Lab-IP

Le resistenze alla digitalizzazione amministrativa: il caso del certificato di proprietà digitale dei veicoli”

Nota a Consiglio di Stato, Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 590 – Pres. Giovagnoli – Est. Grasso

GIORGIO MOCAVINI

1. Il caso

Il 28 settembre 2015 l’Automobile Club d’Italia (Aci) emana una circolare contenente le indicazioni operative necessarie per introdurre il certificato di proprietà digitale dei veicoli. Tale certificato costituisce la principale novità del progetto «Semplific@uto» destinato ad agevolare la gestione del pubblico registro automobilistico e a contribuire alla sua digitalizzazione, nell’ottica di una semplificazione dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e soggetti privati. 

In particolare, il certificato di proprietà, prodotto su supporto elettronico e conservato dall’Aci nei propri archivi telematici, non sarebbe più stato stampato e rilasciato agli utenti. A questi ultimi, infatti, dalla data di entrata in funzione del certificato digitale, sarebbe stata consegnata una ricevuta con personali codici identificativi che avrebbero consentito di visualizzare il documento di proprietà da qualsiasi dispositivo, computer o smartphone, mediante una semplice connessione a internet.

Alla circolare dell’Aci, tuttavia, si oppongono numerosi operatori di settore, i quali lamentano la violazione di una serie di disposizioni legislative e sottolineano come la normativa primaria che disciplina il certificato di proprietà dei veicoli fosse stata di fatto abrogata dalle nuove procedure digitali. Di conseguenza, l’Unione nazionale autoscuole e studi di consulenza automobilistica (Unasca), insieme con altri soggetti interessati, impugna tale circolare di fronte al TAR Lazio, chiedendone l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere. 

Innanzitutto, i ricorrenti sostengono che la forma cartacea del certificato di proprietà fosse stata prevista dalla legge come garanzia idonea a documentare lo stato giuridico del veicolo. Lo dimostrerebbero le previsioni del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, il c.d. Codice della strada, ai sensi delle quali «per i veicoli soggetti ad iscrizione nel PRA oltre la carta di circolazione è previsto il certificato di proprietà rilasciato dallo stesso ufficio»[1] e «in caso di trasferimento di proprietà degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi o nel caso di costituzione di usufrutto o di stipulazione di locazione con facoltà di acquisto il competente ufficio del PRA (…) provvede alla trascrizione del trasferimento o degli altri mutamenti indicati, nonché all’emissione e al rilascio del nuovo certificato di proprietà»[2]. La ricevuta emessa in luogo del certificato, al contrario, rappresenta una mera attestazione del corretto compimento di una serie di formalità burocratiche, senza potere nulla dimostrare in ordine alla proprietà del veicolo. I codici identificativi, poi, consentono la sola visualizzazione dell’atto, ma non anche la sua stampa su carta. 

Altro motivo di gravame è costituito dal fatto che il certificato digitale avrebbe impedito lo svolgimento di alcune funzioni riconosciute dalla legge agli sportelli telematici dell’automobilista, agli uffici di motorizzazione, ai notai e agli uffici comunali[3]. Tali soggetti, infatti, erano stati abilitati a effettuare il trasferimento di proprietà di un autoveicolo autenticando la firma dell’alienante sul retro del certificato di proprietà cartaceo[4]. Nel momento in cui la forma cartacea viene meno, lo svolgimento di questa attività diviene impraticabile.

L’istituzione del certificato digitale da parte dell’Aci, inoltre, può essere qualificata come una surrettizia usurpazione dei poteri del Governo. Quest’ultimo, infatti, ai sensi dell’art. 8, co. 1, lett. d), l. 7 agosto 2015, n. 124 («Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»), era stato delegato ad adottare vari decreti legislativi per la riorganizzazione degli uffici del pubblico registro automobilistico e per la realizzazione di un documento unico contenente i dati di proprietà e di circolazione di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi.

Infine, si sostiene che il certificato digitale, anziché agevolarli, avrebbe reso molto più complessi i processi di gestione del pubblico registro automobilistico, costringendo i cittadini e le imprese a operazioni telematiche maggiormente onerose e dispendiose.

In pendenza del contenzioso, nel giugno 2016, l’Aci adotta una seconda circolare allo scopo di avviare una nuova fase del progetto di dematerializzazione del certificato di proprietà e offrendo nuove istruzioni per ottimizzare ulteriormente i servizi online a beneficio degli uffici e degli utenti. Anche questa circolare viene impugnata innanzi al giudice amministrativo. Nel 2017 il TAR Lazio accoglie tutti i motivi di ricorso, annullando entrambe le circolari[5]. Dal canto proprio, l’Aci propone appello al Consiglio di Stato avverso le sentenze di primo grado.

2. La progressiva digitalizzazione dell’azione amministrativa

Da alcuni anni l’innovazione digitale rappresenta l’obiettivo primario di varie riforme amministrative, sia in Italia, sia all’estero, essendo percepita come condizione imprescindibile per accompagnare il progresso economico[6]. Si ritiene, infatti, che la digitalizzazione non solo aumenti la produttività del settore pubblico, garantendo una maggiore efficacia ed efficienza delle amministrazioni, ma contribuisca anche alla crescita delle imprese, creando il contesto ideale per la nascita e lo sviluppo di nuove attività da parte dei privati[7].

In questa prospettiva, le tecnologie digitali trovano sempre maggiori applicazioni nella semplificazione delle comunicazioni tra cittadini, imprese e amministrazioni[8]; sono adottate per garantire procedure amministrative più snelle e trasparenti[9]; rendono più facili l’archiviazione e il recupero di dati e documenti[10]; servono a ridurre i tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi[11]; favoriscono la cooperazione e il dialogo tra distinti uffici pubblici[12].

Sono innumerevoli i servizi pubblici interessati dalla transizione digitale. L’uso dei sistemi informatici induce a ripensare i processi di apprendimento nelle scuole e nelle università[13]; migliora la gestione dei fascicoli sanitari negli ospedali[14]; cambia le modalità di accesso alla giustizia[15]; concorre alla conservazione e al trattamento dei dati previdenziali e fiscali[16]; potenzia la fornitura dei servizi locali[17]; rafforza la protezione dei dati personali[18]

In generale, la rivoluzione digitale trasforma non solo le modalità con cui gli utenti si interfacciano con le amministrazioni (il c.d. front-office), ma anche l’organizzazione e il metodo di lavoro all’interno delle stesse amministrazioni (il c.d. back-office)[19]. In tale ottica, gli strumenti telematici comportano grandi mutamenti nel modello tradizionale dell’attività amministrativa. In primo luogo, rendono possibile che intere fasi del procedimento avvengano in assenza di un contatto diretto e personale tra l’utente e il funzionario pubblico incaricato[20]. In secondo luogo, la digitalizzazione delle procedure si riverbera inevitabilmente sulla forma degli atti amministrativi, che non è più cartacea, bensì informatica[21]. Infine, in alcune circostanze e a determinate condizioni, il provvedimento amministrativo può perfino derivare dall’applicazione di un algoritmo[22]

Di fronte a tutte queste trasformazioni può sembrare quasi anacronistico che al Consiglio di Stato pervenga una controversia come quella oggetto della sentenza in commento, in cui si contesta il passaggio da un certificato stampato a uno digitale. In realtà, il caso in esame non solo mostra quanto sia complesso attuare la digitalizzazione dell’azione amministrativa[23], ma offre anche lo spunto per provare a rispondere ad alcuni quesiti fondamentali. Innanzitutto, ci si deve chiedere, in generale, se un atto informatico abbia la stessa validità di certificazione di un documento su carta e, in particolare, se la sostituzione del primo col secondo sia compatibile con la normativa che regola il pubblico registro automobilistico. Occorre domandarsi, inoltre, se l’Automobile Club d’Italia, in quanto ente pubblico, sia investito delle attribuzioni e competenze necessarie per l’introduzione di sistemi informatici per la gestione di tale registro. Infine, dato che i ricorrenti originari lamentano la maggiore complessità delle procedure informatiche necessarie per ottenere il certificato di proprietà digitale, è opportuno soffermarsi sulla questione se la digitalizzazione comporti sempre una semplificazione dell’azione amministrativa. 

3. La compatibilità del certificato di proprietà digitale con la normativa relativa alla proprietà dei veicoli

La prima questione sulla quale il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi è se il certificato di proprietà digitale introdotto dall’Aci sia ammissibile nel quadro della normativa esistente. In primo grado, infatti, il giudice amministrativo aveva accolto le tesi dei ricorrenti originari. In particolare, poiché la forma digitale non si concretizza nel rilascio del certificato all’utente, essa violerebbe alcune disposizioni del Codice della strada[24], contrasterebbe con la normativa che disciplina gli sportelli telematici dell’automobilista[25], e sarebbe esclusa persino dal Codice dell’amministrazione digitale, che ammette l’archiviazione di documenti anche in forma cartacea[26].

Questa valutazione della cornice normativa viene ribaltata dal Consiglio di Stato, che propone, anzitutto, una interpretazione evolutiva e adeguatrice delle norme del Codice della strada, osservando che quest’ultimo, al momento della sua entrata in vigore, semplicemente non poteva prendere in considerazione una tecnologia ancora non inventata[27]. In sostanza, ai fini della digitalizzazione dei documenti e degli atti amministrativi, è sufficiente una base legislativa di carattere generale, come quella rappresentata dal Codice dell’amministrazione digitale. Se così non fosse, infatti, ragionando a contrario, qualunque innovazione tecnica adottata dalla pubblica amministrazione dovrebbe essere approvata mediante legge, aggravando oltremodo il circuito legislativo e rendendo del tutto insufficiente la capacità degli enti pubblici di adattarsi alle trasformazioni sociali ed economiche[28].

Appare paradossale, inoltre, la convinzione secondo cui uno sportello, non a caso «telematico», concepito nell’ottica della semplificazione e tenuto a usufruire di tutti gli strumenti informatici necessari per facilitare la vita dei cittadini, sia obbligato a produrre certificati esclusivamente cartacei[29]. Allo stesso modo desta non poche perplessità la lettura in virtù della quale il Codice dell’amministrazione digitale, che dovrebbe orientare e guidare l’informatizzazione della pubblica amministrazione, finirebbe per dettare obblighi in materia di conservazione di documenti cartacei. A questo proposito, il Consiglio di Stato mette in evidenza l’erroneità e l’illogicità dell’argomentazione del TAR, accogliendo la quale si dovrebbe concludere nel senso che il Codice dell’amministrazione digitale prescriva che «il documento possa essere formato in doppio originale (uno necessariamente digitale ed uno cartaceo, a richiesta): esito non plausibile, una volta che si osservi che la funzionalità del certificato di proprietà per cui è causa è ancorata proprio alla sua unicità (che ammette, all’occorrenza, duplicati o, semmai, copie conformi, ma non la reduplicazione)»[30].

Sulla base di tali considerazioni, il Consiglio di Stato chiarisce che lo strumento del certificato di proprietà digitale è del tutto coerente con la normativa di riferimento e che non vi è alcuna disposizione che stabilisca la necessità di certificati in forma cartacea. 

Il TAR, d’altra parte, aveva giustificato la propria posizione prospettando la diversa validità del certificato su carta rispetto a quello digitale. A parere del giudice di primo grado, infatti, la ricevuta che viene consegnata a seguito dell’elaborazione del certificato di proprietà digitale costituirebbe una mera attestazione di formalità, che dimostra il compimento di un’operazione nella gestione del pubblico registro automobilistico, non svolgendo una vera e propria funzione di certificazione. In altri termini, mentre il certificato cartaceo è idoneo a dimostrare la proprietà del veicolo registrato, non altrettanto potrebbe dirsi per la ricevuta, che confermerebbe solo l’avvenuto compimento della procedura di registrazione. Il documento cartaceo, perciò, sarebbe un vero certificato, mentre quello digitale no. Tale concezione sembra piuttosto singolare, perché lascia intendere che il certificato cartaceo abbia una natura giuridica e una validità intrinsecamente superiori al documento informatico, quando da molti anni, al contrario, il legislatore si è sempre preoccupato di equiparare la forma elettronica a quella cartacea, allo scopo di favorire la digitalizzazione dell’attività amministrativa[31]

Anche sotto questo profilo, il Consiglio di Stato capovolge la decisione del TAR. L’attenzione del giudice, infatti, dovrebbe concentrarsi sulla modalità di rilascio del certificato digitale. Mentre del documento cartaceo si poteva estrarre copia, del certificato digitale si può ottenere una ricevuta che attesta il perfezionamento del procedimento e, riportando i codici identificativi personali, consente in ogni momento l’accesso ai sistemi informatici e la verifica dell’esistenza del certificato. La ricevuta in sé non svolge alcuna funzione di certificazione, ma permette di accedere al certificato digitale vero e proprio. Di conseguenza, il certificato digitale non solo è in tutto e per tutto equiparabile a quello cartaceo dal punto di vista funzionale, ma garantisce ulteriormente il cittadino, proteggendolo dai pericoli di eventuali frodi e smarrimenti ai quali il foglio di carta si espone[32].

4. Le attribuzioni dell’Aci in materia di informatizzazione delle procedure di gestione del pubblico registro automobilistico

Un secondo aspetto meritevole di attenzione riguarda le facoltà riconosciute agli enti pubblici nell’ambito dell’informatizzazione dei procedimenti amministrativi. La normativa fondamentale è rappresentata dal già citato Codice dell’amministrazione digitale. Quest’ultimo assegna alle pubbliche amministrazioni il compito «di formare gli originali dei propri documenti, inclusi quelli inerenti ad albi, elenchi e pubblici registri, con mezzi informatici»[33] e di gestire «i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione»[34]. Impone, inoltre, a ciascun ente pubblico l’obbligo di conservazione elettronica di atti e documenti[35], nonché la sostituzione degli archivi cartacei con quelli informatici[36]. Da queste disposizioni appare evidente che i soggetti che rivestono funzioni pubblicistiche abbiano l’onere di provvedere all’ammodernamento delle proprie strutture, di acquisire idonei e sempre aggiornati apparecchi elettronici e di riorganizzare le sequenze procedimentali in funzione delle potenzialità offerte dalla digitalizzazione[37]. L’obiettivo del codice, dunque, è garantire che il passaggio dalla carta al digitale non si esaurisca solo in una mera sostituzione tra supporti, ma consenta anche di trasformare in radice l’attività amministrativa[38], sul presupposto che oggi «una buona PA o è digitale o non è»[39]. Di conseguenza, risulta quasi naturale che il codice si preoccupi, da un lato, di stabilire un obbligo generale in capo a tutte le pubbliche amministrazioni, affinché queste si impegnino per adottare sistemi informatici d’avanguardia, dall’altro, di predisporre una governance istituzionale unitaria che eviti la frammentazione e assicuri il coordinamento e il coerente sviluppo dei processi digitali pubblici[40]

Occorre sottolineare, poi, che agli obblighi delle pubbliche amministrazioni corrispondono anche precisi diritti per gli utenti, i «diritti della cittadinanza digitale», consacrati nel Codice dell’amministrazione digitale per effetto del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179 e del d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217[41]. Si stabilisce, infatti, che tutti hanno diritto di utilizzare gli strumenti digitali indicati dal Codice nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, anche ai fini della partecipazione al procedimento amministrativo[42]. Ai cittadini è riconosciuto il diritto di avvalersi di mezzi telematici per verificare lo stato di avanzamento di un procedimento amministrativo e per individuare il funzionario e l’ufficio responsabili del medesimo procedimento[43]. Le amministrazioni, inoltre, sono tenute a migliorare la qualità dei propri provvedimenti attraverso l’uso di forme di consultazione pubblica preventiva per via telematica sugli schemi di atti da adottare[44]. In favore di cittadini e imprese, infine, è sancito il diritto di inviare comunicazioni e documenti alle pubbliche amministrazioni tramite un domicilio digitale[45].

Il progetto «Semplific@uto» elaborato dall’Aci sembra essere in sintonia con le previsioni appena esaminate. Esso, infatti, si propone di dematerializzare in maniera graduale le procedure connesse alla gestione delle pratiche relative agli autoveicoli. Nel settembre 2013 era già stata conseguita la conservazione elettronica dei registri progressivi degli autoveicoli. Nel gennaio 2014 era stata introdotta la digitalizzazione delle istanze di rimborso degli importi del pubblico registro automobilistico. Dal luglio 2015 si erano sperimentate le modalità telematiche di archiviazione dei fascicoli del pubblico registro automobilistico negli uffici dell’Aci delle province «pilota» di Roma, Chieti, Pordenone e Cosenza. Il certificato di proprietà digitale, dunque, rappresenta solo l’ultima tappa di un lungo percorso di transizione tecnologica intrapreso dall’Aci. 

Ad avviso delle imprese di settore, tuttavia, il quadro normativo precluderebbe all’Aci la possibilità di attuare innovazioni informatiche nella gestione del pubblico registro automobilistico. Innanzitutto, la direttiva contenuta nella contestata circolare, secondo cui il certificato digitale dovrebbe interamente sostituirsi alla carta, non troverebbe fondamento nel Codice dell’amministrazione digitale, nel quale, come osservato dal TAR, «non è dato (…) rinvenire alcuna norma che impedisca al cittadino che ha acquistato un veicolo o che ha effettuato il trasferimento della proprietà di esso di ottenere una copia cartacea del certificato, seppure mediante il pagamento di un importo minimo per la carta usata, come si fa in altre analoghe circostanze»[46].

Tale prospettiva, tuttavia, è facilmente rovesciata dal Consiglio di Stato, che valorizza le disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale precedentemente richiamate: «appare disagevole non riconoscere che l’impegnativo progetto elaborato da ACI si ispira proprio alla direttiva, rinveniente dal Codice dell’amministrazione digitale (…) per la surrogazione del cartaceo con il digitale, al preordinato fine di assicurare e regolare la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell’informazione e della comunicazione»[47]. A ciò si aggiunga che l’impegno per la digitalizzazione delle procedure, oltre a essere ispirato dal codice, era stato ulteriormente prescritto dal d.m. 21 marzo 2013 del Ministro dell’economia e delle finanze[48]. Con tale decreto, infatti, si approvava una nuova tabella tariffaria per le operazioni dell’Aci, tenendo conto della «necessità di garantire l’autonomo equilibrio economico-finanziario del servizio (…) anche in funzione della realizzazione, da parte dell’Automobile Club d’Italia di ulteriori iniziative di semplificazione e digitalizzazione dell’istituto in linea con le prescrizioni di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale, e con gli obiettivi previsti dall’Agenda digitale italiana»[49].

Il fatto che il certificato di proprietà digitale, inoltre, non possa essere stampato e consegnato al privato che ne faccia richiesta è valutato positivamente dal Consiglio di Stato, perché la stampa del file, da una parte, vanificherebbe la digitalizzazione del documento, comportando inutili e dannose duplicazioni[50], dall’altra, non stimolerebbe la consultazione online del documento, che viene costantemente aggiornato[51].

Altra questione controversa riguarda il possibile contrasto del progetto «Semplific@uto» con la l. n. 124/2015, che delega al Governo il compito di mettere in atto «il trasferimento (…) delle funzioni svolte dagli uffici del Pubblico registro automobilistico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con conseguente introduzione di un’unica modalità di archiviazione finalizzata al rilascio di un documento unico contenente i dati di proprietà e di circolazione di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi»[52]. L’Aci non avrebbe dovuto proseguire nell’attuazione di tale progetto, essendo le proprie competenze attribuite direttamente in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed essendo prevista l’istituzione di un documento unico nel quale vengono concentrati tutti i dati e le caratteristiche riguardanti i veicoli[53]. È utile notare che il Ministero, chiamato a costituirsi in giudizio per integrare il contraddittorio, si è mostrato critico nei confronti dell’operato dell’Aci, condividendo la posizione dei ricorrenti originari e sostenendo di avere prontamente sospeso, a seguito della l. n. 124/2015, un analogo progetto informatico di dematerializzazione delle istanze di immatricolazione e di trasferimenti di proprietà dei veicoli. 

Tale assunto, accolto dal giudice amministrativo di primo grado, è ribaltato dal Consiglio di Stato, che, oltre alla l. n. 124/2015, prende in considerazione anche il successivo decreto attuativo, ossia il d.lgs. 29 maggio 2017, n. 98[54]. Quest’ultimo dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2020, la carta di circolazione sarà il documento unico contenente i dati di circolazione e di proprietà degli autoveicoli[55]. Fino a quella data, tuttavia, i certificati di proprietà, anche in formato elettronico, rilasciati in precedenza mantengono la loro validità[56]. Per il Consiglio di Stato, tale disposizione transitoria rappresenta una positiva conferma del riconoscimento, nelle more dell’implementazione del nuovo sistema incentrato sul documento unico, della piena legittimità del progetto «Semplific@auto» e delle circolari oggetto di gravame.

5. Il connubio tra digitalizzazione e semplificazione

Da ultimo è necessario sottoporre ad analisi gli argomenti usati dalle imprese di settore per dimostrare come il certificato di proprietà digitale introdotto dall’Aci, lungi dal semplificare, costituirebbe un ulteriore aggravio procedurale per gli utenti e per gli operatori economici.

Sotto il primo profilo, poiché la visualizzazione del certificato è possibile solo attraverso l’uso di apposite tecnologie, quei cittadini, che per età anagrafica o per condizioni culturali o socio-economiche non siano in grado di avvalersi di tali tecnologie, sarebbero costretti a rivolgersi agli sportelli telematici dell’automobilista o agli uffici della motorizzazione civile. Si tratta di affrontare, anche con riferimento al nuovo certificato di proprietà, l’annoso problema dell’alfabetizzazione digitale, che è stato recentemente oggetto di indagine da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie e della comunicazione[57]. La Commissione, infatti, ha osservato come nel 2016 solo il ventiquattro per cento degli italiani si è avvalso dei servizi di e-government, a fronte della media europea che si attesta poco al di sopra del cinquanta per cento e di quella, ancora più alta, di Paesi come Francia, Germania e Regno Unito[58].

Sotto il secondo profilo, gli operatori del settore, per potere accedere ai certificati digitali, sarebbero tenuti a utilizzare necessariamente l’applicativo informatico predisposto dall’Aci, con un inevitabile appesantimento della gestione del pubblico registro automobilistico. Stessa sorte toccherebbe agli uffici della motorizzazione civile, obbligati ad adeguarsi a un nuovo sistema informatico di cui non sono esperti, con conseguenti ritardi nello svolgimento delle pratiche relative ai veicoli. Di fatto, il certificato digitale si tradurrebbe in un onere gravoso tanto per i consulenti privati, quanto per le pubbliche amministrazioni.

Il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, non approfondisce la questione, postulando che il processo di digitalizzazione determini sempre una semplificazione delle procedure amministrative[59]. D’altro canto, il Consiglio di Stato, pur consapevole delle difficoltà legate al divario digitale che si riscontra nella popolazione italiana, ha spesso dimostrato di sostenere con forza il principio c.d. digital first, in base al quale il digitale dovrebbe divenire il canale principale per tutte le attività amministrative[60].

Ad ogni modo sembra opportuno soffermarsi brevemente sul rapporto tra digitalizzazione e semplificazione. Nonostante che tale rapporto sia strettissimo, perché effettivamente la digitalizzazione dell’attività amministrativa è stata prevista e incoraggiata nell’ottica della semplificazione dell’azione delle amministrazioni, le due nozioni devono comunque essere tenute separate, considerato che la semplificazione dell’attività amministrativa può essere conseguita in molteplici modi e anche con strumenti diversi dalle nuove tecnologie[61]. Inoltre, nel breve periodo, la digitalizzazione comporta più complicazioni che semplificazioni e più costi che risparmi: si pensi alle spese di adeguamento dei plessi amministrativi alle innovazioni elettroniche o ai costi di formazione del personale. Indubbiamente, sempre nel breve termine, anche la vita dei cittadini potrebbe divenire più complessa: per avviare i tradizionali procedimenti amministrativi a istanza di parte, per esempio, agli utenti può essere richiesto di registrarsi online, di acquisire una identità digitale e di imparare a usare strumenti tecnici del tutto nuovi. La digitalizzazione, insomma, impone alle amministrazioni e ai cittadini di mutare abitudini consolidate e familiari. 

Una lettura meno superficiale del fenomeno della digitalizzazione, tuttavia, conduce a riflettere sul lungo termine. Una volta che i meccanismi digitali siano entrati a regime, infatti, la semplificazione dell’attività amministrativa e della vita dei cittadini è evidente e rilevante. I costi iniziali per digitalizzarsi rappresentano solo un investimento che, col trascorrere del tempo, migliora la qualità dei servizi pubblici e ha effetti positivi nelle relazioni tra amministrazioni e utenti. 

Quanto appena sostenuto può valere anche per il certificato di proprietà digitale dei veicoli. La sua introduzione può forse avere cagionato un effetto disorientamento negli automobilisti e può anche avere provocato insoddisfazione in alcuni operatori di settore, costretti ad adattarsi a una differente procedura informatica. Nel lungo periodo, tuttavia, non vi è dubbio che essa faciliti la gestione del pubblico registro automobilistico, senza che ciò escluda eventuali e ulteriori semplificazioni, come quelle prospettate dal d.lgs. n. 98/2017 in riferimento al documento unico (magari digitale) dei dati dei veicoli.

6. Le resistenze alla digitalizzazione della pubblica amministrazione

In conclusione, sebbene il Consiglio di Stato abbia riformato la sentenza di primo grado e riconosciuto la piena legittimità dell’introduzione del certificato di proprietà digitale dei veicoli, il fatto che vi siano controversie aventi per oggetto la forma elettronica degli atti amministrativi induce a una serie di riflessioni. Innanzitutto, il caso giurisprudenziale esaminato pone in risalto la diffidenza con cui nel nostro ordinamento vengono accolte le trasformazioni digitali. L’atto informatico viene considerato meno sicuro del tradizionale atto cartaceo, di più difficile consultazione, di meno agevole reperibilità. Tale atteggiamento di sospetto è forse conseguenza dell’importanza che le forme assumono, in generale, nella cultura giuridica italiana e, in particolare, nell’attività dell’amministrazione[62]. Emerge, poi, un problema più ampio di coordinamento tra pubbliche amministrazioni nei processi di digitalizzazione. Il fatto che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti contesti le attribuzioni dell’Automobile Club d’Italia rende manifesto come la frammentazione delle competenze amministrative si ripercuota negativamente sul grado di informatizzazione della macchina burocratica[63]. Infine, è opportuno sottolineare che, a differenza di altre circostanze in cui i maggiori ostacoli alla digitalizzazione dell’azione amministrativa derivano dalle stesse amministrazioni, il caso in commento dimostra che un freno alla digitalizzazione può giungere anche dagli operatori economici privati. Il superamento di tutte queste resistenze culturali e materiali determinerà il successo o meno di molte altre misure di digitalizzazione dell’ordinamento italiano.


[1] Art. 93, co. 5, d.lgs. n. 285/1992, nella formulazione precedente alle modifiche apportate dal d.lgs. 29 maggio 2017, n. 98 («Razionalizzazione dei processi di gestione dei dati di circolazione e di proprietà di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, finalizzata al rilascio di un documento unico, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera d), della legge 7 agosto 2015, n. 124»).

[2] Art. 94, co. 1, d.lgs. n. 285/1992, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 98/2017.

[3] Si tratta delle funzioni previste dall’art. 7, d. l. 4 luglio 2006, n. 223 («Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale»), convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248.

[4] In applicazione dell’art. 10, d. m. 2 ottobre 1992, n. 514 (recante «Regolamento sulle modalità e le procedure concernenti il funzionamento degli uffici del pubblico registro automobilistico, la tenuta degli archivi, la conservazione della documentazione prescritta, la elaborazione e fornitura dei dati e delle statistiche dei veicoli iscritti, la forma, il contenuto e le modalità di utilizzo della modulistica occorrente per il funzionamento degli uffici medesimi, nonché i tempi di attuazione delle nuove procedure, in attuazione dell’art. 7 della legge 9 luglio 1990, n. 187») emanato in attuazione dell’art. 7, l. 9 luglio 1990, n. 187 («Norme in materia di tasse automobilistiche e automazione degli uffici del pubblico registro automobilistico»).

[5] Si vedano le sentenze TAR Lazio, Sez. III-quater, 6 dicembre 2017, nn. 12066 e 12067 e Id., 7 dicembre 2017, n. 12120. 

[6] È sufficiente richiamare G. Napolitano, Le riforme amministrative in Europa all’inizio del ventunesimo secolo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, 2, 611 ss. per constatare quante riforme siano state ispirate, in numerosi Paesi, dall’idea di recuperare efficienza amministrativa attraverso il potenziamento degli strumenti digitali. Con particolare riferimento all’esperienza dell’Italia si segnala il rapporto di C. M. Arpaia, P. Ferro, W. Giuzio, G. Ivaldi, D. Monacelli, L’E-Government in Italia: situazione attuale, problemi e prospettive, in Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, 2015.

[7] Sul ruolo strategico rivestito dalle amministrazioni nell’innescare un circuito virtuoso tra nuove tecnologie e sviluppo economico si vedano F. Onida, Lo Stato facilitatore: elementi per una teoria della politica industriale nel contesto europeo, in F. Onida, G. Viesti (a cura di), Una nuova politica industriale in Italia. Investimenti, innovazione, trasferimento tecnologico, Bagno a Ripoli (FI), Passigli, 2016, 13 ss. e M. Clarich, Istituzioni, nuove tecnologie, sviluppo economico, in Dir. pubbl., 2017, 1, 75 ss.

[8] In proposito, si prendano in considerazione i servizi di posta elettronica certificata e l’uso della firma digitale, su cui è disponibile la rassegna giurisprudenziale di G. Sgueo, L’amministrazione digitale, in questa Rivista, 2016, 1, 114 ss. In generale, sulla semplificazione dei rapporti tra amministrazione e privati come conseguenza delle trasformazioni digitali si rinvia a C. R. Sunstein, Semplice. L’arte del governo nel terzo millennio, Milano, 2014, 163 ss.

[9] Il legislatore, non a caso, ha moltiplicato gli obblighi di pubblicazione sul web in nome di una maggiora trasparenza dell’azione amministrativa. Si vedano B. Ponti (a cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Rimini, Maggioli, 2013 e E. D’Alterio, La trasparenza amministrativa, in B. G. Mattarella, E. D’Alterio (a cura di), La riforma della pubblica amministrazione. Commento alla Legge 124/2015 (Madia) e ai decreti attuativi, Milano, 2017, 165 ss.

[10] Si fa riferimento ai big data, sui quali è utile la lettura di G. Carullo, Big data e pubblica amministrazione nell’era delle banche dati interconnesse, in Conc. merc., 2016, 181 ss. 

[11] Su questo si veda D. De Grazia, Informatizzazione e semplificazione dell’attività amministrativa nel “nuovo” codice dell’amministrazione digitale, in Dir. pubbl., 2011, 611 ss.

[12] In argomento si leggano F. Merloni (a cura di), Introduzione all’e-government. Pubbliche amministrazioni e società dell’informazione, Torino, 2005 e G. Vesperini (a cura di), L’E-Government, Milano, 2004.

[13] In tema di digitalizzazione e processi di apprendimento si veda V. Campione (a cura di), La didattica nell’era digitale, Bologna, 2015.

[14] Sugli scenari di crescita digitale nei servizi sanitari si rinvia ad Aa.Vv., Opportunità digitali: crescita e innovazione, paper Astrid-Google, aprile 2017.

[15] Si pensi, a titolo esemplificativo, alle potenzialità e ai rischi connessi al processo amministrativo telematico, su cui si leggano M. L. Maddalena, La digitalizzazione della vita dell’amministrazione e del processo, in Foro amm., 2016, 10, 2535 ss. e A. Travi, Le nuove sfide della giustizia amministrativa, in questa Rivista, 2017, 2, 173 ss.

[16] Sul punto si veda E. Carloni, Tendenze recenti e nuovi principi della digitalizzazione pubblica, in questa Rivista, 2015, 2, 148 ss. 

[17] Si consideri, per esempio, il ruolo delle amministrazioni nella definizione dei progetti di smart cities e di smart communities. Su questi argomenti, in generale, è opportuno rinviare a G. Dall’Ò, Smart City. La rivoluzione intelligente delle città, Bologna, 2014.

[18] Sui problemi di integrità, disponibilità e sicurezza dei dati in possesso delle amministrazioni si leggano F. Cardarelli, Amministrazione digitale, trasparenza e principio di legalità, in Dir. inform., 2015, 2, 227 ss. e F. Pizzetti (a cura di), Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e innovazione, Torino, 2018.

[19] In questa prospettiva si veda F. Costantino, L’uso della telematica nella pubblica amministrazione, in A. Romano (a cura di) L’azione amministrativa. Saggi sul procedimento amministrativo, Torino, 2016, 246 ss.

[20] Si è osservato che «dall’iniziativa, allo svolgimento dell’istruttoria, alla partecipazione, alla forma dell’atto, agli adempimenti necessari per la piena efficacia dello stesso, lo svolgimento della funzione amministrativa risulta profondamente inciso e conformato in maniera innovativa dall’avvento delle ICT» (P. Otranto, Decisione amministrativa e digitalizzazione della p.a., in www.federalismi.it, 17 gennaio 2018, 14).

[21] Si passa, in pratica, dall’État papier all’État électronique. Si vedano A. Masucci, Erogazione on line dei servizi pubblici e teleprocedure amministrative. Disciplina giuridica e riflessi sull’azione amministrativa, in Dir. pubbl., 2003, 3, 991 ss. e, con particolare riferimento al fascicolo informatico, Id., Procedimento amministrativo e nuove tecnologie. Il procedimento amministrativo elettronico a istanza di parte, Torino, 2011, 25 ss. 

[22] Sull’uso degli algoritmi nell’attività amministrativa si legga la recente sentenza Tar Lazio, Sez. III-bis, 14 febbraio 2017, n. 3769, relativa alla definizione elettronica delle graduatorie per i trasferimenti interprovinciali dei docenti delle scuole. Sugli scenari futuri delle applicazioni dell’intelligenza artificiale si veda anche il recente Agenzia per l’Italia digitale, Libro bianco sull’Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino, marzo 2018, disponibile online al sito https://www.agid.gov.it/it/argomenti/intelligenza-artificiale.

[23] Lo osservano anche S. Civitarese Matteucci, L. Torchia, La tecnificazione dell’amministrazione, in Id. (a cura di), La tecnificazione, vol. 4, in L. Ferrara, D. Sorace (a cura di), A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana, Firenze, Firenze University Press, 2016, 7 ss., secondo i quali «siamo ancora in una fase di transizione e anzi l’esperienza quotidiana ci dice che grandi pezzi dell’amministrazione italiana continuano a operare attraverso le famose scartoffie di tanta pregevole letteratura otto-novecentesca, ma non è difficile prevedere che nel giro di non molti anni (…) anche le ‘transazioni’ amministrative saranno normalmente digitali (…)» (10).

[24] Sia l’art. 93, co. 5, sia l’art. 94, co. 1, d.lgs. n. 285/1992, come già visto, prevedono il rilascio del certificato di proprietà dei veicoli in favore dei cittadini. A ciò sia aggiunga la previsione contenuta nell’art. 7, co. 2, l. 9 luglio 1990, n. 187 («Norme in materia di tasse automobilistiche e automazione degli uffici del pubblico registro automobilistico»), che stabilisce anch’essa l’obbligo di rilascio del certificato per gli utenti.

[25] Si fa riferimento all’art. 2, d.p.R. 19 settembre 2000, n. 358 («Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento relativo all’immatricolazione, ai passaggi di proprietà e alla reimmatricolazione degli autoveicoli, dei motoveicoli e dei rimorchi»), ai sensi del quale «è istituito lo sportello telematico dell’automobilista. Lo sportello rilascia, contestualmente alla richiesta, i documenti di circolazione e di proprietà relativi alle operazioni di immatricolazione, reimmatricolazione e passaggio di proprietà».

[26] È quanto stabilito dall’art. 43, co. 3, d.lgs. n. 82/2005: «i documenti informatici, di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, possono essere archiviati per le esigenze correnti anche con modalità cartacee (…)».

[27] Per il Consiglio di Stato, infatti, «un diverso intendimento, che pretendesse di salvaguardare di necessità modalità di conservazione cartacea, per più rispetti obsoleta oltreché maggiormente onerosa sotto il profilo non meno tecnico che economico, confligge con la direttiva (…) di una interpretazione evolutiva (ed adeguatrice) degli elementi tecnico-normativi delle fattispecie giuridiche (…)» (punto 2.1 in diritto). In generale, sulle funzioni del Codice della strada, si legga M. Clarich, Il nuovo codice della strada tra «fallimenti del mercato» e disciplina amministrativa di settore, in Dir. amm., 1995, 2, 181 ss.

[28] Sui rischi di ossificazione della legislazione, nonché sugli effetti negativi della bulimia del legislatore, impegnato a disciplinare minuziosamente l’attività e l’organizzazione amministrativa, si rinvia a B. G. Mattarella, La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, 2011, p. 38 ss.

[29] Lo sportello telematico dell’automobilista è una innovazione che va ascritta alla più ampia stagione di riforme amministrative della metà degli anni novanta del ventesimo secolo. Sugli sforzi di digitalizzazione di vari servizi in quegli anni si leggano F. Petricone, Semplificazione amministrativa e legislativa nella legge Bassanini quater n. 50 dell’8 marzo 1999, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, 663 ss. e F. Bassanini, Vent’anni di riforme del sistema amministrativo italiano (1990-2010), in Astrid Rassegna, 2010, 4.

[30] Si veda il punto 2.2 in diritto della sentenza in commento.

[31] In un certo senso, l’equiparazione tra documento informatico e atto cartaceo è una condizione necessaria per garantire il successo della «rivoluzione digitale». In tema si legga G. Piperata, Cittadini e imprese di fronte all’amministrazione digitale, in Diritto, mercato, tecnologia, 2016, 2, 165 ss.

[32] Sulla perfetta identificazione tra atto amministrativo informatico e atto amministrativo, nonché sui vantaggi che il primo presenta rispetto al secondo, si rinvia a A. Contaldo, L. Marotta, L’informatizzazione dell’atto amministrativo: cenni sulle problematiche in campo, in Dir. inf., 2002, 3, 571 ss.

[33] Art. 40, d.lgs. n. 82/2005. Per un’analisi delle forme elettroniche dei provvedimenti amministrativi si rinvia a A. G. Orofino, Forme elettroniche e procedimenti amministrativi, Bari, 2008, 73 ss.

[34] Art. 41, d.lgs. n. 82/2005. Il Codice non si limita a stabilire che i tradizionali procedimenti siano condotti con strumenti informatici, ma vincola le amministrazioni a ripensare i procedimenti stessi per sfruttare al meglio le nuove tecnologie. Su questo si leggano A G. Orofino, L’informatizzazione dell’attività amministrativa nella giurisprudenza e nella prassi, in questa Rivista, 2004, 12, 1371 ss. e C. Notarmuzi, Il procedimento amministrativo informatico, in Le amministrazioni pubbliche tra conservazione e riforme. Omaggio degli allievi a Sabino Cassese, Milano, 2008, 241 ss.

[35] Si veda l’art. 43, co. 1, d.lgs. n. 82/2005, che prevede che «gli obblighi di conservazione e di esibizione di documenti si intendono soddisfatti a tutti gli effetti di legge a mezzo di documenti informatici, se le relative procedure sono effettuate in modo tale da garantire la conformità ai documenti originali (…)».

[36] A ciò mira l’art. 42, d.lgs. n. 82/2005, quando prescrive che «le pubbliche amministrazioni valutano in termini di rapporto tra costi e benefici il recupero su supporto informatico dei documenti e degli atti cartacei dei quali sia obbligatoria o opportuna la conservazione e provvedono alla predisposizione dei conseguenti piani di sostituzione degli archivi cartacei con archivi informatici (…)».

[37] Quest’ultimo dato, in particolare, è messo in evidenza da M. Bombardelli, Informatica pubblica, e-government e sviluppo sostenibile, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2002, 5, 991 ss., secondo il quale i principali ostacoli all’informatizzazione dell’amministrazione italiana sono stati la «convinzione che il procedimento informatico potesse essere la semplice riproduzione attraverso la tecnologia informatica dei procedimenti amministrativi tradizionali» e il «timore che qualsiasi scostamento dallo schema di questi ultimi avrebbe condotto alla rilevazione di vizi formali dell’attività amministrativa».

[38] Si può sostenere che questo sia stato fin dall’inizio uno degli scopi primari del codice dell’amministrazione digitale. Sul punto si veda D. A. Limone, Il Codice dell’Amministrazione digitale. Verso un’amministrazione nuova e moderna, in M. Mancarella (a cura di), Profili negoziali e amministrativi dell’amministrazione digitale, Trento, Tangram, 2009, 137 ss.

[39] È l’efficace espressione utilizzata dal rapporto di Associazione Amici di Marco Biagi e Forum PA, Reinventare lo Stato. Rapporto sulle pubbliche amministrazioni in Italia, 2018, disponibile online al sito: http://www.amicimarcobiagi.com/category/pubblica-amministrazione/, 92.

[40] Non è un caso che il rafforzamento della governance istituzionale in materia digitale sia stato uno dei motivi ispiratori della riforma del codice attuata tramite la l. n. 124/2015 e dei successivi decreti delegati. In tema si rinvia a B. Carotti, La digitalizzazione, in B. G. Mattarella, E. D’Alterio (a cura di), La riforma della pubblica amministrazione. Commento alla legge 124/2015 (Madia) e ai decreti attuativiop. cit., 73 ss.

[41] Si tratta dei decreti attuativi della l. n. 124/2015 che modificano il Codice dell’amministrazione digitale. Sui contenuti e sulla portata di tali decreti si rinvia a B. Carotti, L’amministrazione digitale: le sfide culturali e politiche del nuovo Codice, in questa Rivista, 2017, 1,7 ss. e Id., Il correttivo al codice dell’amministrazione digitale: una meta-riforma, in questa Rivista, 2018, 2, 131 ss.

[42] Art. 3, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 179/2016.

[43] Art. 3, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 179/2016.

[44] Art. 9, d.lgs. n. 82/2005, come modificato dal d.lgs. n. 179/2016.

[45] Ibidem. Il domicilio digitale è definito come «un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato» (art. 1, co. 1, lett. n-ter), d.lgs. n. 82/2005).

[46] Si veda TAR Lazio, Sez. III-quater, n. 12066/2017, punto 3.2 in diritto.

[47] Punto 2.1 in diritto della sentenza in esame. Nella propria giurisprudenza, peraltro, il Consiglio di Stato non manca di evidenziare come, in certi casi, la digitalizzazione non sia una semplice facoltà, ma un vero e proprio obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni. Così, per esempio, si è stabilito che il Comune è tenuto a garantire l’accesso da remoto al proprio sistema informatico (Cons. St., Sez. V, 8 giugno 2018, n. 3486) o che i collaboratori volontari dei patronati hanno diritto di accedere con apposita password alle banche dati previdenziali per svolgere le pratiche dei loro assistiti (Cons. St., Sez. III, 29 marzo 2018, n. 2009).

[48] Recante «Adeguamento del sistema tariffario da corrispondere all’Automobile Club d’Italia – ACI per le attività relative alla tenuta del Pubblico Registro Automobilistico».

[49] Si veda, in generale, il preambolo del d.m. 21 marzo 2013.

[50] Quello della duplicazione dei documenti, nel doppio formato digitale e cartaceo, è il rischio più grosso di qualsiasi processo di digitalizzazione, sul quale la scienza giuridica ha da tempo messo in guardia. Su questo si veda l’analisi dell’esperienza di digitalizzazione italiana compiuta da F. Di Mascio, A. Natalini, Oltre il New Public Management. Le riforme amministrative tra meccanismi e contesti, Roma, 2018, 35 ss.

[51] Mentre la stampa restituisce un documento «statico», il flusso dei dati incamerati online è dinamico e offre la rappresentazione più aggiornata possibile della realtà.

[52] Art. 8, co. 1, lett. d), l. n. 124/2015.

[53] Il TAR Lazio, Sez. III-quater, n. 12066/2017 osserva che «attraverso il progetto sperimentale Semplific@uto in sostanza Aci tenta di precostituire il proprio ruolo prima che la riforma ne svuoti le funzioni trasferendole al Ministero» (punto 2 in diritto).

[54] Recante «Razionalizzazione dei processi di gestione dei dati di circolazione e di proprietà di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, finalizzata al rilascio di un documento unico, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera d), della legge 7 agosto 2015, n. 124».

[55] Art. 1, co. 1, d.lgs. n. 98/2017.

[56] Art. 6, co. 1, d.lgs. n. 98/2017.

[57] Si tratta della Commissione istituita presso la Camera dei Deputati nel corso della XVII Legislatura e che ha completato i lavori nell’ottobre 2017.

[58] Si veda Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie e della comunicazione, Relazione sull’attività svolta, 26 ottobre 2017, 6.

[59] In generale, sulla digitalizzazione intesa come processo funzionale alla semplificazione amministrativa si leggano D. De Grazia, Informatizzazione e semplificazione dell’attività amministrativa nel “nuovo” codice dell’amministrazione digitale, in Dir. pubbl., 2011, 611 ss. e G. De Maio, Semplificazione e digitalizzazione: un nuovo modello burocratico, Napoli, Editoriale scientifica, 2016.

[60] Si legga, a titolo esemplificativo, Cons. St., parere 23 marzo 2016, n. 785, che, a proposito dello schema di decreto attuativo della l. n. 124/2015 in materia di riforma del Codice dell’amministrazione digitale, saluta con favore l’intervento del legislatore finalizzato, tra l’altro, a contrastare l’«“l’analfabetismo” della cultura digitale della cittadinanza, con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione», nonché «“l’incompetenza tecnologica dei dirigenti” pubblici nell’attuare una transizione verso la modalità operativa digitale».

[61] Sulla fusione concettuale tra digitalizzazione e semplificazione si rinvia a P. Piras, Itinerari dall’idea di semplificazione al percorso di innovazione tecnologica. L’equivoco di una fusione concettuale, in Dir. inf., 2006, 4-5, 537 ss.

[62] Viene dunque in rilievo un problema culturale sul quale, limitatamente al settore pubblico, si veda M. Ramajoli, Quale cultura per l’amministrazione pubblica?, in questa Rivista, 2017, 2, 187 ss.

[63] In questa prospettiva, bisogna ricordare che l. n. 124/2015 e i suoi decreti attuativi si muovono nella direzione di razionalizzare la governance della digitalizzazione dell’azione amministrativa. Sul punto si rinvia a B. G. Mattarella, Burocrazia e riforme. L’innovazione nella pubblica amministrazione, Bologna, 2017, 125 ss.

FacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmailFacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmail