Luciano Vitali
18/01/2021
Il 14 Dicembre 2020 la sesta sezione del Consiglio di Stato ha annullato la delibera Consob del 13 Settembre 2017 con la quale l’Autorità aveva qualificato come controllo di fatto il rapporto di VIVENDI in Telecom Italia ai sensi del 2359 c.c. e dell’articolo 93 del d.lgs. 58/1998.
Il Consiglio di Stato ha così accolto l’appello, proposto da VIVENDI E TIM, verso la sentenza del TAR Lazio del 17 Aprile del 2019, annullando la citata delibera della Consob.
Da un’analisi di quest’ultima è possibile individuare taluni elementi significativi su cui si fonda la qualificazione giuridica operata dall’autorità di vigilanza.
La decisione della Consob faceva seguito alla constatazione che VIVENDI, partecipante al capitale di TIM nella misura del 24% dello stesso, aveva nominato la maggioranza dei consiglieri di amministrazione della società italiana, nell’assemblea dei soci del 4 maggio 2017.
Nel giungere alla sua deliberazione, la Consob, partendo dalla nozione civilistica di controllo, ha ritenuto in primis che questa si impernia sul concetto di influenza dominante esercitata da una società in un’altra attraverso la “disponibilità” di diritti di voto in misura tale da avere la maggioranza nelle assemblee ordinarie e, quindi, “la possibilità di scelta della maggioranza, se non della totalità degli amministratori, e la possibilità di generale indirizzo della gestione attraverso l’approvazione annuale del bilancio”.
In secondo luogo, integrandosi tali considerazione con la nuova disciplina del voto di lista la Consob ha ritenuto che tale meccanismo “in una società con la maggioranza del capitale costituita da flottante e in possesso di investitori istituzionali o retail, con un forte distacco tra il socio di maggioranza relativa e l’eventuale secondo azionista con una partecipazione rilevante, permetta di affermare con ragionevole certezza che, il socio che dispone della partecipazione di maggioranza relativa, riesca ad ottenere voti sufficienti per nominare la maggioranza degli amministratori e, quindi, conseguire il risultato che caratterizza tipicamente l’esercizio di un’influenza dominante ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 2), c.c”.
A sostegno della deliberazione dell’Autorità, è intervenuto un ulteriore evento rilevante: la società Vivendi in persona del dott. de Puyfontaine, Presidente di TIM nonché Amministratore Delegato della stessa Vivendi, ha dichiarato nel corso di un CdA di TIM, in data 27 Luglio 2017, di esercitare su quest’ultima attività di direzione e coordinamento. A seguito di una richiesta della Consob inoltrata tramite l’AMF (autorità di vigilanza francese sui mercati finanziari), Vivendi ha reso noto al mercato di non esercitare il controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. e dell’art. 93 del TUF su TIM. Al riguardo, la stessa Consob ha ritenuto, in sintesi, che non sia possibile esercitare un’attività di direzione e coordinamento su una società partecipata senza disporre del controllo ex art. 2359 c.c. o del controllo rilevante ai fini del consolidamento di bilancio (fattispecie che, ai sensi dell’art. 2497-sexies c.c.17, costituiscono presunzioni relative di direzione e coordinamento, c.d. gruppo verticale) a meno che non ci siano accordi contrattuali o clausole statutarie che impongano il coordinamento delle due imprese (c.d. gruppo orizzontale ex art. 2497- septies c.c., in cui, a ben vedere, gli strumenti per realizzare direzione e coordinamento coincidono con quelli previsti dall’art. 93, comma 1, lett. a), del TUF. Nel caso di specie non essendo stati ravvisati né accordi contrattuali né clausole statutarie che vincolano TIM alle direttive e al coordinamento con Vivendi, pertanto, l’autorità è giunta al punto che non ci si poteva non trovare in presenza della fattispecie della direzione e coordinamento in forza del controllo.
Prima di passare alla sentenza del Consiglio di Stato, per comprendere al meglio l’approdo al quale è giunto il giudice dell’appello è necessario analizzare in particolare i primi due motivi di appello proposti da VIVENDI e TIM che il TAR aveva respinto e che invece il Consiglio di Stato ha accolto, riformando la sentenza del giudice di prime cure.
Con il primo motivo si lamentava la violazione del principio di tipicità nell’utilizzo dei poteri della Consob, in particolare in riferimento all’esercizio di attribuzione della qualificazione giuridica del rapporto tra VIVENDI e TIM in tema di controllo di fatto, i quali avrebbero esorbitato dall’oggetto della verifica in ordine alla qualificabilità o meno della società come “parte correlata”. Con il secondo motivo, invece, dinanzi al TAR era rilevata la “violazione delle norme che disciplinano la partecipazione al procedimento amministrativo”, giacché, come afferma il ricorrente, qualora la comunicazione impugnata fosse riconducibile al perimetro delle attribuzioni proprie della Consob, l’azione ammnistrativa contestata avrebbe dovuto essere esercitata mediante una procedimentalizzazione rafforzata, venendo in rilievo una società quotata in Francia “con interlocuzione necessaria attraverso l’autorità francese (AMF), in virtù dell’Accordo amministrativo di cooperazione sottoscritto con detta autorità dalla Consob”.
I motivi dei ricorrenti, venivano entrambi respinti dal TAR in data 17 Aprile 2019. In riferimento al primo motivo il TAR, esaminando il combinato disposto degli articoli 114 co.5, 115 e 120 TUF, ha ritenuto che “quando l’ordinamento attribuisce alla Consob un determinato potere di verifica sul corretto adempimento degli obblighi di trasparenza a tutela del mercato” come avviene secondo il giudice in questo caso, “le attribuisce un corrispondente dovere di accertamento, e quindi un potere ai sensi e per gli effetti dell’art. 91 TUF nell’ambito della funzione di vigilanza sul mercato mobiliare a cui è preposta”. In particolare, il TAR ritiene che tale potere, a suo modo di pensare legittimamente esercitato, si risolva in un esercizio di discrezionalità tecnica capace, per l’elevata competenza dell’organo da cui promanano, di creare una “certezza giuridica di tipo notiziale” tale da ingenerare il legittimo affidamento degli operatori e degli investitori ancorchè ci si riferisca a situazioni giuridiche suscettibili di “dissolversi in caso di un difforme accertamento giurisdizionale”. In riferimento al secondo motivo di appello, brevemente, il TAR ritiene che a livello procedimentale, nella fase antecedente alla deliberazione del 13 Settembre 2017 siano stati correttamente coinvolti tutte le parti interessate. In tal senso il giudice fa riferimento alle interlocuzioni avvenute tra l’autorità, sia con l’emittente TIM sia con il socio VIVENDI tramite il coinvolgimento dell’autorità francese AMF, mediante le quali entrambi i soggetti destinatari dell’atto hanno potuto sottoporre alla Consob le argomentazioni inerenti le proprie posizioni, anche producendo pareri legali pro veritate proprio sulla specifica questione del controllo ai sensi degli art. 93 TUF e 2359 c.c.
In sede di appello dinanzi al Consiglio di Stato il percorso argomentativo che ha portato alla riforma, si sofferma dapprima sulla natura del potere esercitato e sulle sue modalità di esercizio, per poi passare ad esaminare l’effettività della partecipazione dei destinatari dell’atto al procedimento, essenziale secondo il giudice al corretto esercizio dei poteri in questione. Per quanto riguarda il potere, già qualificato come appartenente all’ambito della discrezionalità tecnica da parte del TAR, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha ribadito la legittimità di tale potere sottolineando come si tratti di un potere peculiare rispetto alla configurazione tradizionale in quanto “l’esercizio di tale potere assolve anche ad una funzione di etero-composizione di una possibile lite e, quindi, presenta, in parte, caratteristiche analoghe a quelle proprie degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie mentre “con riguardo al profilo generale, si tratta di un potere di regolazione con funzione di accertamento della nozione di controllo societario rilevante anche per gli altri operatori economici del mercato finanziario”. La Sezione ritiene inoltre che “il potere, in sé considerato, rinvenga, comunque, mediante l’applicazione di criteri di interpretazione sistematica, una base legale alla luce della natura del potere esercitato”. Si può in tal senso richiamare la teoria dei poteri impliciti con la puntualizzazione che, nella specie, non si è trattato, di un potere strumentale ad altro potere ma di una funzione di accertamento desumibile dall’intero impianto normativo e dalla stessa funzione generale che il legislatore ha inteso assegnare alla Consob. In particolare la circostanza che si sia trattato di un potere con mera valenza di regolazione dichiarativa induce ad esprimere un giudizio di minore rigore rispetto alla necessità che sussista una adeguata base legale sostanziale. Nondimeno, secondo il Consiglio di Stato, tale base rimane debole, in quanto, nella specie, non risultano espressi né il corollario della nominatività né quello della tipicità. Proprio per questa sua debolezza sostanziale, la sezione rimarca la necessità che “ai fini del giudizio di validità del potere, la Consob debba rafforzare le regole di partecipazione degli operatori economici, ravvisando che in tale contesto, tali regole siano state violate”.
Nella sua sentenza, il Consiglio di Stato, data la qualificazione giuridica del potere, passa a valutare l’adeguato svolgimento delle procedure utilizzate dalla Consob in relazione al potere esercitato. In tal senso, il giudice ha ritenuto che la Consob, come risulta dalla ricostruzione della vicenda amministrativa, ha sempre avuto, come affermato anche dal giudice di prime cure, una interlocuzione con le parti del rapporto giuridico, ma non risulta che tale modus operandi sia da considerarsi adeguato rispetto alla natura del potere esercitato. In tal senso, citando la sentenza: “la natura, al contempo, individuale e generale del potere esercitato avrebbe dovuto imporre il rispetto delle norme relative alla consultazione pubblica e alla partecipazione al procedimento. Con riguardo alla consultazione pubblica, la Consob avrebbe dovuto prevedere il coinvolgimento degli organismi rappresentativi soltanto relativamente agli aspetti di regolazione che attengono alla interpretazione della nozione di controllo societario in quanto essa è idonea, come sottolineato, a fornire indirizzi generali agli operatori economici del mercato finanziario. Con riguardo alla partecipazione procedimentale delle società appellanti, invece, la Consob avrebbe dovuto dare formale avvio a un procedimento specificamente finalizzato all’esercizio della funzione di regolazione dichiarativa del rapporto controverso per assicurare l’esercizio dei diritti di partecipazione. Si tratta di un coinvolgimento delle parti necessario per garantire un contraddittorio procedimentale in funzione collaborativa e difensiva che, nella specie, dovendo colmare le lacune sostanziali della legge, assume valenza ancora più accentuata”. Il Consiglio di Stato aggiunge inoltre che “la non necessità della partecipazione non potrebbe desumersi, come rilevato dal primo giudice, dall’applicazione dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, il quale dispone che «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto esercitato». Si tratta di una norma che ha previsto in generale una “dequotazione della legalità procedimentale” ma, come esposto, in questo caso, si deve realizzare un rafforzamento di tale legalità per compensare la “dequotazione della legalità sostanziale. L’attribuzione, nella fattispecie in esame, di un fondamento costituzionale al diritto di partecipazione impone di interpretare l’art. 21-octies nel senso che esso non possa trovare applicazione”
Alla luce di tali considerazioni il giudice dell’appello ha ritenuto di dover accogliere i motivi proposti dai ricorrenti VIVENDI e TIM, annullando dunque la delibera del 13 Settembre 2017, senza però escludere “che la Consob, titolare, per le ragioni indicate, anche di una funzione di regolazione dichiarativa, possa riesercitare il potere ma nel rispetto delle prescrizioni conformative della presente sentenza, con conseguente necessità di rispettare, secondo le modalità e i limiti indicati, le regole di consultazione e di partecipazione”.