28/04/2022
A cura di Matteo Farnese
La disciplina del Golden Power italiano è ancora in evoluzione. Alcune importanti novità registrate nelle scorse settimane segnano un ulteriore sviluppo, non solo per l’adozione del decreto-legge del 21 marzo 2022 n. 21, che ha introdotto significative innovazioni, ma anche per la pubblicazione di tre rilevanti pronunce giurisprudenziali, che evidenziano i primi orientamenti in una materia così complessa, al confine tra diritto e politica. Queste offrono, infatti, precise indicazioni circa l’inquadramento giuridico della disciplina golden power nell’ambito delle categorie concettuali proprie del diritto amministrativo, consentendone di apprezzare le implicazioni operative. Ci si riferisce, in particolare, alle sentenze del Tribunale Amministrativo del Lazio del 14 aprile 2022 n. 4484, 4486 e 4488.
La prima sentenza, n. 4484, riguarda il caso Calvi Holding. In questo caso, la società Calvi Holding S.p.A. era target di un’operazione di acquisto di imprese nel settore siderurgico. Il Governo, con il dPCM del 24 aprile 2021, ha imposto prescrizioni in relazione a tale operazione. Calvi Holding, quindi, ha impugnato tale decreto eccependo l’insussistenza dei presupposti di applicazione della normativa golden power e la carenza dell’istruttoria, in contrasto con le informazioni fornite dalle parti.
Circa un mese dopo l’adozione del dPCM, la società acquirente ha deciso di risolvere i contratti dell’operazione, rinunciando ad essa. Nonostante ciò, Calvi Holding ha continuato a sostenere che all’interno del processo permanesse un interesse al ricorso per due ragioni: (i) l’acquirente continuava a mantenere un concreto interesse al perfezionamento dell’operazione; e (ii) le prescrizioni imposte dal dPCM rappresentavano un ostacolo per future trattative, anche con terze parti.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha osservato che l’esercizio dei poteri speciali di cui al d.l. 21 del 2012 è il prodotto di una istruttoria originata dal caso notificato al Governo e, conseguentemente, il contenuto del dPCM adottato nell’esercizio dei poteri speciali è riferito unicamente all’operazione valutata. Le prescrizioni imposte, quindi, non trovano alcuna applicazione al di fuori dell’operazione notificata. Ne consegue che, a seguito della volontà della società acquirente di non dar corso all’operazione, il ricorrente non ricaverebbe più alcuna utilità dall’annullamento del dPCM impugnato, permanendo un “interesse non attuale e meramente esplorativo” alla definizione del ricorso. Per queste ragioni, il TAR Lazio ha dichiarato il ricorso inammissibile.
Tale ricostruzione suscita delle perplessità in quanto l’impresa acquirente ha risolto il contratto in ragione del provvedimento della Presidenza e nulla esclude che questo possa ostacolare ulteriori trattative. Sembra opinabile, quindi, la configurazione di un interesse meramente esplorativo in capo alla ricorrente. In particolare, il TAR sembra quasi evadere le domande poste dalla società in relazione alla strategicità dei propri assets. Si percepisce ancora di più la necessità dello sviluppo dello strumento della prenotifica, ancora in attesa del decreto attuativo, con cui le società potrebbero avviare un contatto preliminare con il Governo per capire gli orientamenti nei confronti dell’operazione.
La seconda e la terza sentenza, n. 4486 e 4488, attengono al caso Syngenta-Verisem. Questo riguardava l’acquisizione delle società del gruppo Verisem, attivo nel settore delle sementi, da parte di Syngenta, società controllata indirettamente dal governo cinese. Il Governo, con il dPCM del 21 ottobre 2021 n. 3693, ha deciso di imporre il veto sull’operazione nonostante le risultanze dell’istruttoria non facessero intendere un pericolo tale da giustificare la misura adottata.
Le società, sia acquirente che target, hanno impugnato il decreto lamentando: (a) l’ingiustificata assenza della comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis della Legge 241 del 1990; (b) l’assenza dei presupposti di applicazione della normativa golden power; (c) la carenza di motivazione e la difformità del veto rispetto a quanto proposto in fase istruttoria; e (d) la violazione del principio di legalità, con riguardo all’art. 11 del dPCM n. 179 del 2020, che non individua specificatamente gli attivi strategici nel settore agroalimentare.
Il TAR, nel caso di specie, ha ritenuto che, riguardo il punto (a), l’equiparazione tra obbligo di notificare alla Presidenza del Consiglio dei ministri l’operazione e un’istanza di parte che dà avvio a un procedimento amministrativo sia inammissibile. La notifica, a differenza dell’istanza, costituisce un vero e proprio obbligo per la società acquirente, funzionale alla verifica e all’eventuale esercizio dei poteri speciali.
Riguardo il punto (b), il Tribunale afferma che la decisione dello Stato di esercitare o meno i poteri speciali si connota di “amplissima discrezionalità”, in ragione della natura degli interessi tutelati. Le valutazioni sottese alla decisione costituiscono scelte di “alta amministrazione”, come tali sindacabili dal giudice amministrativo nei limiti di una manifesta illogicità. Nel caso di specie, il dPCM impugnato non risulta in contrasto con l’esito dell’istruttoria in quanto non si concentra solamente sull’attività di ricerca sulle sementi, bensì prende in considerazione le competenze nella meccanica e la possibile acquisizione del patrimonio informativo sui fornitori nazionali di meccanica di precisione per l’agricoltura.
Questo punto risulta particolarmente importante per l’enfasi che riserva alla discrezionalità dello Stato e, conseguentemente alla marginalizzazione del ruolo del giudice in caso di manifesta illogicità del provvedimento. È utile ricordare che il decreto di esercizio dei poteri speciali contempera una moltitudine di interessi eterogenei, come quelli giuridici, politici ed economici, rendendo difficoltoso capire quando tale atto possa essere considerato manifestamente illogico e, di conseguenza, azionare il controllo nel merito del giudice amministrativo.
Riguardo il punto (c), il TAR ha analizzato il compito del Gruppo di coordinamento, che raccoglie elementi di valutazione tecnica da sottoporre al Consiglio dei ministri. Quest’ultimo adotta il provvedimento libero da vincoli o, in particolare, da un obbligo di motivazione rafforzata nel caso vengano formulate proposte differenti da quanto deciso. Nel caso di specie, la ragione del veto risiedeva in particolare nell’inutilità di imporre misure meno gravose del divieto dell’operazione, dato che l’effettivo proprietario della società acquirente sarebbe stato il Governo cinese.
Anche questa ricostruzione appare discutibile. Fermo restando che il Consiglio sia libero di adottare la misura più opportuna in relazione all’operazione notificata, ciò non esclude che nel farlo non debba dar conto di quanto emerso nell’istruttoria, la cui proposta finale rappresenta una valutazione della strategicità dell’operazione. In aggiunta, il Tribunale, sottolineando la separazione tra fase istruttoria e fase decisionale, rende ancora più difficile l’individuazione della “manifesta illogicità” che attiverebbe il controllo giurisdizionale.
Riguardo il punto (d), il TAR ha affermato che la tecnica redazionale dell’art. 11 del dPCM 179 del 2020 rappresenta un adeguato compromesso tra la tutela della libertà di impresa e la garanzia della sicurezza nazionale e tiene conto dell’impossibilità di una catalogazione puntuale degli attivi strategici.
In definitiva, la mancanza di una giurisprudenza golden power consolidata è stata sempre uno dei motivi della presenza di un clima di incertezza intorno alla materia. Queste sentenze rappresentano un passo in avanti, soprattutto per la classificazione dei provvedimenti golden power all’interno delle categorie del diritto amministrativo e per i cambiamenti nella definizione di “parte interessata” in pendenza di processo. Le sentenze in esame, però, se da un lato sciolgono dubbi sulla “teoria del diritto” e sulla forma del procedimento, dall’altro lato confermano la grande libertà della Presidenza nella definizione delle operazioni case by case, parlando di atti di alta amministrazione, amplissima discrezionalità e assenza di obbligo di motivazione rafforzata. In questo contesto, ciò che sembra essere trascurato sono le garanzie per le imprese. Le sentenze in esame, con particolare riferimento a quelle riguardanti il caso Syngenta-Verisem, sembrano affrontare questioni complesse offrendo soluzioni discutibili. Non è irragionevole pensare che tali sentenze verranno impugnate di fronte al Consiglio di Stato, che si troverebbe a decidere sul bilanciamento tra discrezionalità e certezza del diritto nella materia “più politica” all’interno dell’universo giuridico in un periodo storico in cui l’incertezza sembra essere l’unica costante.