Tommaso Di Prospero
21 dicembre 2020
Dallo scorso 11 ottobre 2020 è diventato direttamente applicabile in Italia il Regolamento Ue n. 452 del 2019 (il “Regolamento”), che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti diretti esteri (IDE) all’interno dell’Unione Europea.
Il Regolamento cerca di trovare un punto di equilibrio tra la protezione dei diritti degli investitori garantita dall’Art. 63 del TFUE, che statuisce la libera circolazione dei capitali all’interno dell’Unione, e la sempre più sentita esigenza di salvaguardare gli asset strategici che potrebbero essere presi di mira da investitori ostili, soprattutto in momenti di instabilità economica. L’esigenza di un’iniziativa europea in materia era già emersa dal Documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione del 10 maggio 2017, in cui la Commissione europea aveva riconosciuto l’emergere di crescenti «preoccupazioni in merito al fatto che investitori stranieri, in particolare le imprese di Stato, rilevano per motivi strategici le imprese europee che dispongono di tecnologie fondamentali». Il 13 marzo 2020 la Commissione, con dubbie prospettive di stabilità del sistema economico di fronte alla pandemia del Sars-Cov-2, aveva ribadito che «gli Stati membri devono essere vigili e utilizzare tutti gli strumenti disponibili a livello unionale e nazionale per evitare che l’attuale crisi determini una perdita di risorse e tecnologie critiche». A riguardo, pare opportuno ricordare le linee guida rilasciate dalla Commissione lo scorso 26 marzo, in vista dell’applicazione del Regolamento. La Commissione aveva indicato che «tra le possibili conseguenze dell’attuale shock economico vi è un aumento del rischio potenziale per le industrie strategiche» focalizzando l’attenzione su quelle correlate alla filiera dell’assistenza sanitaria, certamente diventate un punto di cruciale importanza.
La normativa si pone come quadro comune degli strumenti di controllo sugli investimenti esteri da parte degli Stati membri, essendo le discipline nazionali frammentate, lacunose o, in alcuni casi, assenti. Nel merito, il Regolamento prevede molteplici meccanismi di cooperazione tra Stati membri. Tra questi, viene prescritto agli Stati membri target di IDE che possano incidere sulla sicurezza o l’ordine pubblico, di comunicare alla Commissione e agli altri Stati tutte le informazioni rilevanti concernenti l’investitore estero, nonché i meccanismi di screening già adottati dai singoli Stati membri (Art. 5). Le informazioni dovranno essere riferite in una relazione annuale. A tutela degli investitori, il Regolamento prevede anche dei requisiti per la validità dei meccanismi nazionali di screening (Art. 3). In particolare, è necessario che ciascun Stato membro adotti meccanismi che rispettino i requisiti di trasparenza, non discriminazione, riservatezza delle informazioni, e la possibilità di impugnare i singoli provvedimenti di screening. Queste prescrizioni sono volte ad assicurare la «certezza del diritto» e il rispetto del principio di legalità (considerando n.7, Reg. n. 452/2019), in contrapposizione ai quadri di controllo statunitensi e cinesi, più dipendenti dalle decisioni politiche.
Punto cruciale del Regolamento è la disciplina del meccanismo di cooperazione che consente agli Stati membri di scambiare informazioni e sollevare preoccupazioni relativamente a specifici IDE, contenuta agli artt. 6 e 7. Tra le indicazioni per gli Stati membri, merita essere evidenziato in questa sede che: sarà obbligatorio notificare alla Commissione e agli altri Stati membri tutti gli IDE nel proprio territorio che siano già oggetto di controllo; gli Stati membri che ritengano che l’IDE controllato da un altro Stato membro possa incidere sulla loro sicurezza o ordine pubblico potranno sollevare osservazioni; la Commissione potrà emettere pareri in merito a IDE controllati da Stati membri che possano incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico di uno Stato membro. Analoga disciplina vige con riguardo agli IDE che non siano ancora controllati dallo Stato membro che li riceve. Occorre poi sottolineare che, nonostante all’art. 1 venga lasciata in capo agli Stati membri la responsabilità di adottare decisioni finali sugli IDE, in conformità con l’art. 346 TFUE, il Regolamento prevede una estesa disciplina che impone a loro obblighi di cooperazione. Di fatto, questo si traduce in conseguenze per la normativa interna degli Stati membri, che hanno dovuto e dovranno in questi mesi adattare i loro schemi legislativi.
Per quando riguarda la normativa italiana, si individua nel d.l. 21/2012 e le successive modifiche, tra tutte il d.l. 148/2017 (la normativa Golden Power). Tale normativa ha già dotato l’esecutivo di poteri di veto e altri poteri speciali per il controllo di IDE in società italiane che detengano o gestiscano asset di rilevanza strategica. Non mancano tuttavia incompatibilità tra la normativa italiana e quella europea. Prima tra queste, è l’ambito di applicazione soggettivo per il controllo degli investimenti diretti esteri. Per la normativa europea, infatti, si possono considerare come rilevanti solo gli investimenti che provengano da paesi non appartenenti all’Unione. L’Italia, al contrario, estende l’ambito applicativo anche alle partecipazioni rilevanti acquisite con investimenti che provengano da uno Stato membro (ricordiamo il caso Vivendi-Telecom Italia). Viceversa, l’ambito oggettivo della disciplina italiana rimaneva più limitato rispetto a quella del Regolamento. Il Governo italiano ha deciso di espandere l’ambito di applicazione della normativa Golden Power con specifici decreti attuativi. In assenza di quest’ultimi, e in una situazione di evidente urgenza data dallo stato emergenziale, il più recente Decreto Liquidità (d.l. 23/2020) ha operato un generico rinvio ai settori indicati all’art. 4 del Regolamento per l’attivazione dei poteri speciali. Quest’ultimo si occupa di determinare in quali casi un IDE possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico. I fattori da prendere in considerazione sono ora, anche per l’Italia, i potenziali effetti dell’IDE a livello di: infrastrutture critiche (fisiche e virtuali), tecnologie critiche (IA, robotica, cyber sicurezza ecc.), sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, accesso alle informazioni sensibili, e libertà e pluralismo dei media. Gli Stati membri dovranno altresì tener conto di altri criteri, tra cui l’eventuale controllo pubblico dell’investitore da parte di uno stato terzo, la presenza di casi precedenti in cui l’investitore sia stato coinvolto in attività che incidono sulla sicurezza e sull’ordine pubblico di uno Stato membro, e il grave rischio che l’investitore intraprenda attività illegali o criminali. Pur non essendo dovuto il controllo da parte degli Stati membri, in presenza degli elementi indicati dall’art. 4 si dovrà considerare lo scrutinio come quantomeno opportuno.
Tuttavia, il rinvio del Decreto Liquidità resta temporaneo e incompleto. Ci si aspetta che il Governo italiano integri tale normativa precipuamente e senza ritardo, soprattutto alla luce della piena entrata in vigore del Regolamento.