di CHRISTIAN CURZOLA
1/11/2017
Nell’ambito dell’attività di prevenzione e lotta contro specifiche forme di criminalità, aventi rilevanza internazionale, la necessità di cooperare oltre i propri confini territoriali si rende impellente. Attualmente, la pervasività ed i rischi che connotano i fenomeni sottesi alla “criminalità transnazionale”, sono a tutti drammaticamente noti. Basti pensare, ad esempio, a quanto accaduto il 13 novembre 2015 a Parigi (cosiddetta “strage del Bataclan”) e Saint Denis, il quale conferma che nessun Paese occidentale oggi può considerarsi completamente al riparo dal rischio di un attacco terroristico. L’unica leva sulla quale gli Stati hanno la possibilità di agire è quella del coefficiente del rischio, intervenendo in maniera mirata affinché si possa ridurne il più possibile la dimensione e la capacità di incidenza e, soprattutto, implementando esponenzialmente la cooperazione internazionale di Polizia, attraverso le varie strutture ad essa preposte, quale l’Interpol. Con particolare riferimento alla determinazione e definizione del rischio del terrorismo internazionale, è possibile fare riferimento al ruolo operativo del Comitato analisi strategica antiterrorismo – Casa (le cui linee guida, peraltro, pur essendo già state definite dal risalente decreto del Ministro dell’Interno 6 maggio 2004, sono tuttavia rimaste prive di applicazione fino al 2015) quale organismo interforze presieduto e coordinato dal Ministro dell’Interno, per la condivisione e la valutazione delle informazioni circa la minaccia terroristica interna ed internazionale. Alle sue riunioni partecipano i rappresentanti delle principali forze di Polizia a competenza generale (Polizia di Stato ed Arma dei Carabinieri), e delle agenzie di intelligence (Aise, Aisi). Per poter cogliere l’importanza del ruolo rivestito dall’organismo in esame, è opportuno sottolineare che la determinazione del livello di allerta antiterrorismo nel nostro Paese, sia decisa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri su specifica indicazione del Casa. Peraltro, siffatto livello di allerta, in caso di minacce reali o potenziali alla sicurezza dei cittadini, è espresso dal Comitato su una una scala in cinque livelli, dal meno preoccupante al più grave, secondo una successione di lettere dell’alfabeto fonetico adottato a livello internazionale (Charlie, Bravo, Alfa 3, Alfa 2 e Alfa 1; a seguito dei fatti terroristici di Barcellona del 17 agosto 2017, il livello di allerta in Italia è stato elevato ad Alfa 2). Nel quadro di un metodo di lavoro che valorizzi i principi di sinergia e collegialità, il nostro sistema di prevenzione individua dunque nel Casa il luogo istituzionale di alto coordinamento, in cui le articolazioni antiterrorismo delle forze di Polizia e degli organismi di intelligence lavorano a stretto contatto con metodica frequenza, attivando uno scambio osmotico il cui risultato finale è quello di rafforzare il patrimonio informativo di ciascuna componente. Si tratta di una metodologia di lavoro altamente all’avanguardia, che può essere considerata una vera e propria best practice italiana, la cui esportazione a livello europeo, già proposta dal nostro Paese, costituirebbe un valore aggiunto nell’impegno dei singoli Paesi a contrastare una minaccia globale e altamente diffusa, come quella del terrorismo internazionale. Attualmente, soprattutto alla luce dei recenti tragici attentati di Manchester e di Londra, la necessità di elaborare una risposta internazionale contro i crimini di matrice terroristica, ha ravvivato nuovamente il dibattito sulla cooperazione di Polizia tra Stati, in particolare sul necessario incremento dello scambio di dati ed informazioni sensibili attraverso l’evoluto sistema di trasmissione “Interpol I-24/7”. Si tratta, a ben vedere, di un problema di grande attualità, posto che non tutti gli Stati aderenti allo “Statuto Interpol” sembrino condividere lo stesso flusso quantitativo e qualitativo di informazioni ed analisi, concernenti le principali attività criminose e terroristiche internazionali, incidendo negativamente sull’efficacia attività di prevenzione e contrasto di siffatti reati. Non a caso, nell’ambito della propria relazione conclusiva ai lavori della riunione d’emergenza del Segretariato generale di Interpol, convocata successivamente all’attacco terroristico di Manchester del 22 maggio 2017, il Segretario generale ha avuto modo di affermare che «in una ricerca veloce come questa, il flusso di informazioni è vitale, sia per la Polizia che si concentra sulle proprie indagini, che per le famiglie che cercano di stabilire se i loro cari sono stati coinvolti. Interpol è in stretto contatto con il suo National Central Bureau (BCN) di Manchester ed ha contattato tutti gli uffici centrali nazionali dislocati nei 190 Stati membri, in modo tale che tutte le informazioni sensibili sui responsabili dell’attentato o le richieste di aggiornamento diramate dalla Polizia britannica, possano essere convogliate attraverso il Command and coordination center (sala operativa deputata al controllo del flusso dei dati e delle informazioni) del Segretariato generale di Interpol, presso il quale è stata istituita un’unità di crisi». Un’ulteriore iniziativa volta a contrastare il terrorismo internazionale e, al contempo, integrare ulteriormente la cooperazione tra forze di Polizia di tutto il mondo, è ascrivibile al lancio del cosiddetto “Progetto Kalkan”, quale pool antiterrorismo composto da settanta analisti, esperti ed investigatori provenienti da 26 Paesi, il cui principale compito consiste nell’elaborazione di pratiche operative all’avanguardia, nonché nell’individuazione di eventuali lacune nei sistemi statali di gestione della pubblica sicurezza, al fine di implementarne l’efficienza e l’incisività. Dalla sua ultima riunione, datata aprile 2017, le informazioni scambiate attraverso il progetto Kalkan hanno già condotto all’arresto di otto individui. Di particolare rilievo, inoltre, risulta essere la Risoluzione 29 settembre 2017 dell’Assemblea Generale di Interpol, la quale ci consente di fare luce su una nuova sfida per gli Stati, rappresentata dal difficile rapporto tra la tutela dei diritti fondamentali del rifugiato (sottesi al relativo status) e la tutela della sicurezza dei cittadini dalla minaccia del terrorismo. Di fatto, al fine di evitare che lo status di rifugiato politico possa essere rilasciato a sospettati di terrorismo, i delegati degli Stati aderenti ad Interpol hanno approvato quasi unanimemente la Risoluzione di cui sopra, la quale detta espressamente le misure cui i Paesi sono tenuti a dare applicazione, quali; a) il controllo periodico del database Interpol, prima del rilascio del visto umanitario, al fine di individuare preventivamente potenziali sospettati; b) l’utilizzo del sistema di trasmissione dati “I-24/7”, per lo scambio di informazioni con le altre autorità internazionali, nel caso di identificazione di un sospettato; c) l’adozione di misure normative, volte a definire i protocolli d’intesa tra le autorità preposte all’accoglimento o al rigetto delle richieste di asilo e l’ ufficio centrale nazionale Interpol, presente in ciascuno Stato aderente. All’interno di siffatta cornice normativa, è possibile calare alcune disposizioni normative interne, contenute nel decreto legge 17 febbraio 2017, n.13 successivamente convertito in legge 13 aprile 2017, n.46, recante “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”. A tal proposito, si segnalano le modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 (Testo unico sull’immigrazione) volte al rafforzamento del contrasto all’immigrazione illegale e ad assicurare l’effettività delle espulsioni, tra cui meritano di essere menzionate le nuove e semplificate procedure di identificazione dei rifugiati (i quali, una volta pervenuti al centro di prima accoglienza, sono sottoposti ad uno screening sanitario ed alle operazioni di fotosegnalamento e di rilevamento delle impronte digitali) e le misure per il potenziamento della rete dei centri di identificazione ed espulsione, denominati “Centri di permanenza per il rimpatrio”. In particolare, per quel che concerne la semplificazione delle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, il d.l. 13/2017 ha apportato numerose modifiche al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, in tema di riconoscimento e revoca dello status di rifugiato, introducendo un nuovo rito processuale di tipo camerale, da celebrarsi nelle sezioni specializzate dei tribunali con udienza orale e durata massima di quattro mesi, il quale si conclude con l’adozione di un decreto non reclamabile ma ricorribile per Cassazione.