di Adriano Zammar
06/11/16
Progresso e tecnologia sono due temi fondamentali nel mondo moderno e gli economisti attribuiscono alla digitalizzazione un ruolo strategico per la crescita economica e la competitività di un paese.
L’informatizzazione assume importanza anche ai fini dell’incremento dei livelli di efficienza e trasparenza della pubblica amministrazione, garantendo risparmi in termini di spese di funzionamento e miglioramenti della qualità dei servizi erogati alla collettività. Per questo motivo la digitalizzazione si colloca tra gli strumenti di riforma del settore pubblico propri del new public management, assumendo particolare rilievo nei processi di revisione della spesa, volti non solo a conseguire risparmi, ma soprattutto a realizzare una progressiva evoluzione della gestione delle risorse pubbliche verso una logica di efficienza e di performance. In questo contesto, potrebbe parlarsi di spending review 2.0, con la quale, da un lato, si eliminano sprechi e duplicazioni dell’agire pubblico e, dall’altro, si semplificano i rapporti tra amministrazioni e cittadini.
L’informatizzazione consente di realizzare risparmi significativi anche attraverso la centralizzazione e la razionalizzazione degli acquisti, in base ai meccanismi dell’e-procurement, che permettono, in genere, di comprare a costi inferiori. Ma anche l’introduzione di sistemi di pagamento online consente alle amministrazioni di risparmiare denaro e di intensificare i controlli, anche al fine di contrastare i fenomeni dell’evasione e della frode fiscale.
Per quanto riguarda l’Italia, è stato stimato che la piena implementazione dell’e-government produrrebbe risparmi per 8 miliardi di euro, incrementando contestualmente la qualità dei servizi offerti e l’efficienza del sistema amministrativo nel suo complesso (il dato di 8 miliardi si riferisce a una ricerca della società Big data Economics web Marketing ed è il dato più basso tra le ricerche effettuate. Altre indagini concludono che la digitalizzazione consentirebbe risparmi per 25-30 miliardi annui. Tuttavia, ho scelto di riportare il dato inferiore per ragioni prudenziali, data la molteplicità di variabili che caratterizzano i processi riformatori, soprattutto nel settore pubblico). I risparmi non riguarderebbero solamente i costi della carta e della stampa, con beneficio, peraltro, anche per l’ambiente, ma anche i costi per il personale, per i locali e quelli derivanti dal ritardo nella gestione delle pratiche.
Tra i settori principali su cui intervenire si segnalano, in particolare, quello della fatturazione elettronica (da cui deriverebbero circa 1,6 miliardi di euro) e quello dell’informatizzazione dei pagamenti, che garantirebbe maggiore tracciabilità delle transazioni, maggiore economicità del sistema e anche maggiore efficacia nel contrasto alla frode e all’evasione fiscale (in Italia, in verità, è già attivo il sistema dei pagamenti elettronici pagoPA).
Inoltre, l’arretratezza italiana in materia di digitalizzazione sembra pesare ben mezzo punto percentuale sulla crescita economica del nostro paese.
Tuttavia, l’informatizzazione del settore amministrativo non è priva di insidie. Per apprezzarne realmente i benefici sarebbe necessario attendere che il sistema si stabilizzasse. Inoltre, l’utilizzo delle tecnologie ICT richiede investimenti, non solo in termini di denaro, per l’aggiornamento dei dispositivi e la sensibilizzazione e l’alfabetizzazione digitale di utenti e funzionari, ma anche in termini di riforme, Infatti, per sfruttare a pieno i vantaggi dell’informatizzazione è necessario procedere a una totale riconsiderazione e razionalizzazione delle strutture e dei processi organizzativi e produttivi, in modo da accrescere l’interoperabilità tra le amministrazioni e orientarne l’attività verso una logica di dematerializzazione, anche per quanto riguarda la fornitura dei servizi pubblici. Non è sufficiente, sotto questo profilo, la mera sovrapposizione di procedure digitali rispetto alle procedure analogiche che attualmente animano il settore amministrativo, richiedendosi, invece, una totale reingegnerizzazione delle modalità operative.
In periodi di ristrettezza finanziaria, che impongono drastici tagli alla spesa pubblica, tuttavia, non tutti i paesi sono disposti a privarsi di ulteriori risorse, sottraendole alle spese correnti per destinarle agli investimenti.
Occorre anche considerare la relativa novità del fenomeno, la quale determina la mancanza di una definizione univoca del concetto di e-government, considerato da alcuni come una fattispecie ibrida, che si pone al centro di diverse discipline, quali quelle informatiche e quelle amministrative.
L’ambiguità del fenomeno sarebbe, secondo alcuni, al centro delle criticità relative ai processi di digitalizzazione. La scarsa chiarezza in materia e la mancanza di un modello unitario porterebbero, infatti, le amministrazioni a concentrarsi più sulle procedure di back-office che su quelle relative ai rapporti con i cittadini e all’erogazione dei servizi, con il rischio di avere amministrazioni digitalizzate solamente per metà. Inoltre, la frammentazione e la differenziazione delle amministrazioni moderne costituirebbero un ostacolo a un approccio unitario in materia; senza contare che il settore pubblico non funziona allo stesso modo di quello privato, trovando maggiori difficoltà a convergere verso il modello ideale e scontando una certa ostilità al cambiamento. Il rischio maggiore è quello di avere un’amministrazione informatizzata per ragioni di consenso e legittimazione, senza una reale adesione all’ideologia evolutiva.
A ogni modo, diversi Stati hanno posto la digitalizzazione al centro di processi di riforma del settore pubblico nel suo complesso. Tra questi, si segnalano, in particolare, la Francia e il Regno Unito.
L’Italia, invece, continua a mostrare un evidente ritardo in materia, presentandosi come un sistema-paese a bassa performance digitale. Non solo le pubbliche amministrazioni, ma anche i cittadini e le imprese si dimostrano poco inclini all’utilizzo delle tecnologie digitali. Con una bassissima propensione all’utilizzo di internet rispetto alla media europea (siamo il venticinquesimo paese nell’Ue a 28), infatti, l’Italia si colloca sistematicamente alle ultime posizioni nelle classifiche dell’Ue e dell’Ocse in materia di e-government.
Le ragioni di tale ritardo sono di carattere sia culturale, sia infrastrutturale. Sotto il primo profilo, l’Italia sconta una scarsa alfabetizzazione digitale, dimostrando di non avere investito a sufficienza nella promozione della cultura dell’informatizzazione e nella divulgazione della conoscenza di quegli strumenti digitali già esistenti. Sotto il secondo profilo, invece, le reti infrastrutturali non mancano, ma si tratta di strutture di base, relative prevalentemente ai rapporti tra pubbliche amministrazioni, piuttosto che a rapporti tra queste e gli utenti. La digitalizzazione, infatti, ha riguardato quasi esclusivamente le procedure interne, sostituendo quelle manuali e cartacee e realizzando una discreta interoperabilità tra strutture amministrative. Un simile processo non sembra, invece, aver riguardato le attività di front-office, relative alle relazioni con l’esterno e alla fornitura di servizi. Ad esempio, si può osservare come molte amministrazioni abbiano propri siti web per la fornitura di informazioni e di modulistica online, ma solo un numero esiguo di queste preveda anche la possibilità di presentare pratiche attraverso tale canale e quasi nessuna consenta di effettuare pagamenti in forma elettronica.
Di particolare rilievo appare anche la diffusione diversificata sul territorio delle pratiche digitali, con un divario marcato tra Nord e Sud che rispecchia i diversi contesti sociali ed economici presenti nel paese (in particolare, Emilia Romagna e Toscana sembrerebbero essere le regioni più virtuose). A tale differenziazione, probabilmente, contribuisce anche l’elevato grado di decentramento delle competenze definito a livello costituzionale. Inoltre, le amministrazioni centrali sembrerebbero essere digitalmente più mature di quelle locali.
L’arretratezza italiana è imputabile principalmente alla scarsa capacità del paese di realizzare riforme organiche, idonee a razionalizzare e riorganizzare l’apparato amministrativo dello Stato nel suo complesso. Una digitalizzazione c’è stata, ma ci si è limitati ad affiancare le procedure informatiche a quelle già esistenti, senza procedere a una reale sostituzione di queste ultime. La parzialità di tale processo, d’altronde, sembra riflettere i limiti della cultura amministrativa del nostro paese, poco incline all’implementazione di processi di modernizzazione improntati alla performance e all’efficienza.
Tuttavia, non si può trascurare il fatto che la situazione finanziaria risultante dalla grave crisi ha reso particolarmente difficile reperire risorse da destinare agli investimenti in settori strategici. Oltre alla scarsità di risorse, anche l’inadeguatezza del personale costituisce un freno all’innovazione.
Per concludere, si può dire che in l’Italia l’e-government costituisce una scelta obbligata se si vuole rilanciare l’economia del paese e acquisire competitività e credibilità agli occhi dei partner europei e internazionali. Tuttavia, è necessario che la digitalizzazione sia posta al centro di un organico processo di riforma dell’intero settore pubblico, come già avvenuto in altri paesi europei. E sembra che il Governo si stia muovendo in questa direzione, da un lato con il progetto di riconduzione di alcuni poteri in capo allo Stato, dall’altro con l’adozione di una Strategia per la crescita digitale 2014-2020, volta a potenziare le reti infrastrutturali, realizzare piattaforme elettroniche e promuovere la cultura digitale. In questo contesto si inserisce anche la recente riforma della pubblica amministrazione (l. 124/2015), la quale promuove l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per garantire a cittadini e imprese l’accesso, in modalità digitale, a dati, documenti e servizi di loro interesse. Inoltre, la stessa legge promuove la semplificazione dell’amministrazione e la riduzione della necessità di accedere fisicamente agli uffici pubblici, incentivando lo sviluppo di pratiche dematerializzate.