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RAPPORTO TRA CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI E CODICE DEL TERZO SETTORE – LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL NUOVO ART. 6 IN AMBITO DI AMMINISTRAZIONE CONDIVISA

26/06/2023

A cura di Beatrice Tabacco

Il nuovo codice dei contratti pubblici, decreto legislativo del 31 marzo 2023 n. 36/2023, rappresenta un chiaro passo verso nuove modalità di attuazione dell’azione amministrativa. Nello specifico, l’articolo 6 stabilisce che “In attuazione dei principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale, la pubblica amministrazione può apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici, fondati sulla condivisione della funzione amministrativa gli enti del Terzo settore di cui al codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, sempre che gli stessi contribuiscano al perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato. Non rientrano nel campo di applicazione del presente codice gli istituti disciplinati dal Titolo VII del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017”.

L’apertura del nuovo codice verso i rapporti con il Terzo Settore dirama le tensioni applicative preesistenti tra il vecchio Codice dei contratti pubblici (d.lgs 50/2016) e il Codice del Terzo Settore (d.lgs 117/2017). Le interpretazioni tra i due codici sono state oggetto di grande dibattito: in particolare, nel 2018 il Consiglio di Stato ha espresso il parere n. 2052 su richiesta dell’ANAC, riguardo la normativa applicabile ai contratti pubblici alla luce dei nuovi codici. Il CdS ha concluso che, nel rispetto delle norme europee in tema di concorrenza, alle procedure di affidamento dei servizi sociali previste dal Codice del Terzo settore non sono applicabili le disposizioni del Codice dei contratti pubblici quando prive di carattere selettivo – quindi non tese all’affidamento del servizio, come nel caso dell’accreditamento – o quando sono offerte in forma integralmente gratuita – in questo caso è prevedibile un rimborso spese di natura specifica e non forfettaria. Al contrario, la concorrenza deve essere tutelata se il servizio è svolto in forma onerosa, la quale ricorre anche quando il rimborso spese previsto è di tipo forfettario. Un passaggio fondamentale del parare in questione è quello in cui il Consiglio di Stato specifica che, in caso di ricorso a modalità di affidamento escluse dal Codice dei contratti pubblici, l’Amministrazione affidataria deve puntualmente specificare le motivazioni di tale scelta. Questa posizione del CdS mostra, chiaramente, come sia preferito il ricorso al Codice dei contratti pubblici, nel rispetto delle norme europee sulla concorrenza.

L’orientamento interpretativo è stato modificato nel 2020 quando, con la sentenza numero 131, la Corte Costituzionale ha rivalutato il rapporto tra Codice dei contratti pubblici e Codice del Terzo settore alla luce dell’articolo 118, comma 4, della Costituzione. Secondo la Corte Costituzionale, tramite il principio di sussidiarietà orizzontale il legislatore costituzionale ha inteso “superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini»”.[1] La sentenza evidenzia, quindi, che il legislatore attribuisce priorità al Codice del Terzo settore nel rapporto con il Codice dei contratti pubblici. Nei rapporti con gli enti del Terzo settore gli istituti prioritari sono la co-progettazione e l’accreditamento e, nel caso in cui fosse applicato il Codice dei contratti pubblici, la Pubblica amministrazione dovrebbe motivarne le ragioni. Nelle motivazioni della sentenza è esplicitato che l’articolo 55 del Codice del Terzo settore procedimentalizza il principio di sussidiarietà orizzontale, dà attuazione, quindi, al disposto dell’articolo 118, comma 4, della Costituzione.

Le sollecitazioni della Corte Costituzionale sono state accolte dal nuovo Codice, che all’articolo 6 ribadisce come principio di carattere generale la separazione tra disciplina dei contratti pubblici e gli strumenti individuati dal Codice del Terzo settore. 

Giusta attenzione deve essere dedicata alla prima parte dell’articolo, dove il riconoscimento dei principi di solidarietà sociale e sussidiarietà orizzontale permettono alle amministrazioni locali di attuare con più facilità modelli organizzativi di amministrazione condivisa per il perseguimento di finalità sociali con gli enti del Terzo Settore.

Il successivo articolo 7 ribadisce l’autonomia organizzativa delle pubbliche amministrazioni. Entrambi gli articoli, quindi, delineano la chiara possibilità per le pubbliche amministrazioni di favorire modelli organizzativi di amministrazione condivisa con gli enti del Terzo settore.

L’utilizzo dell’aggettivo “spiccata (valenza sociale)” potrebbe lasciare margine di discrezionalità agli interpreti, ciò nonostante, l’esplicito richiamo dell’amministrazione condivisa permette di fare riferimento ad uno strumento che negli ultimi anni si è solidificata. I modelli organizzativi dell’amministrazione condivisa devono essere applicati nel rispetto dei principi amministrativi del pari trattamento, della trasparenza e del principio del risultato. L’articolo 6 introduce il principio del risultato, il quale viene disciplinato all’articolo 1 del nuovo codice. Il comma 3 delimita l’applicazione di tale principio ai contratti pubblici, escludendolo quindi dall’ambito dell’amministrazione condivisa. Tuttavia, il comma 4 stabilisce che il principio del risultato è il criterio attraverso cui si esercita il potere discrezionale per l’individuazione della regola da applicare ai casi concreti. In questo senso, il principio del risultato opererebbe nell’ambito dell’esercizio creativo dell’autonomia amministrativa per il perseguimento degli interessi sociali.


[1] Corte Costituzionale, motivazioni sentenza n.131 del 2020

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