18/9/2023
A cura di Andrea Nardone
Lo scorso 8 settembre si è riunito per la quarta volta dalla sua istituzione il Tavolo tecnico consultivo in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, con la finalità di fare il punto sullo stato di avanzamento dei suoi lavori. Tale Tavolo, composto dai rappresentanti dei ministeri competenti ratione materiae ad operare la riforma delle concessioni balneari di cui alla legge 5 agosto 2022, n. 118, nonché da esponenti delle regioni e delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative del settore, ai sensi dell’art. 10-quater, comma 2, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (c.d. Milleproroghe), conv. con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2023, n. 14, ha il compito di acquisire ed elaborare i dati relativi a tutti i rapporti concessori in essere delle aree demaniali marittime, lacuali e fluviali. Lo scopo è quello di definire i criteri tecnici per la «determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale che di quello disaggregato a livello regionale, e della rilevanza economica transfrontaliera».
Determinare la sussistenza del requisito della «scarsità» delle spiagge italiane, in effetti, consentirebbe di stabilire una volta per tutte se, ai relativi affidamenti, debba trovare applicazione l’art. 12 della direttiva Bolkestein, il quale prevede la necessità del previo svolgimento di una procedura di gara imparziale e trasparente per il rilascio delle autorizzazioni. La questione della scarsità delle spiagge italiane, invero, è l’unica effettivamente lasciata aperta dalla sentenza Promoimpresa-Melis della Corte di Giustizia del 2016: i giudici di Lussemburgo, in quell’occasione, avevano rimesso il relativo accertamento al giudice nazionale.
Dunque, preliminarmente, conviene chiarire quand’è che una risorsa possa definirsi «scarsa». Alfine occorre evidenziare come, secondo le scienze economiche, una risorsa è scarsa quando essa non è disponibile per tutti gli usi con riferimento ai quali è richiesta. Tuttavia, secondo quest’accezione, ogni risorsa finirebbe automaticamente per essere considerata scarsa, per il sol fatto di non essere illimitata, con l’effetto di trasformare quello della «scarsità» in uno «pseudo-criterio», inidoneo a selezionare le autorizzazioni da rilasciare per il tramite di una gara ai sensi dell’art. 12 della direttiva Bolkestein.
Per neutralizzare l’applicazione di tale disposizione, così, le istituzioni italiane e la politica, nelle interlocuzioni con l’Unione Europea, hanno adoperato il leitmotiv dell’abbondanza del patrimonio costiero italiano. Quest’ultimo si protrae per oltre 7412 km nel mar Mediterraneo, presentando in gran parte coste basse e sabbiose; tale considerazione è senz’altro vera, ma è stata oltremodo valorizzata, tradendo un’errata impostazione del problema.
Innanzitutto, in termini assoluti, di quei 7412 km di coste solo un’esigua parte è effettivamente suscettibile di essere affidata in concessione. Devono infatti preventivamente essere escluse le aree che, per conformazione naturale o per ragioni di inquinamento, non risultano concedibili. Inoltre, a mente dell’art. 1, comma 254 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007), alle Regioni è conferito il compito, nella redazione dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo, di «individuare un corretto equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili», potendo riservare una quota di demanio marittimo a spiaggia libera.
In ogni caso, è l’approccio al problema a risultare fallace. Infatti, il criterio della scarsità del bene naturale «spiaggia» non deve essere indagato con esclusivo riferimento ai suoi aspetti quantitativi, ma anche con riguardo ai suoi profili qualitativi. In altre parole, come hanno chiarito le sentenze 9 novembre 2021, n. 17 e n. 18 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la scarsità deve essere intesa in senso relativo, avendo riguardo all’unicità e alla differente vocazione turistica sottesa ad ogni concessione. Significativa, in tal senso, è pure l’indicazione proveniente dalla succitata pronuncia Promoimpresa-Melis della Corte di Giustizia, secondo cui la determinazione della scarsità delle risorse non deve avvenire già su base nazionale, ma su base comunale. In questo modo, la «scarsità» delle risorse viene predicata rispetto ad aree dalle caratteristiche qualitative omogenee.
Alla luce di tali considerazioni, la prospettiva di escludere l’applicabilità della direttiva Bolkestein all’esito di un’operazione di mappatura non appare né decisiva né lungimirante. Piuttosto, rinviare l’adozione della riforma delle concessioni balneari all’adempimento di un’opera di ricognizione dei beni demaniali sembra essere l’ennesimo tassello di una strategia dilatoria perpetuata dal nostro legislatore da ormai quasi quindici anni. In effetti, all’istituzione del nuovo Tavolo tecnico consultivo l’art. 10-quater del d.l. n. 198/2022 ss.mm.ii. ha fatto seguire la previsione di una nuova proroga, fino al 2025, delle concessioni in essere, sorretta proprio dalla giustificazione del nuovo adempimento, quasi a suffragio della serietà degli intenti del Governo.
Nondimeno, quanto sopra non revoca in dubbio l’utilità, ad altri fini, di un’operazione di mappatura dei beni del demanio. Una ricognizione del demanio pubblico, infatti, può avere il pregio di consentire una migliore conoscenza del patrimonio costiero italiano, rappresentando un adempimento pregiudiziale alla tutela ambientale dei suoi beni e consentendone una più approfondita valorizzazione economica.