Federico Spanicciati 5/06/2015
Il nuovo procedimento di pianificazione per gli impianti sportivi e i percorsi della consensualità
Uno dei fenomeni più rilevanti degli ultimi sviluppi della legislazione urbanistica, è dato dal ricorso sempre più diffuso a procedimenti e strumenti di pianificazione urbanistica atipici. Ci si può allora chiedere se la struttura tradizionale della pianificazione urbanistica mantenga ancora centralità o sia ormai da considerarsi superata dalle tante procedure speciali di settore, in modo da dover considerare l’atipicità un nuovo paradigma generale e ordinario.
Tra queste procedure innovative, anche per ciò che riguarda il tradizionale conflitto urbanistico tra proprietà privata e governo pubblico del territorio, vi è quella introdotta dalla disposizioni in materia di costruzione di nuovi stadi o impianti sportivi, contenuta in appena due commi inseriti nella legge di stabilità 2014, l. n. 147/2013. L’introduzione nell’ordinamento di procedure urbanistiche tramite leggi di materia economico-finanziaria, evidenzia come la concezione di governo del territorio si stia trasformando, passando dalla finalità classica di ordinato assetto dei suoli a quella di strumento di gestione e intervento nelle attività produttive, e nello sviluppo economico e sociale nazionale.
Tale legge prevede che per favorire la costruzione o l’ammodernamento di impianti sportivi vengano stabilite nuove forme di finanziamento e nuove procedure amministrative semplificate. Ed è proprio l’iter progettuale previsto da detta legge ad avere contenuti di novità, rispetto agli strumenti urbanistici normali. In capo al soggetto interessato incombe innanzitutto l’obbligo di presentare uno studio di fattibilità, corredato da un piano economico-finanziario e dall’accordo intervenuto con una o più associazioni sportive che utilizzino l’impianto in misura prevalente. Questo studio di fattibilità può prevedere esclusivamente interventi strettamente funzionali alla fruibilità e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa, sempre che tali interventi concorrano, sotto un profilo sociale, occupazionale ed economico, a favorire la valorizzazione dell’ambito territoriale su cui verrà costruito il nuovo impianto sportivo. Presentata tale documentazione, il comune interessato, previa indizione di una conferenza dei servizi istruttoria, e ove questa si esprima favorevolmente, dichiarerà la proposta di pubblico interesse entro il termine di novanta giorni. In seguito all’esito positivo della dichiarazione di pubblico interesse, eventualmente dopo modifiche concordate, potrà essere presentato il progetto definitivo, da approvarsi con conferenza dei servizi decisoria. Il provvedimento di approvazione dovrà essere assunto entro il termine di 120 giorni dalla presentazione dello studio di fattibilità, o 180 se richiesti interventi specifici della Regione, come varianti urbanistiche. Il provvedimento assunto in via definitiva costituisce anche atto sostitutivo di ogni autorizzazione o permesso, comunque denominati, necessari alla realizzazione dell’opera, e questo determina anche la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza.
Va notato che questa disciplina nel momento in cui dispone che il provvedimento definitivo di cui trattasi possa configurarsi anche quale atto sostitutivo di ogni autorizzazione o permesso, inclusa la normale variante urbanistica, incide fortemente sulla possibilità di mutare le previsioni contenute nei piani regolatori.
Infatti, seppure va detto che il provvedimento definitivo scaturisce da una conferenza dei servizi decisoria indetta dalla Regione, e quindi comunque da un controllo locale, è pur sempre chiaro come la procedura tesa a legittimare una eventuale variante urbanistica è favorita proprio da una legge dello Stato. Il legislatore crea un iter che forza il pianificatore locale, e lo fa con strumenti in cui i soggetti privati che generalmente partecipano alle pianificazioni ordinarie, sono esclusi. Infine bisogna sottolineare che il provvedimento legislativo ha previsto anche che, in ipotesi di superamento dei termini stabiliti ex lege, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su istanza formulata dal soggetto proponente, assegnerà al comune interessato un termine di altri trenta giorni per assumere i provvedimenti necessari, e in difetto, lo stesso Presidente potrà sostituirsi al comune, ed adottare entro sessanta giorni, per i soli impianti di maggiore dimensione, i provvedimenti richiesti. A questo punto si potrebbero anche sottolineare le somiglianze tra questo strumento e il project financing, al netto dell’assenza della gara, o il fatto che comunque l’intervento si concluda come una normale variante al PRG. Ciò non per voler smorzare la portata derogatoria o innovativa di questo procedimento, ma per sottolineare proprio come la normativa complessiva si arricchisca di nuovi strumenti che si pongono in coordinamento anomalo o disordinato, con quelli preesistenti.
Il legislatore nazionale assume dunque che il rilancio dell’impiantistica sportiva, e della riqualificazione urbanistica che ne deriva, non possa prescindere dall’intervento di capitali privati. Si ritiene altresì, analizzando la ratio dell’intervento, che tali capitali non potranno affluire nel settore se non in vista di una valutazione che assicuri un equilibrio finanziario tra i costi di realizzazione e di gestione dell’impianto e i proventi attesi, e che questo equilibrio non potrà essere raggiunto con le normali prestazioni connesse al funzionamento dell’impianto. Si dovrà bensì procedere nella direzione di uno sviluppo sinergico della possibili destinazioni d’uso dell’impianto diverse da quella sportive, che privilegino, ad esempio, i servizi o il commercio. E tale soluzione sembra essere talmente palese al legislatore da prescrivere direttamente che lo studio di fattibilità possa prevedere anche altre finalità di intervento purché, come detto, strettamente funzionali alla fruibilità dell’impianto e al raggiungimento complessivo dell’equilibrio economico-finanziario.
Ma perché si dice che la destinazione d’uso dell’impianto sportivo può essere piegata a nuove funzioni, siano esse commerciali o terziarie? Per lo stesso motivo per il quale tale legge è stata perlopiù criticata dai diretti interessati, ovvero le società e associazioni sportive. La legge esclude infatti espressamente la possibilità di usare tale iter per la realizzazione di nuovi complessi residenziali. Qui riemerge lo scontro tra interessi diversi, quello del privato costruttore e quello dell’amministrazione, che pur avvicinandosi non si sovrappongono: il legislatore nazionale ha come fine quello di favorire l’afflusso di capitali privati nel settore degli impianti sportivi, e per farlo è disposto a concedere ai privati condizioni di facilitazione ed incentivo. Ma vuole altresì evitare che detto strumento possa finire per essere esclusivamente un mezzo di speculazione edilizia, in cui ad un intervento già finalizzato ad interessi privati possa sommarsi la creazione non pianificata delle cubature tradizionalmente più redditizie, quelle ad uso abitativo.
Il contenuto di limitazione al privato è rafforzato dal comma 305, successivo a quello analizzato, che prevede che gli interventi del comma precedente, ove possibile, sono realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente a impianti localizzati in aree già edificate. La volontà di limitare il più possibile la capacità speculativa di questo nuovo strumento, diventa, così, dichiarata. Il rischio paventato, e dichiarato dalle stesse grandi società sportive, è che queste limitazioni facciano riemergere un conflitto con il privato che possa frustrare la dimensione consensuale dello strumento, fino a farlo fallire. Ci si domanderà se dunque non sarebbe stato più utile ammettere anche la possibilità di intervento residenziale, anche limitato, o se al contrario il solo intervento direzionale sia da considerarsi un incentivo sufficiente.
Innanzitutto dobbiamo notare che la legge parla di impianti sportivi, e non di stadi. Anzi, esplicitamente rinvia ad alcune categorie di impianti, che per dimensione devono essere considerati impianti medi, e non certo grandi stadi, come invece una lettura banalizzante si limita ad interpretare. Lo stesso fondo di garanzia dell’Istituto di Credito Sportivo, creato proprio in appoggio a questi nuovi interventi, è limitato a soli 45 milioni di euro di valore, cifra evidentemente adatta solo per opere di media grandezza. Sicché fare un’analisi sulle sole strutture di grande dimensione è fuorviante; ma detto questo, per gli impatti urbanistici potenziali, e per la dimensione del conflitto, queste eventualità sono quelle per noi più interessanti.
Ai dubbi sopra posti si potrà rispondere empiricamente con l’unico caso, ad oggi, rintracciabile in Italia di utilizzo in fase avanzata di tale iter semplificato. Parliamo del nuovo stadio di calcio di Roma.
Questa proposta, presentata dalla società sviluppatrice nel maggio 2014, che prospetta l’edificazione di uno stadio ed altri impianti connessi, di proprietà privata, sull’area dell’ex-ippodromo di Tor di Valle, con concessione trentennale alla Associazione Sportiva Roma, ha dei contenuti che possono destare una rilevante preoccupazione. Esporre questa preoccupazione ci permette però di spiegare se e come tale nuova procedura possa comunque incontrare l’adesione del privato, malgrado le limitazioni dette. I caratteri salienti della proposta consistono nell’accompagnamento all’edificazione delle dotazioni sportive, stadio e campi di allenamento, quantificate in circa 49.000 mq, di un cospicua cubatura ad uso direzionale-commerciale, per ulteriori 305.000 mq. L’investimento complessivo di oltre un miliardo di euro, porterà dotazioni infrastrutturali per circa 270 milioni, a cui aggiungersi 50 milioni in contributo finanziario, dei quali 195 milioni sono classificati di interesse generale a rilevanza esterna. Ora è chiaro dove i due interessi si soddisfano: il privato riesce a compensare l’impossibilità di interventi residenziali con la creazione di un centro direzionale di grande dimensione; il pubblico ottiene, oltre al recupero dell’area abbandonata dell’ippodromo, un investimento sul territorio di oltre un miliardi di valore e l’ottenimento di infrastrutture di interesse pubblico, principalmente di mobilità, per quasi 200 milioni di euro, a cui sommarne altri 100 di infrastrutture interne.
Il conflitto paventato in questo strumento, tra interessi insoddisfatti del privato e necessità pubbliche è dunque risolto? Non proprio; infatti non basta il divieto di edificare cubature residenziali a bloccare gli ipotetici fini speculativi, eversivi della normale pianificazione urbanistica. Basta nuovamente citare i numeri: lo stadio della Roma comporta nuove cubature per quasi a 1.113.000 metri cubi. Di questi, solo il 14% saranno di fatto destinati a fini sportivi, per il resto essendo destinati a fini direzionali e commerciali. Ovviamente queste cubature sono tutte in variante al PRG, dato che il piano regolatore 2008 prevedeva che la capacità edificatoria massima dell’area fosse di 112mila metri quadri, da destinare a parco divertimenti, mentre lo studio di fattibilità presentato, e approvato con delibera consiliare, prevede di edificare 345mila metri quadrati.
Ma c’è ancora di più. Si è detto che tale opera porterà circa 320 milioni di euro alle casse comunali, dei quali 195 milioni per opere di interesse pubblico. Eppure è stato notato dall’INU, come le norme tecniche di attuazione del PRG prevedano che il 66% del plusvalore immobiliare generato da una trasformazione debba tornare alla città attraverso infrastrutture pubbliche. Inoltre questi contributi straordinari dovrebbero essere destinati ad opere pubbliche esterne, al servizio della totalità dei cittadini. In questo caso invece, si nota, come le opere previste in realtà servano quasi esclusivamente all’accessibilità dell’impianto stesso, di fatto rappresentando più una convenienza dell’investitore, che non una necessità della collettività, e questo in ipotetico contrasto con gli articoli 13 e 20 delle NTA del PRG. In tal modo parrebbe che non solo il pubblico ottenga meno vantaggi di quanto detto, ma che tale conflitto si superi, ancora una volta, con un escamotage a vantaggio diretto del privato. Di fatto si genera un secondo conflitto, quello tra l’opera stessa e gli altri privati, che potrebbero temere di trovarsi danneggiati, a fronte di un iter che non ne garantisce la partecipazione. E questo prende una dimensione ancora maggiore nel nostro caso: la delibera di dichiarazione di pubblica utilità dell’intervento, che porterà peraltro alla espropriazione di quasi 400.000 mq di suolo, prevede che l’area di Tor di Valle, sempre in variante al PRG, diventi una centralità urbana pianificata, a norma dell’articolo 65 NTA del PRG. Questo vuol dire che si valuta tale intervento come in grado di generare una nuova organizzazione multipolare del territorio metropolitano, attraverso una forte caratterizzazione funzionale e morfotipologica, una concentrazione di funzioni di livello urbano e metropolitano, nonché una stretta connessione con le reti di comunicazione e il contesto locale. Ebbene, ecco come una singola opera diventi un vero e proprio intervento urbanistico di grande scala, in deroga agli altri iter ordinari e ai previsti diritti di partecipazione dei soggetti coinvolti. Infatti l’articolo 15 delle NTA del PRG prevede che per tali entità da pianificate si utilizzi obbligatoriamente il metodo del Progetto urbano, stabilendone anche i contenuti minimi e la procedura, aperta anche agli altri attori urbanistici. Tale procedura prevede infatti si faccia, anche confrontando soluzioni alternative, un’accurata verifica della sostenibilità urbanistica, ambientale, economica e sociale delle iniziative proposte, che devono assicurare altresì elevati livelli di qualità urbana ed ambientale e di partecipazione democratica. Dunque il procedimento ordinario del PRG appare fortemente dissimile dal procedimento semplificato della legge 147/13, il quale però, sfruttando la sua forza derogatoria e la possibilità di introdurre varianti, finisce per imporsi. Come accennato, ad oggi questo iter, a Roma, è arrivato solo alla prima fase, ovvero la deliberazione n. 132/14 di dichiarazione di pubblico interesse della proposta, approvata a dicembre 2014, e che ad oggi si è in attesa della presentazione dei progetti definitivi, da consegnarsi entro il 15 giugno 2015, e del passaggio in conferenza dei servizi decisoria regionale. Non sappiamo come si concluderà questa iniziativa, ma possiamo già analizzare quali siano i contenuti innovativi di queste previsioni, in una loro applicazione concreta e già parzialmente dimostrata empiricamente.
Avendo detto che tale norma è perlopiù orientata, strutturalmente, alla creazione di impianti di piccola e media dimensione, difficilmente monitorabili, ed essendo stata peraltro approvata da pochissimo tempo, non abbiamo dati certi per dire se sarà un fallimento o meno, nelle sue finalità. Ciò che invece abbiamo dimostrato è che il privato può comunque servirsi utilmente di tale procedimento per perseguire i propri interessi, per incidere significativamente sulla pianificazione urbanistica, e dunque per soddisfare di riflesso quegli interessi di rilancio economico e di nuove dotazioni infrastrutturali messi al centro dell’azione pubblica. Ma nel farlo non viene necessariamente meno il conflitto classico tra le parti dell’urbanistica, essendosi traslato agli altri privati coinvolti, ai quali vengono tolti gli strumenti ordinari di partecipazione ed intervento. Potremmo dire che si aprono ulteriori scenari di generalizzazione dell’atipicità, e di introduzione di una consensualità incompleta.
Riferimenti essenziali
- MORLINO, Il nuovo project financing per gli impianti sportivi, in Munus. Rivista giuridica dei servizi pubblici, 3/2013.
- BONETTI,Il diritto del “governo del territorio” in trasformazione. Assetti territoriali e sviluppo economico, Editoriale scientifica, Napoli, 2011.
- INZAGHI Osservatorio legale edilizia ed urbanistica, Cosa dice la nuova legge sugli stadi, reperibile su www.magazine.larchitetto.it
Documento di approfondimento sull’intervento di Tor di Valle, redatto da AA.VV. dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, sezione Lazio, pubblicato sul sito www.lazio.inu.it