MATTEO PULCINI
15/12/2018
In data 2 ottobre 2018 sono stati emanati i tre decreti attuativi della delega contenuta nella l. 23 giugno 2017, n. 103. Tale delega, dall’art. 85 all’art. 87, fissava i criteri direttivi e i principi per guidare l’opera riformatrice in ambiti cruciali del mondo penitenziario, come la semplificazione delle procedure (lett. a), con la previsione del contraddittorio differito; la revisione delle modalità di accesso alle misure alternative e delle preclusioni dei benefici (lett. b, c, d, e); un’ambiziosa riserva di codice in materia penale (lett. q); la ristrutturazione dell’assistenza sanitaria in ambito penitenziario (lett. l); la previsione di disposizioni che regolino la c.d. «sorveglianza dinamica» (lett. i); il miglioramento delle opportunità lavorative (lett. g e h); la previsione di sistemi di giustizia riparativa (lett. f).
Tale delega, essendo stata esercitata a cavallo tra le due legislature, ha avuto diversi schemi di decreti attuativi: l’A.G. 17, riguardante la sanità, gli automatismi e preclusioni la semplificazione; l’A.G. 16, recante la riforma dell’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario; l’A.G. 20che adegua l’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni; l’A.G. 29, recante disposizioni in materia di giustizia riparativa e mediazione reo-vittima. A differenza degli A.G. 16 e l’A.G. 20 che hanno ricevuto parere favorevole dalle nuove camere, gli altri due schemi di decreto hanno ricevuto un parere negativo in Commissione. L’uno – l’A.G. 17 – è stato riformulato dall’A.G. 39 (dal quale sono state espunte le norme su automatismi e preclusioni); l’altro è stato semplicemente accantonato lasciando la delega sulla giustizia riparativa lettera morta.
Sono stati così approvati i Decreti Legislativi 121, 123 e 124 2018 nell’ambito della riscrittura globale dell’art. 11 della legge sull’ordinamento penitenziario (l. 354/1975) Il decreto 123 delinea il rapporto detenuto-medico secondo canoni quanto più vicini a quelli del rapporto comune medico-paziente. In particolare viene stabilito all’art. 11, co. 9,che, se il detenuto o l’internato vengano trasferiti «è loro garantita la necessaria continuità con il piano terapeutico individuale in corso»: la cartella clinica segue il detenuto nei suoi spostamenti. Questa previsione va vista in connessione con quella che va a modificare l’art. 13, l. 354/1975, rendendo obbligatoria l’immediata stesura del programma rieducativo (la prima formulazione va ora fatta entro sei mesi) in base alle notazioni circa la personalità e le cause che hanno condotto al reato, insieme alle valutazioni sui bisogni della personalità di ciascun detenuto, delle sue attitudini e competenze, raccolte tramite l’osservazione scientifica che inizia con l’ingresso nell’istituto e prosegue per tutta la durata della permanenza.
Tutto il materiale così raccolto, insieme al programma redatto, ai dati biografici ed a quelli sanitari, viene inserito nella cartella personale del detenuto che «segue l’interessato nei suoi trasferimenti e nella quale sono successivamente annotati gli sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati» (art. 13, co. 6), permettendo così di avere una “storia penitenziaria” del singolo detenuto. In precedenza infatti il detenuto, nel momento del trasferimento, cominciava ex novoil percorso riabilitativo ed il personale dell’istituto doveva effettuare nuovamente l’osservazione perdendo la possibilità di dare continuità ad un programma di reinserimento che in questo modo, frammentato e diversificato, perdeva il suo potenziale rieducativo.
La riforma tende quindi ad una visione del detenuto e del suo rapporto con l’amministrazione penitenziaria diversa e più ricca rispetto alla dinamica custode-custodito, piuttosto simile invece ad una dinamica paziente-curante in cui l’istituto penitenziario, nel ricevere il detenuto, si fa carico della sua storia personale, giudiziaria e sanitaria, rispondendo di conseguenza con la proposta di trattamento scientificamente più idonea e in continuità con le esperienze già avviate. Con ciò non si intende tornare ad un’ottica paternalistica, ma anzi ad una concretizzazione del concetto di individualizzazione e del trattamento penitenziario che solo attraverso la continua osservazione ed i costanti reciproci stimoli detenuto-amministrazione può effettivamente risultare decisivo nel processo di risocializzazione del detenuto.