Lab-IP

Le regole di prevenzione delle collisioni tra droni e aeroveicoli

di Valentina Mira

16/01/16

La FAA ha recentemente lanciato l’allarme sul crescente numero di droni che volano vicino agli aeroveicoli. Il numero di mancate collisioni (near miss), cioè avvistamenti di droni riportati dai piloti degli aeroplani negli Stati Uniti, è impressionante: solo da gennaio ad agosto 2015 erano 650, in tutto il 2014 erano meno della metà, 250 (la differenza numerica dà anche un’idea della recente espansione dell’industria dei droni, e della velocità con cui cresce). Si tratta di un problema reale da non sottovalutare. Secondo alcuni, come il blog più seguito dalla comunità dei piloti di linea americani, Jethead, il fenomeno sarebbe da considerare, sì, ma senza eccessivi allarmismi, ricordando che il vero problema per la navigazione aerea viene dagli uccelli. Il cosiddetto birdstrike (non mero avvistamento ma autentica collisione tra uccelli e aeroveicolo) è avvenuto in America 13759 volte nel 2014, il dronestrike neanche una, nonostante gli avvistamenti. Si ricordi in tal senso il drammatico ammaraggio, miracolosamente senza vittime, del volo US Airways 1549 nel fiume Hudson, sei minuti dopo il decollo, causato da un impatto con uccelli che danneggiò entrambi i motori dell’Airbus A320.
I droni risultano essere tra l’altro spesso molto più leggeri degli uccelli: il popolarissimo Phantom non arriva ad un chilo e mezzo, mentre un’oca canadese, che dal 1990 ad oggi ha causato 1543 incidenti con aeroplani, pesa tra i cinque e i dieci chilogrammi. Il problema delle oche migratrici è talmente grave per la navigazione aerea che nel 2013 l’Authority aeronautica della Giamaica ha fatto una strage massacrando uno stormo di 260 oche che mettevano seriamente a rischio la sicurezza dell’aeroporto dell’isola.
Un altro elemento che permette di evitare di demonizzare il pericolo senza tuttavia sottovalutarlo è che una collisione tra un SAPR e un aeroveicolo non è mai avvenuta; quello che è invece accaduto è un buon numero di near miss, mancate collisioni, e qualche incidente tra aerei e aeromodelli. Interessante la proposta proveniente dall’America di utilizzo “buono” dei droni in materia di birdstrike: i SAPR potrebbero essere un importante alleato per tenere gli uccelli lontani dalle rotte degli aeroplani e dai loro sentieri di atterraggio; il sindaco di Whitehaven, una città nella contea della Cumbria nel nord dell’Inghilterra, sta considerando l’ipotesi di usare i droni per allontanare gabbiani particolarmente aggressivi che hanno attaccato visitatori nel parco nazionale del distretto dei laghi, uno degli angoli più belli del Regno Unito. Ancora più creativo l’aeroporto di Westchester County, negli Stati Uniti d’America, che sta sperimentando droni radiocomandati a forma di uccello predatore per spaventare i migratori e tenerli lontani dalle piste di decollo e atterraggio.
A rendere questo pericolo particolarmente basso in Italia è la normativa stringente del Regolamento ENAC, il quale all’art. 24 sancisce una distanza minima dagli aeroporti di 5 chilometri (nella precedente versione del Regolamento, quella del 2013, la distanza minima era di 8 chilometri), salvo ovviamente che sia costituita un’area apposita; stabilisce inoltre che le operazioni non possono essere condotte all’interno dell’ATS (Air Traffic Services) di un aeroporto e nelle aree sottostanti le traiettorie di decollo e atterraggio.
Quanto alla disciplina del traffico aereo, in caso di vicinanza tra SAPR e aeromobili viene esplicitamente stabilito che rispetto agli aerei e elicotteri i SAPR non hanno mai la precedenza, e che inoltre in caso di avvistamento di un aeromobile occorre che il pilota faccia scendere il drone alla quota di sicurezza di 25 metri.
Nonostante si sia dimostrato che la questione non è da drammatizzare, bisogna ricordare che si tratta di un pericolo reale. “Il potenziale per un danno catastrofico è senza dubbio presente” sono state le parole di Fred Roggero, ex generale maggiore della Air Force attualmente consulente esperto per le compagnie aeree riguardo al volo dei droni.
Negli Stati Uniti d’America la distanza che deve essere rispettata rispetto agli aeroporti è variabile. Viene posta dalla FAA la seguente distinzione:
5 NM (nautical miles, miglia nautiche), circa 8 chilometri di distanza minima rispetto a aeroporti forniti di torre di controllo operativa;
3 miglia nautiche, cioè poco meno di 5 chilometri di distanza minima rispetto ad aeroporti privi di torre di controllo operativa ma muniti di procedura strumentale di volo pubblicata;
2 miglia nautiche, cioè circa 3 chilometri di distanza minima rispetto ad aeroporti privi sia di torre di controllo operativa che di procedura strumentale di volo pubblicata;
2 miglia nautiche di distanza minima anche rispetto ad eliporti dotati di procedura strumentale di volo pubblicata.
In Italia si tratta dei suddetti 5 chilometri, distanza unica ed invariabile, e probabilmente commisurata anche alla differenza di tipologia di volo rispetto all’America, dove di norma il pilota è coadiuvato dal vettoramento radar continuo, una prassi aerea praticamente assente in Europa e nello specifico in Italia.
Rimanendo in tema di droni e di aerei, è di metà dicembre 2015 una notizia di interesse: è nato infatti il primo aeroporto dedicato esclusivamente ai droni. Si chiama Aerodrome ed ha base presso Boulder City, Nevada. Un progetto analogo è in corso d’opera in Ruanda, e quest’ultimo droniporto sarà esclusivamente riservato alla consegna di medicinali e di beni primari.

FacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmailFacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmail