26 aprile 2020
CHIARA SCIUTO
Il 3 Marzo 2015 il Governo italiano ha approvato la Strategia Italiana per la Banda Ultralarga, con l’obiettivo di contribuire a ridurre il gap infrastrutturale e di mercato TLC esistente, attraverso la creazione di condizioni più favorevoli allo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione fisse e mobili.
Questa strategia è stata approvata per recepire gli obiettivi predisposti dall’Agenda Digitale Europea, uno dei 7 pilastri della strategia “Europa 2020”, il programma europeo che indica gli obiettivi di crescita dell’UE fino al 2020. Gli obiettivi dell’Agenda Digitale europea, si declinano a livello italiano con l’Agenda Digitale italiana, un documento strategico nazionale con cui l’Italia ha fissato le modalità di intervento per la digitalizzazione del Paese. Tra queste, l’ADI ha predisposto la Strategia Italiana per la banda ultra larga (BUL).
Quanto agli obiettivi della strategia, questa è finalizzata in primis all’implementazione della fibra ottica in Italia, la quale è necessaria per iniziare un processo di digitalizzazione del paese, processo che gli altri paesi europei già hanno avviato. L’attuazione del piano è quindi fondamentale per adeguarci agli standard di mercato TLC europei, richiesti attraverso l’Agenda Digitale Europea.
Nel piano strategico in oggetto, approvato nel 2015, il governo ha suddiviso il nostro paese in una serie di “cluster”, o partizioni di territorio, a seconda di una serie di caratteristiche che li riguardano, come le infrastrutture ivi già presenti, il tasso di urbanizzazione, le peculiarità geografiche del territorio, la densità di aziende presenti. Obiettivo di tale partizione territoriale è quindi quello di individuare, a seconda delle caratteristiche specifiche delle singole aree territoriali, la strategia di implementazione dell’infrastruttura di rete maggiormente efficace.
Va sottolineato che il governo, in tale piano, assume solo un ruolo di sostegno alle imprese private nello sviluppo infrastrutturale della fibra ottica. Infatti l’attore principale della presente strategia è il mercato, ossia i singoli operatori privati, mentre l’intervento pubblico realizzato dal governo è solo sussidiario agli investimenti privati, al fine di stimolarli.
Tale strategia del Governo, di semplice supporto al mercato, adempie ai requisiti stabiliti in seno all’UE per lo sviluppo infrastrutturale della fibra presso i differenti paesi membri.
L’Italia dunque è stata suddivisa in quattro cluster – A, B, C, D -, i quali presentano un crescente livello di difficoltà di intervento, in termini di costi-benefici ottenibili dalle imprese che decidono di investire nei territori per l’implementazione della banda ultra larga.
Relativamente alle aree bianche (i cluster C e D) il Governo italiano ha individuato la strategia d’implementazione dell’infrastruttura maggiormente efficace, scegliendo di sostenere, tramite fondi nazionali e fondi comunitari, un modello ad “intervento diretto” (l’unico modello di sviluppo della rete adottabile in tali zone, in quanto si tratta di zone “a fallimento di mercato”) autorizzato dalla Commissione europea ai sensi della disciplina sugli aiuti di Stato. Si tratta del cd “Piano Aree Bianche”, la cui attuazione è stata affidata al MISE, che si avvale della società in house Infratel Spa.
Obiettivo ultimo di questa strategia è proprio quello della costruzione di una piattaforma infrastrutturale neutra e a carattere aperto, alla quale i differenti operatori di rete potranno accedere in modo non discriminatorio e in regime di aperta concorrenza secondo le specifiche modalità stabilite dall’AGCM.
In virtù dei bandi indetti da Infratel Spa, ad oggi Open Fiber è il principale concessionario di rete, in Italia, nei cosiddetti cluster C e D, ossia le aree a fallimento di mercato.
L’altro grande operatore sul mercato TLC è invece, da sempre, Tim.
Fino al mese di febbraio 2020 Open Fiber accusava restrizioni concorrenziali derivanti da un accordo di co-investimento tra Tim e Fastweb, con il quale avevano creato una società corporativa, denominata Flash Fiber.
L’accordo di co-investimento tra TIM e FW ha ad oggetto la realizzazione di un’infrastruttura di rete interamente in fibra ottica, di tipo fiber to the home (FTTH) in 29 delle principali città italiane, esclusivamente in aree incluse nei cosiddetti cluster territoriali A e B. Il progetto di investimento, quindi, coinvolge soltanto aree che presentano condizioni economiche favorevoli all’investimento di operatori privati, restando quindi escluse le cosiddette aree bianche caratterizzate da fallimento del mercato, di cui invece si occupa Open Fiber.
Tuttavia si riteneva che l’accordo tra TIM e FW potesse integrare un’intesa potenzialmente idonea a impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno dei mercati interessati. L’intesa in oggetto, infatti, “comportando un rilevante coordinamento tra Fastweb e Tim in scelte strategiche relative alle reti fisse a banda larga e ultralarga, potrebbe ridurre l’intensità della competizione statica e dinamica, considerando che essa coinvolge i due principali soggetti che operano nel settore”.
L’AGCM infatti nel 2018 aveva avviato un procedimento istruttorio per verificare la sussistenza di una violazione dell’art 101 TFUE (“sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno”).
A seguito di tale procedimento istruttorio di AGCM, la società Flash Fiber (prevalentemente Tim in quanto Fastweb ha solo il 20%), presentava una proposta di impegni avvalendosi della facoltà concessa loro dall’articolo 14-ter della legge n. 287/90 (“Entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli articoli 2 o 3 della presente legge, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anti concorrenziali oggetto dell’istruttoria. L’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione”). Gli impegni sostanzialmente costituiscono un’obbligazione giuridica, volta ad evitare che un accordo di co-investimento tra due principali operatori del mercato delle telecomunicazioni, possa comportare profili anti concorrenziali.
Con provvedimento adottato in data 29 marzo 2018, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, deliberava di accogliere gli impegni, ritenendo che gli stessi fossero idonei a far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto di istruttoria.
L’Autorità chiudeva pertanto il procedimento principale nei confronti di Tim e Fastweb senza accertare infrazioni, ai sensi dell’art. 14 ter, comma 1, della legge n. 287/90, e disponendo l’obbligatorietà degli impegni assunti.
La società Open Fiber impugnava innanzi al Tar Lazio il provvedimento di accoglimento degli impegni, chiedendone l’annullamento per vari motivi tra cui violazione di legge, eccesso di potere e travisamento dei fatti, ma con sentenza 12.2.2020 il Tar rigetta per infondatezza il ricorso della Open Fiber Spa, disponendo che la valutazione dell’AGCM sull’idoneità degli impegni presentati rappresenta espressione di un potere ampiamente discrezionale, e inoltre concludeva la parte motivazionale della Sentenza affermando che “emerge dalla motivazione della delibera che l’Autorità, consapevole del fatto che gli accordi di co-investimento devono essere sottoposti ad un rigoroso scrutinio ai sensi della normativa a tutela della concorrenza, ha operato una valutazione in concreto dell’intera fattispecie, escludendo motivatamente, alla luce del contenuto degli impegni, dei rilievi dei concorrenti rappresentati in fase istruttoria e del parere dell’AGCM, che ricorressero profili di anticostituzionalità”.
C’è da dire dunque che sotto questo punto di vista la situazione si è stabilizzata. È pacifico ora che Open Fiber e Flash Fiber abbiano due target differenti e che al momento operino separatamente e serenamente senza che siano state accertate restrizioni concorrenziali sull’accordo Tim-Fastweb.
Sono dunque Tim e Open Fiber che principalmente concorrono nel mercato delle reti d’accesso, e per questo, ciò di cui si sta discutendo maggiormente ad oggi, aprile 2020, è la possibile realizzazione di una c.d. “Rete Unica”, ossia di una fusione tra Tim e Open Fiber, per la quale fusione chiaramente Tim avrebbe un comprensibile interesse, in quanto si unirebbe con il suo più importante concorrente nel mercato delle reti d’accesso. Ricordiamo infatti che quest’ultima ha sempre avuto una situazione di monopolio con la rete in rame, mentre ora con la fibra sta chiaramente perdendo questo monopolio. Non è invece chiaro quanto questa aggregazione possa far comodo agli altri “internet service provider” (ISP) ossia Vodafone e Wind/3, che hanno pianificato la loro espansione nel fisso attraverso la rete di Open Fiber. La costituzione di una rete unica, che metta assieme l’infrastruttura realizzata da Open Fiber e la rete di TIM presenta due alternative, assolutamente ortogonali, a seconda del tipo di proprietà e governance che si ha in mente: controllo pubblico, oppure controllo privato (da parte dell’incumbent, Tim).A seguito della costituzione di una rete unica, allora, tra i tanti aspetti da analizzare sarebbero assai complessi anche gli aspetti antitrust, e lo sono tutte le volte in cui due operatori principali del mercato decidono di mettersi insieme, come abbiamo visto precedentemente. La costituzione di una rete unica segnerebbe il superamento della competizione infrastrutturale, per questo difficilmente un’Autorità Antitrust (italiana od europea) potrebbe dare il via ad una fusione tra le due reti (TIM ed Open Fiber), senza porre vincoli che garantiscano il mantenimento di una effettiva concorrenza nei mercati interessati dall’operazione.