di Maria Chiara Pollicino
18/03/2017
Le c.d. reti transeuropee consistono in un sistema di infrastrutture integrate volte alla realizzazione di una coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione. Le stesse non riguardano solo il settore dei trasporti (TEN-T) ma abbracciano altri settori strategici come l’energia (TEN-E) e le telecomunicazioni (e-TEN). Concetto assimilabile ma non sovrapponibile, per il settore trasporto, è quello di corridoio (anche se più di recente i due termini vengono utilizzati in maniera indistinta): essendo il primo, più genericamente, frutto di una cooperazione internazionale tra Stati membri e Paesi terzi.
La decisione n. 1692/96/CE del 23 luglio 1996 sugli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete, fissò i parametri generali per la rete nel suo complesso, stabilendo le caratteristiche da rispettare per ciascuna modalità di trasporto e identificando quelli che erano i progetti di interesse comune e i progetti prioritari (PP) ammissibili. Si prevedeva anche un termine ultimo per l’attuazione delle reti, il 2010 (termine più volte procrastinato). Tale decisione è stata poi trasposta, in un primo momento, nella decisione 661 del 2010 e poi nel regolamento n. 1315 del 2013. Quest’ultimo introduce un elemento di novità andando ad articolare la politica dei trasporti europea su una costruzione doppia. In base a tale meccanismo si prevede lo sviluppo di una rete globale (comprehensive network) da realizzare entro il 2050 e una rete centrale (core network) da realizzare entro il 2030. La rete globale è una rete che copre anche le regioni periferiche dell’Unione, quindi mira a garantire un sistema integrato di trasporto quanto più completo. La rete centrale invece collega i centri più importanti, a rilevanza strategica per i flussi di trasporto. Attualmente sono gli articoli del TFUE dal 170 al 172 del TFUE, collocati in apposito titolo, il XVI, a recarne la disciplina. L’articolo 171 si occupa, in particolare, di regolare le modalità operative al fine del conseguimento degli obiettivi individuati dall’articolo 170. L’Unione deve: 1) stabilire un insieme di orientamenti che contemplino gli obiettivi, le priorità e le linee principali delle azioni previste nel settore delle reti trans-europee; in detti orientamenti sono individuate le caratteristiche dei progetti di interesse comune 2) intraprendere ogni azione che si riveli necessaria per garantire l’interoperabilità delle reti, in particolare nel campo dell’armonizzazione delle norme tecniche. Può inoltre contribuire alla realizzazione di progetti di interesse comune sostenuti dagli Stati membri, individuati nell’ambito degli orientamenti di cui al primo punto, tramite studi di fattibilità, garanzie di prestito o abbuoni di interesse. L’art. 171 TFUE, riferendosi all’insieme di orientamenti, a detta di alcuni, sembrava prefigurare una nuova tipologia di atti atipici, giustificando tale classificazione alla luce del fatto che l’articolo non richiamasse la disposizioni di cui al 288 TFUE, testimoniando la volontà di «escludere un’assimilazione» degli orientamenti ad altri atti a carattere normativo. Questa impostazione è però smentita dalla prassi (avendo il legislatore comunitario ricorso sempre ad atti legislativi tipici) e dalle stesse disposizioni del TFUE, in particolare l’articolo 172, primo paragrafo, in base al quale si dispone che gli orientamenti siano adottati tramite il ricorso alla procedura legislativa ordinaria. Quest’ultima, naturalmente, implica la tipicità degli atti in materia, i quali dovranno dunque essere adottati tramite regolamenti/decisioni o direttive (tertium non datur). Tuttavia, anche se il dato formale è incontrovertibile non è altrettanto incontrovertibile il dato sostanziale. Cioè, permane un elemento dissonante perché le decisioni e più di recente i regolamenti, adottati per definire le politiche per la costruzione delle reti, hanno una natura programmatica. Tale natura rappresenta un ostacolo che pone in discussione la cogenza del regolamento (e quindi in qualche modo la sua natura intrinseca)? Le caratteristiche proprie del regolamento come l’obbligatorietà (ma anche la portata generale e la diretta applicabilità) vengono limitate ma non scompaiono. Gli effetti giuridici vincolanti degli orientamenti si producono, in primo luogo, rispetto ai criteri e ai procedimenti di scelta dei progetti di interesse comune, costituendo, inoltre, lo stesso “un atto di delega” tale da permettere alla Commissione di procedere alla modifica e all’adozione dei progetti. Inoltre, essi fungono da presupposto giuridico ai fini del finanziamento dei vari progetti.
Si diceva che le reti rappresenterebbero un interessante strumento per superare l’approccio prevalentemente nazionale nella materia trasportistica ma è stato correttamente rilevato che anche se a prima vista si potrebbe ritenere che in questo modo sia stato possibile superare l’approccio nazionale di pianificazione delle reti del trasporto a favore di una programmazione interessante il sistema comunitario dei trasporti nel suo complesso, ad una più attenta lettura si trae che in realtà l’Unione europea si limita ad interconnettere reti di trasporto nazionali ossia non fa altro che coordinare le politiche di pianificazione dei singoli Stati membri senza riuscire ad “imporre” una programmazione a livello comunitario (1).
La vanificazione della competenza concorrente: il ruolo di primazia degli Stati
Dalla lettura di queste disposizioni si percepisce, di come, in realtà, vi sia un prevalere, nella scelta e costruzione delle opere, degli interessi e delle discipline nazionali; tale aspetto costituisce una grossa falla del sistema. Questo si ricava in primis dall’art. 172 del TFUE che prevede, al secondo paragrafo, un ruolo da protagonista per gli Stati membri nella scelta delle infrastrutture da realizzare nel proprio territorio disponendo che gli orientamenti ed i progetti di interesse comune che riguardano il territorio di uno Stato membro esigono l’approvazione dello Stato membro interessato (anche se a fare da debole contro-limite figura l’obbligo di motivazione adeguata che lo Stato dovrà fornire all’UE). Quest’ultima norma, in particolare, è quella che più fa dubitare sulla prevalenza delle politiche comunitarie rispetto alle interne e difatti parte della scienza giuridica, asserisce come tale previsione, subordinando per la realizzazione dei progetti pianificati il necessario consenso degli Stati, paventi il concreto rischio sopracitato di far prevalere gli interessi nazionali dei singoli Stati rispetto all’interesse “globale” dell’Unione. Si rileva, inoltre, come tale disciplina delle reti, oltre ad annullare de facto la competenza concorrente in materia (che prevede il venir meno della potestà legislativa degli Stati nel momento nel quale l’Unione decida di regolamentare) non sia neanche sufficientemente puntuale, spesso limitandosi a delle disposizioni generali e incomplete. Ulteriore argomento che rafforza la tesi soprasostenuta riguarda il contenuto dei regolamenti adottati per la programmazione, i quali obbligano gli Stati rispetto all’obiettivo generale di realizzare un determinato progetto (se questi vi hanno acconsentito) ma non definiscono le modalità esecutive/operative. Dovranno essere le normative nazionali a dare determinazione all’opera e, senza di esse, si dubita fortemente della diretta applicazione delle disposizioni comunitarie. Questa circostanza ha dei riflessi anche sull’obbligo del giudice di disapplicare una eventuale normativa contrastante rispetto alle norme programmatiche contenute nei regolamenti: la dottrina maggioritaria ritiene che per le norme nazionali antinomiche a norme programmatiche non si porrebbe l’obbligo di disapplicazione per il giudice nazionale e tale obbligo sussisterebbe, viceversa, solo per le norme con portata prescrittiva. L’impostazione della scienza giuridica prevalente non coinvolge l’ambito delle decisioni amministrative: la decisione amministrativa che si ponga in contraddizione rispetto alle norme programmatiche (ad esempio disponendo la costruzione dell’infrastruttura in un luogo diverso rispetto all’indicazione del tracciato comunitario) si dovrà considerare viziata per eccesso di potere, quindi annullabile.
Riferimenti:
- M. CASANOVA e M. BRIGNARDELLO, Diritto dei trasporti, volume I, Milano, Giuffrè editore, 2011, p.56