di Alessandro Mura
11/03/16
Le soluzioni adottate dai vari Paesi del Mondo in materia di lotta alla corruzione hanno, da circa un ventennio, radici e aspirazioni comuni: l’importante ruolo armonizzante esercitato dalle Organizzazioni Internazionali (ONU e OCSE) e dall’Unione Europea ha contribuito ad uniformare le soluzioni per semplificare la conoscibilità della normativa e limitare il fenomeno di forum shopping da parte delle imprese.
Nonostante la spinta accentratrice è però ancora osservabile una grande varietà di approcci, soprattutto nel campo dell’attività preventiva: se infatti gli obblighi di criminalizzazione di certe condotte (si pensi alla corruzione del pubblico ufficiale straniero, oggetto della Convenzione OCSE del 1997) si impongono sugli ordinamenti nazionali senza lasciare ampi margini di discrezionalità nella trasposizione, la prevenzione è ancora materia in cui gli Stati sovrani godono di libertà, e l’uso che ne fanno varia in base alla cultura giuridica, alle esperienze applicative e alla modernità della normativa da Paese a Paese.
Limitando l’analisi al panorama legislativo offerto dagli Stati europei, emblema di questa eterogeneità sono le soluzioni adottate da Regno Unito e Italia.
1. The United Kingdom’s case
Il Regno Unito, culla del common law, per tradizione scettica allo sviluppo di un droit administratif in senso francese, ha nel 2010 completamente rinnovato il suo sistema di tutela criminale da fenomeni corruttivi pubblici e privati, interni ed internazionali, con un atto che espressamente sostituisce le previgenti fattispecie di common law: il Bribery Act. Al contrario di altri Paesi europei non si è dotato di un corpo normativo di carattere amministrativo orientato alla prevenzione delle occasioni di corruzione. Tutta la disciplina è infatti di carattere penale: le fattispecie, le sanzioni, gli organi preposti a loro vigilanza e enforcement, le responsabilità per omissioni connesse ai modelli preventivi da adottare contro il fenomeno.
Nel 2014, però, il Governo ha percepito la necessità di controllo e coordinamento sulla propria attività nel settore corruzione e ha predisposto l’Inter-Ministerial Group on Anti-Corruption: un ‘comitato inter-ministeriale’ formato da membri dell’esecutivo, da direttori delle forze di polizia (tra cui il direttore del Serious Fraud Office, sezione specializzata nelle indagini su fenomeni corruttivi ed economici), dal Director of Public Prosecutions e da una figura di nuova creazione, l’Anti-Corruption Champion, con incarichi di supervisione, impulso e coordinamento del lavoro del gruppo.
Il modello seguito sembra essere quello del Service Central pour la Prevention de la Corruption (SCPC), attivo in Francia dal 1993, competente nel coordinamento dell’attività governativa, nella raccolta e condivisione di informazioni, nella collaborazione con l’Autorità giudiziaria.
La missione che il Governo del Regno Unito ha attribuito all’’Inter-Ministerial Group on Anti-Corruption emerge dal ‘UK Anti-Corruption Plan’ (ACP), un documento del dicembre 2014 che riassume il programma del Governo nel contrasto alla corruzione: il Comitato ha la missione di supervisionare l’attuazione da parte dell’Esecutivo del Piano, suggerire linee strategiche di intervento e modifiche periodiche da apportare al Piano stesso. Allo scopo di permettere in modo efficace questo controllo il Cabinet Office deve continuamente ‘fare rapporto’ al Group sulle iniziative intraprese. In linea con i principi in tema di trasparenza e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, che il Regno Unito persegue con determinazione e risolutezza, tutti i risultati saranno pubblicati sul sito internet del Governo.
È presto per esprimere giudizi nel merito della effettiva attività svolta:, dato che la struttura è attiva solo dal luglio del 2015; si attende, quindi, un primo Report sul lavoro e, dunque, sull’interpretazione che l’ente ha assunto riguardo le proprie funzioni.
Si può però ‘pronosticare’ che il Group dovrà essere in grado di affrontare due sfide: da un lato, mantenere unità di indirizzo anche al variare dei membri politici del suo organigramma; dall’altro, assumere un ruolo più ampio di quello di un semplice comitato di coordinamento, mostrando di saper interloquire con la società civile e, soprattutto, con società e imprese, in modo da essere una guida nell’attuazione della legislazione non solo per il Governo, ma anche per i destinatari finali delle regole. A questo fine assume importanza centrale l’ultima delle competenze dell’Anti-Corruption Champion, l’assegnazione di “A mandate to engage with external stakeholders, including business and civil society organisations” (ACP, p. 56): il modo in cui sarà interpretato questo ruolo inciderà in modo determinante sulla possibilità dello stesso Comitato di esercitare al meglio le proprie altre funzioni fornendo dati su preferenze, esigenze e costi di compliance cui altrimenti l’ineliminabile asimmetria informativa tra amministrazione e privati precluderebbe l’accesso.
1. L’anti-corruzione in Italia
L’approccio seguito dalla legge n. 114/2014 è stato, forse a causa della forte presenza del fenomeno e della conseguente spinta dell’opinione pubblica, molto deciso e ha portato alla creazione dell’Autorità Nazionale Anti-Corruzione (ANAC), che ha sostituito preesistenti organismi. L’ANAC è un’Authority indipendente dall’Esecutivo, con amplissime funzioni di regolazione e vigilanza, tanto da essere definita dallo stesso Governo nel ‘Piano di riordino’ approvato con d.P.C.M. 1 febbraio 2016 “l’unica domina nel sistema della strategia complessiva di prevenzione della corruzione”.
La missione dell’Autorità ruota intorno a due obiettivi-chiave, uno espresso ‘in positivo’: la prevenzione della corruzione; l’altro ’in negativo’: la non incidenza del proprio intervento sui costi transattivi.
Per il perseguimento della prima finalità l’ANAC gode di ampi poteri di vigilanza su Pubbliche Amministrazioni e società partecipate nello svolgimento di qualsiasi attività che presenti il rischio di essere inquinata da fenomeni corruttivi, specialmente nel settore degli appalti; possiede, inoltre, permeanti poteri regolatori, grazie alla delega per l’emanazione del Piano Nazionale Anticorruzione, ai sensi dell’art. 1, comma 2 lett. b) della legge n. 190/2012.
Per scongiurare l’aumento dei costi che questo controllo potrebbe creare l’ente si propone, invece, di aumentare l’efficenza nell’uso delle risorse e ridurre i controlli formali, fondando la sua attività su una rete di collaborazione informativa tra le Pubbliche Amministrazioni.
Il ruolo svolto e l’importanza cruciale che l’Autorità ha assunto nelle dinamiche economiche e politiche sta portando il Governo al conferimento di ulteriori competenze, sempre animate dalle due finalità menzionate, legate alla vigilanza straordinaria sui ‘grandi eventi’ e a potenziare le competenze già attribuite di supervisione del settore appalti.
Se, nel complesso, un’Autorità con tali poteri e autonomia può fornire all’ordinamento un’arma agile ed efficiente nella lotta alla corruzione, bisogna scongiurare il rischio di esagerazioni nell’attribuzione di poteri e competenze sempre più generali e sfumate: l’ANAC non può essere, per limiti di competenze e di specializzazione, controllore di ogni appalto, ente di impulso della magistratura, gestore di ‘grandi eventi’, garante della trasparenza, promotore di efficienza ed economicità delle scelte amministrative senza sopportare una perdita di qualità dei servizi resi. Non possono un’Autorità e il suo Presidente, risolvere i problemi di un Paese. Sarebbe quindi opportuno delegare all’ANAC le sole funzioni, già ampie e importanti, di supervisione sugli appalti e accentramento informativo, lasciando a più competenti organi il ruolo di propulsori dell’efficienza e provvedendo ad un generale ripensamento dei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione per garantire imparzialità, buon andamento, economicità, trasparenza, efficienza, semplificazione.
Conclusione
La comparazione, animata sicuramente da amor di scienza, non è uno strumento fine a se stesso. Dai discorsi affrontati si possono trarre insegnamenti e idee per progettare un efficiente strumento di prevenzione contro la corruzione.
L’esperienza del Regno Unito vede come una prerogativa governativa quella della lotta alla corruzione e agisce nella logica del coordinamento: nonostante, come detto, si dovranno attendere Reports sull’attività in concreto svolta, l’assenza di poteri di vigilanza diretta (che rimangono affidati alle forze di polizia nella logica di contrasto “pan-criminalistico” alla corruzione) sembra essere una carenza cui le sezioni specializzate delle forze dell’ordine, impegnate nell’indagine su fatti già verificatisi o in fieri, non possono porre rimedio.
Il modello italiano rappresenta, invece, la decisa risposta a un dilagante fenomeno sociale che sembra dare, nonostante ci si trovi ancora agli inizi di un lungo e faticoso cammino, buoni risultati. Legislatore e Governo dovranno però dimostrare cautela e resistere alla tentazione di sobbarcare l’ANAC di funzioni e competenze sempre nuove ed eterogenee, permettendo un’efficace prevenzione della corruzione, vocazione ispiratrice dell’Authority.
Nel complesso quello di una Autorità con una missione ben determinata, indipendente dall’Esecutivo (e quindi in grado di vigilare al meglio anche su quest’ultimo) sembra essere il modello più incisivo ed efficiente, capace di sommare in sé capacità ispettive e di dialogo con istituzioni e società civile in modo indipendente tanto dai Governi quanto da gruppi di interesse pubblici e privati; un ente che possa formare un proprio patrimonio conoscitivo a disposizione di tutte le Pubbliche Amministrazioni; un corpo, se ascoltato dalle maggioranze che si alternano al potere, capace di imprimere una spinta continua e ben orientata anche in Paesi (come è l’Italia) in cui l’instabilità di Governo ha spesso portato all’incontrollabile alternanza di modelli e soluzioni e, quindi, al non raggiungimento di obiettivi determinati in settori sensibili.