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L’Europa pone l’altolà alle concessioni troppo lunghe: che ne sarà di quelle concessioni autostradali “eterne”?

di Ilaria Madeo

23/10/15

Una delle novità introdotte dalle direttiva 23/2014/UE riguarda la disciplina della durata delle concessioni. Essa pone vincoli precisi e molto più stringenti rispetto al nostro diritto interno stabilendo che:
“la durata della concessione dovrebbe essere limitata al fine di evitare preclusioni all’accesso al mercato e restrizioni alla concorrenza (cons. 52); per le concessioni di durata superiore a 5 anni la durata dovrebbe essere limitata per il periodo necessario al recupero degli investimenti e un ritorno sul capitale investito dal concessionario (art. 18.2);
Per quanto riguarda il diritto interno invece, l’art. 143 del del D.Lgs. 163/2006 prevede che le concessioni di regola non possano avere durata superiore a 30 anni; non superiore a 50 anni per le opere superiori al miliardo di euro, al fine di assicurare il rientro del capitale investito e l’equilibrio del PEF. La prima previsione fa dunque intendere che il limite dei 30 anni è valicabile “per il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti” e della connessa gestione”, la seconda consente di superare il limite dei 50 anni per le operazioni inferiori al miliardo di euro, mentre è inderogabile per le operazioni di valore superiore.
La ratio della maggiore limitazione temporale posta dal legislatore europeo , risiede nel fatto che, l ’ampliamento del termine, sebbene giustificato dal perseguimento dell’equilibrio del PEF, porta con sé la chiusura del mercato e forti limitazioni della concorrenza.
Tale novità, una volta recepita la direttiva, apporterà significativi cambiamenti nel nostro ordinamento. Da premettere che la direttiva non toccherà le concessioni aggiudicate prima dell’Aprile 2014.
Uno dei settori più delicati, su cui queste novità incideranno, è quello autostradale. A causa di continue proroghe e rinnovi, giustificati dalla necessità di effettuare nuovi investimenti, il settore si è trovato più volte al centro di accesi dibattici ed aspre polemiche. Si è parlato di concessioni “eterne”, di “regali” fatti alle lobby autostradali, di lesioni al mercato e ad alla concorrenza.
Basti pensare alle numerose critiche suscitate dall’entrata in vigore del famigerato art.5 del decreto c.d. “Sblocca Italia” che consentiva appunto una sorta di proroga implicita delle concessioni stradali prossime alla scadenza al fine di “assicurare gli investimenti necessari per gli interventi di potenziamento, adeguamento strutturale, tecnologico ed ambientale delle infrastrutture autostradali nazionali”.
In sostanza la norma prevedeva che entro la fine del 2014 i concessionari presentassero al Ministero dei Trasporti dei piani di modifica del rapporto attuale, anche unificando delle tratte stradali interconnesse o complementari. Queste sarebbero dovute essere accompagnate da un piano economico-finanziario con i nuovi investimenti previsti, facendo salvi quelli già concordati, per arrivare a stipulare un atto aggiuntivo entro la fine dell’ agosto 2015.
La finalità perseguita del governo era sempre quella di permettere di realizzare nuovi interventi e investimenti in modo da favorire la formazione di economie di scala e la fornitura di servizi più efficienti per l’utenza.
Tuttavia il meccanismo messo appunto è stato fortemente attaccato poichè non solo si ritiene poco idoneo alla finalità perseguita dal governo, ma è stato visto come un vero e proprio escamotage, il cui unico effetto è quello di allungare i rapporti di concessione in corso.
Si sostiene che: “la possibilità di unificare titoli concessori, aventi scadenze differenziate, si presta ad accorpamenti idonei a eliminare del tutto e per periodi significativi un essenziale fattore concorrenziale specialmente in un settore, come quello autostradale in cui le uniche forme di stimolo concorrenziale sono costituite dalla gara per l’attribuzione della concessione e dalla spinta all’efficienza derivante da forme di regolazione incentivante dei pedaggi.”
Inoltre la disposizione sembra nettamente in contrasto con quanto l’Europa sostiene da tempo (ed ha esplicitato anche nella direttiva 23/2014/UE) sul fatto che le concessioni debbano avere durata limitata e debbano essere messe a gara pubblica tant’è che Bruxelles, in seguito al varo dello “Sblocca Italia”, aveva minacciato di avviare una procedura di infrazione, domandando alle autorità italiane come intendessero attuare la disposizione in modo da essere compatibile col diritto comunitario dei contratti pubblici.
In realtà un fondamento normativo potrebbe rintracciarsi nella recependa direttiva stessa e più precisamente all’articolo 43 che disciplina le modifiche dei contratti di concessione in corso. In sintesi l’articolo 43 legittimerebbe l’estensione temporale del rapporto se volta, e per il tempo necessario a conseguire l’equilibrio economico finanziario, quindi il recupero degli investimenti effettuati ed il capitale investito.
Perciò ,tale disposizione rafforzerebbe ancora di più la previsione di proroga contenuta nella norma tanto discussa, da me prima ricordata.
In conclusione il legislatore dovrebbe cercare di far chiarezza su questa complessa disciplina, cercando un giusto bilanciamento tra esigenze di concorrenza e di apertura del mercato e tra quanto con forza rivendicano, forse a buon diritto (o forse no), gli attuali concessionari con contratti prossimi alla scadenza. In ballo ci sono svariati interessi e grossi investimenti.
Intanto L’Europa incalza e l’iter di recepimento prosegue: spetta al legislatore uscire dall’empasse.

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