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SOCIETÀ INDIRETTAMENTE PARTECIPATE E SOCIETÀ MISTE PUBBLICO – PRIVATE: IL CONSIGLIO DI STATO CHIEDE L’INTERVENTO DELLA CGUE

25 maggio 2020

LAVINIA ZANGHI BUFFI

Con delibera consiliare n. 99 del 2018, Roma Capitale ha individuato quale migliore modello operativo per la gestione del servizio scolastico integrato di sua competenza quello della società mista pubblico – privata di cui all’art. 17 del d.lgs. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, “TUSP”), fissando al 51% la propria partecipazione e al 49% quella del socio privato e stabilendo che a carico di quest’ultimo fosse posto l’intero rischio operativo.

Alla procedura aperta successivamente bandita ha partecipato, tra gli altri, il costituendo raggruppamento di imprese tra Roma Multiservizi S.p.A. e Rekeep S.p.A. (il “RTI”), che ne è stato escluso con determinazione n. 435 del 2019. L’esclusione si fondava sul fatto che Roma Multiservizi S.p.A. è partecipata al 51% da AMA S.p.A., il cui capitale è detenuto per intero da Roma Capitale. Conseguentemente, se il RTI fosse risultato aggiudicatario della gara, Roma Capitale si sarebbe trovata a detenere (in parte direttamente e in parte indirettamente) una partecipazione nella costituenda società mista pari al 73,5%, dunque superiore non solo a quanto previsto dagli atti di gara, ma anche alla percentuale massima di partecipazione pubblica prevista dall’art. 17 del TUSP e fissata al 70%. 

Roma Multiservizi S.p.A. e Rekeep S.p.A. hanno dunque impugnato la deliberazione di esclusione dinanzi al TAR Lazio, il quale, con le sentenze n. 7891 e 7893 del 2019, di identico tenore, ha respinto i ricorsi, ritenendoli infondati.

Le ricorrenti hanno quindi adito il Consiglio di Stato, chiedendo, tra le altre cose, che fosse rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione se il diritto Europeo, e in particolare i  principi a tutela della concorrenza e della libertà economica, ostano ad una normativa interna che non consenta ad una società mista a partecipazione pubblico – privata di partecipare ad una gara a doppio oggetto indetta per l’affidamento di un appalto di servizi per il solo fatto di essere tale società indirettamente partecipata dall’amministrazione aggiudicatrice che indice la gara. 

Nel giudizio di appello così incardinato, la sezione V del Consiglio di Stato ha adottato, l’11 maggio 2020, l’ordinanza n. 2929. 

I Giudici hanno ricordato come il limite del 70% fissato dal TUSP alla partecipazione pubblica al capitale di una società mista pubblico – privata rappresenti il punto oltre il quale l’attività della predetta società altererebbe la concorrenza sul mercato, in quanto da un lato renderebbe il settore di mercato in cui essa opera inappetibile agli occhi di altri operatori economici, consentendo dall’altro al socio privato di limitare eccessivamente (al di sotto della soglia del 30%), il rischio economico della partecipazione all’impresa stessa.

Il problema che si presenta dinanzi al Consiglio di Stato è dunque se ai fini del rispetto delle soglie legali di partecipazione alla costituenda società mista pubblico – privata, si debba fare riferimento alla sola natura giuridica “formale” del socio privato oppure, qualora parte del suo capitale sia detenuto da soggetti pubblici, se debba tenersi conto anche di quest’ultimo fattore.

Prima di prendere una decisione sul punto, tuttavia, il Collegio ritiene di dover adire in via pregiudiziale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nei confronti della quale formula due quesiti:

«1) se sia conforme al diritto eurounitario ed alla corretta interpretazione dei considerando 14 e 32, nonché degli articoli 12 e 18 della Direttiva n. 24/2014/UE e 30 della Direttiva n. 23/2014/UE, anche con riferimento all’art. 107 TFUE, che, ai fini della individuazione del limite minimo del 30% della partecipazione del socio privato ad una costituenda società mista pubblico – privata, limite ritenuto adeguato dal legislatore nazionale in attuazione dei principi eurounitari fissati in materia dalla giurisprudenza comunitaria, debba tenersi conto esclusivamente della composizione formale/cartolare del predetto socio ovvero se l’amministrazione che indice la gara possa – o anzi debba – tener conto della sua partecipazione indiretta nel socio privato concorrente;

2) in caso di soluzione positiva del precedente quesito se sia coerente e conforme con i principi eurounitari, ed in particolare con il principio di concorrenza, proporzionalità e adeguatezza, che l’amministrazione che indice la gara possa escludere dalla gara il socio privato concorrente, la cui effettiva partecipazione alla costituenda società mista pubblico privata, per effetto della accertata partecipazione pubblica diretta o indiretta, sia di fatto inferiore al 30%».

La questione ha delle implicazioni importanti.

Se si volesse privilegiare, nel caso di specie, la parità di trattamento dei concorrenti (al procedimento di scelta del socio privato della costituenda società mista pubblico – privata) ed il principio di non discriminazione, oltre che il più generale principio di libertà dell’iniziativa economica privata, si dovrebbe ritenere rilevante la sola veste giuridica “formale” della società, e dunque il fatto che Roma Multiservizi S.p.A., in quanto società per azioni, è un soggetto privato, indipendentemente dalla effettiva composizione della sua compagine sociale e dalla natura del suo capitale.

Tuttavia, non può trascurarsi un dato sostanziale: se il RTI si aggiudicasse la gara, di fatto, la partecipazione pubblica al capitale della costituenda società sarebbe solo formalmente pari al 51%, ma concretamente ascenderebbe al 73,5%, e correlativamente la partecipazione del socio privato, formalmente del 49%, si attesterebbe al 26,5%. 

Ciò, oltre a violare il dettato dell’art. 17 del TUSP e la lex specialis, potrebbe portare ad una situazione di inefficienza del mercato di riferimento, violando il principio di concorrenza, dal momento che si consentirebbe al socio (formalmente) privato di godere di ingiusti vantaggi, derivanti dalla partecipazione pubblica, che si concreterebbero in una sorta di rendita da posizione. 

Da questo secondo punto di vista, sottolinea il Consiglio di Stato, la determinazione di esclusione dovrebbe ritenersi coerente «con i principi di legalità (sostanziale), imparzialità e buon andamento, predicati dall’art. 97 della Costituzione, e con quelli di efficienza, efficacia, adeguatezza e proporzionalità, in relazione al principio di concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione, propugnati dai principi eurounitari».

La Corte di Giustizia, dunque, si troverà a pronunciarsi sull’alternativa tra un approccio formalistico ed uno invece sostanzialistico alla materia e dovrà valutare quali principi, o meglio quale interpretazione di principi fondamentali quali quelli di non discriminazione e concorrenza, far prevalere nel caso di specie. Certo è che ammettere che nel contesto delle società miste pubblico – private una società, benché partecipata da un’amministrazione pubblica, debba considerarsi puramente e semplicemente un soggetto privato, prescindendo del tutto dal modo in cui la partecipazione pubblica modificherebbe il rapporto tra capitale pubblico e privato nella costituenda società mista, rischia di essere un’affermazione pericolosa che potrebbe portare, quantomeno in alcuni casi, a far venir meno il senso stesso della previsione di un istituto quale quello di cui all’art. 17 del TUSP.

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