L’istituto del dialogo competitivo costituisce la risposta del Legislatore europeo alle esigenze di flessibilità operativa delle stazioni appaltanti che si trovino di fronte appalti «particolarmente complessi». A tal proposito, la direttiva 31 marzo 2004/18/CE (art. 1, co.11, lett. c; art. 29), recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (art. 3, co. 39; art. 58), c.d. Codice dei contratti pubblici, ha introdotto una procedura di scelta del contraente congegnata al fine di contemperare, da un lato, la necessità delle stazioni appaltanti di discutere con ciascun candidato tutti gli aspetti dell’appalto per individuare i mezzi idonei al perseguimento dei suoi obiettivi, dall’altro, la tutela della concorrenza tra gli operatori economici (considerando 31 dir. cit.).
La situazione cui il dialogo competitivo deve far fronte vede l’amministrazione nella difficile posizione di dover aggiudicare un appalto, oppure una concessione di lavori, senza essere in possesso delle conoscenze adeguate a definirne gli aspetti tecnico-progettuali; la nozione è contenuta presso l’art. 3, co. 39, d.lgs. 163/2006: «Il dialogo competitivo è una procedura nella quale la stazione appaltante, in caso di appalti particolarmente complessi, avvia un dialogo con i candidati ammessi a tale procedura, al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla base della quale o delle quali i candidati selezionati saranno invitati a presentare le offerte; a tale procedura qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare».
Le necessità della P.A. che l’istituto consente di soddisfare mediante il ricorso al mercato costituiscono altresì i presupposti (non necessariamente cumulativi) di applicabilità dell’istituto stesso e risiedono nel concetto di «particolare complessità» dell’appalto, cioè quella situazione in cui la stazione appaltante: «non è oggettivamente in grado di definire […] i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità o i suoi obiettivi; non è oggettivamente in grado di specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto; […] secondo le circostanze concrete […] non dispone, a causa di fattori oggettivi ad essa non imputabili, di studi in merito alla identificazione e quantificazione dei propri bisogni […]» (art. 58, co.2, d.lgs. cit.).
Benché il recepimento dell’istituto de quo avesse carattere facoltativo, la disciplina europea è stata riprodotta quasi letteralmente dall’art. 58 del Codice dei contratti pubblici, ad indicare la presa di coscienza da parte del nostro Legislatore in merito al fatto che per stimolare l’efficienza del settore è necessario dotare la stazione appaltante di una procedura più flessibile. D’altra parte però, il lungo periodo di sospensione dell’operatività del dialogo competitivo ha mostrato la diffidenza del Legislatore, certamente animata dalle vicende di Tangentopoli, verso l’introduzione di strumenti volti ad ampliare i margini di discrezionalità dell’amministrazione: inizialmente il c.d. decreto milleproroghe, decreto legge 12 maggio 2006 n. 173, conv. con mod. in legge 12 luglio 2006 n. 228, introducendo il comma 1 bis presso l’art. 253 del d.lgs. 163/2006, ha differito l’operatività dell’istituto ai bandi e agli inviti pubblicati successivamente al 1 febbraio 2007; in seguito il c.d. primo decreto correttivo d.lgs. 26 gennaio 2007, n. 6, prorogava tale termine al 1 agosto 2007; infine il c.d. secondo decreto correttivo, d.lgs. 31 luglio 2007, n. 113, ha ulteriormente rinviato l’applicabilità del dialogo competitivo all’entrata in vigore del Regolamento di esecuzione ed attuazione di cui all’art. 5 del Codice, avvenuta con decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, il quale a sua volta prevede una vacatio legis di 180 giorni, salve le ipotesi di affidamento di concessioni di costruzione e gestione, di cui è stata ritenuta l’immediata applicabilità.
Il significato della flessibilità di cui parla il Legislatore europeo risiede nella possibilità di sottrarre un po’ di terreno al campo della rigida regolamentazione, coltivato con schemi procedimentali predeterminati, per aggiungerlo a quello della attività amministrativa, in modo da conferire alla stazione appaltante la possibilità di muoversi al meglio per cogliere le opportunità offerte dal mercato. Per la realizzazione dell’interesse pubblico, il dialogo competitivo conferisce dunque all’amministrazione il potere di compiere rilevanti comparazioni tra interessi, e tale discrezionalità, secondo una dottrina (Ricchi), si dividerebbe in strategica e strumentale: la prima concerne i procedimenti di selezione del contraente ed implica una valutazione nel metodo con cui condurre la negoziazione, al fine di polarizzare le scelte all’interesse pubblico in modo da poter effettuare gli aggiustamenti necessari per adeguarsi alle sue possibili variazioni; la discrezionalità strumentale, invece, costituisce un fine tuning di quella strategica, i suoi presupposti sono disciplinati dalla lex specialis e si manifesta tramite atti idonei ad essere impugnati (ad esempio quelli di prequalificazione od esclusione dei concorrenti, oppure gli «sbarramenti» della procedura a «fasi successive»). Vediamo quindi quali sono le ragioni economiche e le articolazioni in cui si strutturano i rilevanti margini di discrezionalità che connotano il dialogo competitivo.
Con riferimento al primo aspetto, stante la divergenza di interessi tra la pubblica amministrazione, che tende alla realizzazione dell’interesse pubblico e al contenimento della spesa, e il candidato, il cui obiettivo è la massimizzazione del profitto, la fase di selezione del contraente può essere ricondotta al modello economico principale-agente, secondo il quale la stazione appaltante, a causa della «particolare complessità» dell’appalto così come definita dal Codice dei contratti, riveste la qualifica di «principale» e perciò subisce l’asimmetria informativa riguardo l’oggetto del contratto da affidare (questo gap è tanto più marcato quanto maggiore è la «complessità» dell’appalto stesso). Tra le possibili cause configurabili vi sono ad esempio la scarsa preparazione professionale dei funzionari pubblici o la mancanza di possibilità di accesso alle informazioni di cui dispone il contraente privato. Siffatta asimmetria informativa può causare un fallimento del mercato, ossia una situazione che vede una inefficiente allocazione delle risorse (della P.A.) per cui sarebbe ancora possibile raggiungere il c.d. ottimo paretiano.
In tale contesto se la P.A. selezionasse i contraenti e le relative offerte sulla base del criterio del prezzo più basso, spinta dalla incompletezza dell’informazione circa le qualità progettuali presentate dai concorrenti e dall’impossibilità di valutare le altre informazioni qualitative sul bene da acquisire, incorrerebbe nel rischio di effettuare una cattiva scelta, incentivando l’intervento di quegli offerenti che visto il basso prezzo sono disposti ad offrire solo beni di qualità scadente. Questa dinamica rispecchia il meccanismo della selezione avversa (detto anche «fenomeno ad informazione nascosta»), per il quale i soggetti che meno possiedono le qualità richieste hanno maggiori probabilità di partecipare allo scambio, e si verifica concretamente quando l’amministrazione non è in grado di controllare il tipo o la qualità dei beni offerti. Siccome questi ultimi sono di tipo c.d. differenziato, per non rendere il prezzo l’unico parametro di valutazione, la legge (art. 58, co. 4, d.lgs. cit.) dispone che il solo criterio utilizzabile per l’aggiudicazione sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Se poi, per ipotesi, l’amministrazione ricorresse alle procedure aperta o ristretta (a seconda che le caratteristiche del bene richiedano delle capacità produttive largamente disponibili o meno), si priverebbe della preziosa fonte informativa costituita dal confronto concorrenziale delle soluzioni avanzate dai candidati per delineare la soluzione che maggiormente è in grado di soddisfare le sue necessità. Quindi le ragioni economiche della discrezionalità, che permea il dialogo competitivo, attengono all’individuazione di un istituto dotato di sufficiente flessibilità in grado di dialogare con il mercato al fine di superare gli ostacoli della selezione avversa e consentire dunque la definizione di una soluzione idonea a soddisfare le necessità dell’amministrazione, che realizzi la migliore (se non l’ottima) allocazione concretamente possibile delle risorse.
Per quanto riguarda l’analisi delle articolazioni di cui si compone la discrezionalità, l’iter tracciato dalla legge prende avvio con la scelta, da parte della stazione appaltante, se ricorrere o meno al dialogo competitivo; essa, tuttavia, può applicare questo sistema di selezione del contraente soltanto ove ritenga che la procedura aperta o ristretta non permettano l’aggiudicazione dell’appalto. Tale disposizione da un lato è indice della consapevolezza del Legislatore che, nonostante le sue caratteristiche di flessibilità, il dialogo competitivo non è la procedura sempre ottimale, dall’altro rivela l’intenzione di renderlo applicabile soltanto in via residuale, mostrando una chiara preferenza per l’utilizzo di rigidi schemi predeterminati (e collaudati) con cui tutelare i principi cardine dell’evidenza pubblica. In questo senso, l’amministrazione deve assolvere l’onere di motivare specificamente, nella determinazione a contrarre, circa la sussistenza dei presupposti di «particolare complessità» dell’appalto.
Alla necessità di far fronte alla complessità dell’opera risponde un altro istituto, applicabile al dialogo competitivo, che trova collocazione presso l’art. 62 d.lgs. cit., la c.d. forcella: questa consente alla stazione appaltante di limitare il numero di candidati idonei che inviterà a partecipare al dialogo e siano stati indicati nel bando i criteri oggettivi e non discriminatori che verranno applicati, il numero minimo dei candidati (comunque non inferiore a sei) che saranno invitati ed eventualmente il numero massimo. La possibilità per la P.A. di limitare nel minimo e/o nel massimo il numero dei candidati, se da un lato costituisce uno strumento in grado di consentirle una modulazione del livello di concorrenza necessaria alla definizione di soluzioni ottimali, dall’altro presta il fianco ad occasioni di contenzioso, a causa della immediata lesività dell’atto.
Ad una ratio differente, invece, fa riferimento la facoltà per l’amministrazione di prevedere che la procedura si svolga «in fasi successive»: in tal modo è possibile ridurre il numero delle soluzioni da discutere nella fase di dialogo, risparmiando così in termini di tempo e costi, favorendo una gestione procedimentale efficiente.
La fase di dialogo in senso stretto tra l’amministrazione e i candidati rappresenta il nucleo del procedimento, l’aspetto di maggiore innovatività apportata alla materia dal Legislatore europeo. Infatti, i commi 6-10, art. 58 del d.lgs. cit. attribuiscono all’amministrazione un ampio spazio di manovra, in grado di consentirle di stabilire le modalità con cui condurre il dialogo per la individuazione e definizione dei mezzi più idonei a raggiungere i suoi obiettivi entro i limiti stabiliti a garanzia della concorrenza. A tal proposito, si evidenzia il contrasto di opinioni in dottrina sviluppatosi sul disposto del co. 8, art. cit., il quale, nel prevedere il divieto per la P.A. di rivelare agli altri partecipanti le soluzioni proposte e le altre informazioni riservate comunicate dal candidato partecipante al dialogo senza l’accordo di quest’ultimo, implica una valutazione sul quantum di discrezionalità di cui può disporre l’amministrazione nella fase di dialogo. Una posizione (Fidone), aderente al tenore letterale della norma, ritiene che il legislatore abbia posto una «muraglia cinese» tra le proposte presentate, pertanto non confrontabili e quindi ciascuno dei candidati sarebbe «monopolista della propria proposta». Questo modello «chinese walls» da un lato favorisce una maggiore partecipazione alla gara con proposte innovative in ragione della garanzia di riservatezza, dall’altro presenta un basso livello di stimolo della concorrenza durante la fase del dialogo a causa della impossibilità per i concorrenti di migliorare le soluzioni degli altri.
Un’altra dottrina (Carrozza-Fracchia) ritiene invece che, interpretando la disposizione alla luce del canone di ragionevolezza e del disposto che consente i chiarimenti, le precisazioni ed i perfezionamenti delle offerte, l’amministrazione avrebbe il potere di «fondere» più soluzioni progettuali, individuando un unico progetto che sarà eseguito da colui che risulterà vincitore nella fase di aggiudicazione. Tale lettura consente l’applicazione di altri modelli individuati dalla dottrina (Ricchi), oltre a quello c.d. chinese walls sopra illustrato, con i quali l’amministrazione può condurre il dialogo, facendo riferimento al modello «Promoter» ed a quello di tipo «Patchwork».
Mediante il primo, la stazione appaltante seleziona la proposta di un candidato e la mette a base di gara nella fase finale dell’aggiudicazione, valutando le offerte pervenute con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il vantaggio di tale modello è di generare una forte concorrenza che consente di migliorare l’offerta selezionata ma ha lo svantaggio di disincentivare la partecipazione di coloro che, pur avendo un’idea innovativa, temono di non vedersi aggiudicare il contratto. Pertanto andrebbero utilizzati gli incentivi previsti dal Codice al fine di compensare il rischio di tali soggetti e spingerli a partecipare.
Con il modello di tipo «Patchwork», invece, è l’amministrazione stessa ad «assemblare» la proposta da porre a base di gara nella fase finale di aggiudicazione, scegliendo tra quelle più convenienti o innovative. In questo caso gli incentivi dovranno essere congegnati per far fronte alle possibili conseguenze negative del comportamento di c.d. cherry picking, tramite la remunerazione di quei candidati le cui soluzioni siano state selezionate ma che non vedano poi aggiudicatari dell’appalto.
L’amministrazione quindi, qualunque sia il modello con cui intende sviluppare il dialogo (con la precisazione che quelli sopra illustrati costituiscono soltanto alcune delle ipotesi possibili la cui delineazione è rimessa alla sua «fantasia»), dovrebbe avvalersi opportunamente della facoltà concessagli di utilizzare premi o incentivi (co. 17, art. cit.) al fine di correggere i rischi legati alla selezione avversa.
Una volta che il dialogo sia stato dichiarato concluso ed i partecipanti ne siano stati informati, se non si giunge ad un nulla di fatto, la stazione appaltante sollecita la presentazione delle offerte finali (che devono contenere tutti gli elementi richiesti e necessari per l’esecuzione del progetto) sulla base della o delle soluzioni individuate nella fase precedente. Su richiesta dell’amministrazione, è previsto che le offerte possano essere chiarite, precisate e perfezionate, a patto che detto intervento non abbia l’effetto di modificare gli elementi fondamentali dell’offerta stessa o dell’appalto in modo da generare il rischio di falsare la concorrenza o avere un effetto discriminatorio. Questa facoltà, utilizzabile anche successivamente al momento di aggiudicazione finale che può avvenire esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, costituisce una forma del potere discrezionale di fine tuning.
Le articolazioni della discrezionalità qui analizzate rappresentano dunque il flessibile strumentario a disposizione dell’amministrazione per operare al meglio nel mercato al fine di selezionare l’offerta migliore e, per questa via, realizzare l’interesse pubblico; Ciononostante, tale facoltà si presta a possibili degenerazioni patologiche. Le preoccupazioni concernono principalmente il rischio di corruzione e di appalto pilotato, favoriti dall’assenza delle garanzie derivanti dalla partecipazione anonima alla gara. I rischi in questione possono essere ricondotti ad un’altra tipologia di rapporto principale-agente, rispetto alla selezione avversa, ossia l’azzardo morale (c.d. problema di azione nascosta), per cui l’impossibilità per una parte (la collettività amministrata) di controllare il comportamento dell’altra (la P.A.) nello svolgimento del rapporto determina il rischio di comportamenti opportunistici. L’analisi economica illustra come la necessità di maggiori spazi di discrezionalità per far fronte ai rischi di selezione avversa si ponga in una situazione di trade-off con il rischio di corruzione. Alcune possibili ipotesi di soluzione al problema potrebbero essere la garanzia di un’effettiva partecipazione di una molteplicità di concorrenti alla gara, i quali aspirando all’aggiudicazione, si renderebbero controllori gli uni degli altri ed una maggiore incisività del ruolo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, anche sull’attività di certificazione svolta dalle società organismo di attestazione (SOA) sulle imprese.
Minore è, invece, il rischio che si formino cartelli: il coordinamento tra le imprese è reso più difficoltoso dalla molteplicità di criteri di valutazione implicati dal formato di gara in questione, dal rapporto diretto tra impresa e stazione appaltante e dalla scarsa trasparenza del procedimento di aggiudicazione.
BIBLIOGRAFIA:
DOTTRINA:
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F. DECAROLIS – C. GIORGIANTONIO – V. GIOVANNIELLO, L’affidamento dei lavori pubblici in Italia: un’analisi dei meccanismi di selezione del contraente privato, in Questioni di economia e finanza (Occasional papers), Banca d’Italia eurosistema, n.83 dicembre 2010, p. 18-21; 31-35.
G. FIDONE, Dalla rigidità della legge Merloni al recepimento del dialogo competitivo: il difficile equilibrio tra rigore e discrezionalità, Foro amm. T.A.R., 2007, fasc. 12, p. 3971 – 3989.
F. MANGANARO, La corruzione in Italia, Foro amm., 2014, p. 1866.
M. RICCHI, Negoauction, discrezionalità e dialogo competitivo. Una teoria per l’affidamento dei contratti complessi di PPP, Documento discusso alla III Conferenza SIDE (Società Italiana di Diritto ed Economia) tenutasi a Milano, Bocconi il 9-10/11/2007.
LEGISLAZIONE:
-Nazionale:
D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
-Europea:
Direttiva 2004/18/CE 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.
Amedeo Fazzone 25/08/15