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L’impiego di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata per servizi alla collettività: le agevolazioni del social bonus e i rischi della vendita ai privati, introdotta dal nuovo “decreto sicurezza”

CHIARA MAURO

 

 

13/12/2018

 

 

Il riutilizzo per finalità pubbliche e sociali dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata costituisce uno dei pilastri della legge 7 marzo 1996, n. 109, altrettanto conosciuta come legge Rognoni/La Torre. Con tale provvedimento, il legislatore ha infatti consentito la destinazione alla società civile delle ricchezze immobiliari sottratte agli esponenti delle organizzazioni criminali per lo svolgimento di attività di pubblico interesse; di conseguenza, ha previsto la vendita dei beni stessi come una soluzione residuale da attuare solo verso determinate tipologie di acquirenti qualificati, quali enti territoriali, cooperative edilizie costituite da personale delle Forze Armate o di polizia, enti pubblici, associazioni di categoria e fondazioni bancarie.

In questo ventennio, gli Enti del Terzo Settore (ETS) hanno operato come principali attori nel programma di riutilizzo sociale dei beni immobili confiscati. Nell’ultimo censimento, pubblicato nel febbraio 2018 da “Libera – Associazione nomi e numeri contro le mafie”, risultano 720 soggetti diversi impegnati nello svolgimento di attività sociali in ville, appartamenti e terreni sequestrati alle organizzazioni criminali: tra i promotori delle iniziative, circa 524 sono Enti di Terzo Settore. Inoltre, secondo i dati diffusi, solo il 12% dei beni immobili confiscati giunge alle organizzazioni in condizioni tali da permettere l’avvio delle iniziative in tempi rapidi; la maggior parte necessita invece di interventi di ristrutturazione, ragione per la quale tra il momento del sequestro e l’effettivo riutilizzo sociale dell’immobile viene mediamente previsto un arco temporale di dieci anni.

Nell’intento di assicurare contributi a tali iniziative, l’articolo 81 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 ha istituito il “Social Bonus”: si tratta diun incentivo alle erogazioni liberali in denaro richieste ai privati per finanziare specifici progetti di recupero di immobili pubblici inutilizzati o confiscati, presentati dagli ETS per lo svolgimento, in via esclusiva, di attività di interesse generale con modalità non commerciali.In particolare, il Social Bonus consiste in un credito d’imposta ripartito in tre quote annuali di pari importo e riconosciuto in misura diversa in base alla tipologia di donatore: una persona fisica può infatti beneficiare del 65% sull’importo della donazione, fino al 15% del reddito imponibile; diversamente, una società o un ente può richiedere un credito d’imposta per il 50% dell’importo erogato, nel limite del cinque per mille dei ricavi annui.

Per poter applicare tale disciplina, è necessario però che i progetti di recupero degli immobili inutilizzati o confiscati siano stati presentati dagli ETS al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali tramite un portale ad hoc: in tal modo, viene offerta agli eventuali finanziatori la possibilità di visionare le finalità e le risorse necessarie per l’iniziativa prima di effettuare qualsiasi donazione. Inoltre, nel rispetto del principio di trasparenza, vengono previsti alcuni obblighi per gli ETS beneficiari delle erogazioni liberali: questi devono pubblicare sul proprio sito web istituzionale, in una pagina dedicata e facilmente individuabile, gli importi delle donazioni ricevute, la loro destinazione e le modalità di utilizzo;  devono comunicare trimestralmente al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali l’ammontare delle donazioni ricevute per la realizzazione di interventi di manutenzione, protezione e restauro dei beni stessi e, infine, sono tenuti a diffondere le notizie relative allo stato di conservazione del bene, agli interventi di ristrutturazione eventualmente in atto e alle attività di utilità sociale già avviate.

Successivamente, il 28 novembre 2017, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), l’Agenzia del Demanio (AGD) e l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) hanno firmato il Protocollo d’Intesa per destinare agli ETS gli immobili pubblici inutilizzati e confiscati. Agli ETS viene richiesta la predisposizione di progetti destinati alla riqualificazione di aree degradate, al miglioramento del contesto urbano e sociale, all’incentivazione di iniziative di legalità e all’inclusione sociale dei soggetti svantaggiati, secondo quanto previsto dal Codice del Terzo Settore. Contemporaneamente, l’entrata in vigore della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (cd. Nuovo Codice Antimafia) ha semplificato la procedura per la richiesta dei beni confiscati da parte degli ETS. Pertanto, per ottenere un immobile confiscato dopo il 19 novembre 2017, un ETS può rivolgersi direttamente all’ANBSC che delibera l’assegnazione all’Ente sotto la sorveglianza dell’Agenzia stessa, laddove l’immobile in questione non sia già stato richiesto per ordine pubblico, per uso universitario, per utilizzo economico pubblico e per esigenze degli enti locali.

Tuttavia, il programma di recupero sociale dei beni confiscati rischia di subire un arresto, a causa di alcune novità introdotte dal decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113 convertito dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132, meglio noto come “Decreto Sicurezza”. In primo luogo, viene previsto che gli immobili sequestrati siano mantenuti nel patrimonio dello Stato e utilizzati dall’ANBSC per finalità economiche, previa autorizzazione del Ministro dell’Interno. Di conseguenza, viene riorganizzata l’ANBSC con la possibilità di reclutare nuove unità di personale mediante concorso pubblico e di istituire fino a quattro sedi secondarie, oltre quella principale di Roma e quella secondaria di Reggio Calabria già esistenti.

La principale novità viene però disciplinata dall’articolo 48, comma 5 che apre anche ai privati la possibilità di partecipare alle aste pubbliche per la vendita dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Nonostante la previsione legislativa contenga vari strumenti di controllo verso gli acquirenti, gli esponenti del Terzo Settore hanno più volte mostrato la loro preoccupazione per il rischio che i beni sequestrati a mafiosi o corrotti ritornino in possesso di componenti dell’organizzazione criminale, tramite i “prestanome” ovvero professionisti e imprenditori che agiscono formalmente nella legalità, ma in realtà effettuano operazioni commerciali e finanziarie nell’ambiente criminale.

Con il nuovo decreto, la vendita dei beni confiscati non viene più considerata una soluzione residuale ma una valida alternativa nei casi di difficoltà nell’assegnazione dei beni. Inoltre, i proventi ricavati non vengono destinati al sostegno di nuove iniziative imprenditoriali del privato sociale: le nuove norme destinano i ricavi della vendita per il 40% al Ministero dell’Interno, per il 40% al Ministero della Giustizia e il restante 20% all’Agenzia Nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. In particolare, quest’ultimo dato ha destato perplessità: infatti, trattandosi di una percentuale irrisoria non si assicura all’Agenzia un’entrata certa per il suo rafforzamento ed espone la stessa alla tentazione di favorire la vendita dei beni, rispetto alla destinazione sociale, per poter beneficiare di maggiori introiti.

In conclusione, il nuovo decreto non sembra tenere in conto la forte richiesta delle comunità territoriali per il riutilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata, come sorta di risarcimento per le comunità segnate dai fenomeni mafiosi.

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