai più svantaggiati.

In conclusione, la sopravvivenza delle misure introdotte dall’amministrazione Obama è strettamente connessa allo strumento normativo utilizzato per la loro affermazione. Per una riforma dell’individual mandate (l’obbligo di fornirsi di una copertura assicurativa), ad esempio, sarà necessario un intervento legislativo, trattandosi di una misura contenuta nello statute e difficilmente scalfibile in assenza di un nuovo voto del Senato. Al contrario, misure adottate tramite regulation, come ad esempio i servizi essenziali coperti dalle assicurazioni (cd. essential benefit package), saranno più facilmente emendabili. In generale tutte quelle misure adottate senza l’intervento dell’ala repubblicana saranno oggi facilmente superabili a prescindere dal consenso dei democratici.

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