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Le politiche di coesione e i “major projects”

 

 

 

Con la deliberazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dei regolamenti per la gestione delle risorse dei fondi strutturali europei, ha inizio la nuova stagione di programmazione 2014-2020. Un regolamento generale e sei regolamenti specifici, tre in materia di fondi strutturali e tre relativi agli altri strumenti di investimento europeo (Sie) definiscono i compiti, gli obiettivi prioritari e l’organizzazione dei fondi, le norme generali, nonché le disposizioni necessarie per garantire il perseguimento degli obiettivi comuni della politica di coesione europea e per garantire l’efficacia e il coordinamento dei fondi tra loro.

Nel periodo 2007-2013 la programmazione è stata realizzata con un regolamento generale che stabilisce le disposizioni comuni per le fonti di finanziamento delle azioni strutturali (reg.1083/2006); un regolamento specifico per ciascun fondo: Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), Fondo sociale europeo (Fse), Fondo di coesione (Regolamenti n.1080,1081,1084/2006); un regolamento relativo all’istituzione di uno strumento di assistenza pre-adesione (Ipa) reg. n. 1085/2006, ed un regolamento relativo alla creazione di un gruppo europeo di cooperazione territoriale (Gect- reg. 1082/2006).

L’art. 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), come modificato il 13 dicembre 2007 a Lisbona, sancisce che, per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale al suo interno, l’Unione deve mirare a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite o insulari, e che un’attenzione particolare deve essere rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, tra cui le regioni ultra periferiche, le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna. Ancor prima della modifica del trattato del 2008, la Costituzione italiana ha introdotto nell’ordinamento i principi della coesione e della solidarietà sociale nell’art 119 come modificato dalla legge cost. 18 ottobre 2001 n.3 di riforma del titolo V. Già nell’ambito del Trattato di Roma del 1957 (istitutivo della Cee), infatti, i paesi costituenti assunsero l’impegno di rafforzare l’unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso, riducendo le disparità fra le differenti regioni ed il ritardo di quelle più svantaggiate. Tali obiettivi sono perseguiti mediante i fondi strutturali che costituiscono uno dei principali strumenti delle politiche di coesione economica e sociale, con i quali si mira a ridurre il divario socio-economico presente tra le zone più ricche e quelle più povere dell’Unione europea, attraverso interventi migliorativi sulle infrastrutture, di stimolo sulle aree depresse e di riqualificazione delle risorse umane.

Dando uno sguardo all’attuale situazione italiana, la ripresa non si estende al Sud, dove i livelli di disoccupazione, povertà e disuguaglianza non sono degni di un paese civile. Il corriere della sera con un articolo del 29 Maggio 2015 lo definisce così : “Il Sud grande dimenticato”. Nei pochi mesi del governo Letta era stata impostata una strategia che intendeva perseguire tre obiettivi di fondo. Il primo era quello non solo di non perdere fondi europei del vecchio ciclo 2007-2013, che non si riuscivano a spendere, ma di spenderli bene (circa venti miliardi). Lo scopo era quello di fare arrivare i fondi direttamente alle famiglie, alle imprese e ai Comuni con meccanismi semplici, rapidi e trasparenti, ed evitando l’asfissiante intermediazione politico-burocratica delle Regioni e dei ministeri. Il secondo di questi obiettivi riguardava il nuovo ciclo dei fondi europei e intendeva assicurare una strategia nazionale centrata su obiettivi cruciali di valorizzazione delle risorse locali. Alla luce delle difficoltà emerse nelle precedenti programmazioni sia sotto il profilo della capacità di programmazione e realizzazione, sia sotto il profilo della capacità di spesa da parte delle Regioni, la Commissione ha infatti rappresentato la “necessità dell’individuazione di un forte presidio nazionale”. Per rispondere a questa esigenza l’articolo 10, c.1, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 ha istituito la nuova Agenzia per la coesione territoriale, sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare l’Agenzia dovrebbe avere un ruolo centrale nel monitoraggio sull’uso dei fondi. Tra i suoi scopi anche quello di fornire sostegno e assistenza tecnica alle amministrazioni interessate nella gestione dei programmi, potendo svolgere compiti diretti di gestione dei progetti, soprattutto in caso di gravi inadempienze e ritardi di alcune autorità di gestione. L’Agenzia per la coesione, dopo più di un anno, non è ancora pienamente operativa e da molte settimane non si sa chi avrà le deleghe sui fondi o come verranno impartite. Il terzo obiettivo infine si basava su una visione delle politiche di coesione territoriale che prendesse sul serio il dettato costituzionale che prevede che alcuni servizi fondamentali come l’istruzione, la sanità e l’assistenza siano prestati dalle istituzioni pubbliche come diritti di cittadinanza.

Ciononostante la riprogrammazione dei fondi 2007-2013 non è riuscita a contrastare efficacemente gli interessi di Regioni e ministeri che non vogliono perdere il controllo diretto sui fondi, anche quando sono a rischio, o dovranno ricorrere ai famigerati «progetti sponda» o «retrospettivi» per certificare la spesa alla Ue. Alla fine del 2015 si sarà probabilmente speso abbastanza e saranno contenute le perdite, ma con effetti molto modesti. A tal proposito è stata emanata la Decisione della Commissione Europea 1573/2013 sull’approvazione degli orientamenti sulla chiusura dei programmi operativi adottati per beneficiare dell’assistenza del Fondo europeo di sviluppo regionale, del Fondo sociale europeo e del Fondo di coesione (2007-2013). Questa, come modificata dalla decisione 2771/2015, è volta a limitare il rischio dei cosiddetti “grandi progetti incompleti” (“major projects”), e quindi non ammissibili, raccomandando che sia stabilito e concordato con gli Stati membri interessati un elenco dei grandi progetti suddivisi in fasi (“fasizzazione dei progetti”). Un grande progetto è considerato un’operazione comprendente una serie di lavori, attività o servizi intesi a realizzare un’azione indivisibile di una precisa natura tecnica o economica che ha finalità chiaramente identificate e il cui costo totale supera i 50 milioni di euro. Esso deve prevedere due fasi chiaramente identificabili da un punto di vista materiale e finanziario. Esse sono attuate secondo le norme applicabili ai rispettivi periodi di programmazione e la prima è riferibile alla dotazione finanziaria 2007-2013 mentre la seconda a quella del periodo 2014-2020. Questo potrebbe essere un metodo efficiente per completare il progetto su due periodi, senza compromettere il suo scopo generale ed evitando la sua “non ammissibilità”.

Il nuovo ciclo 2014-2020 accusa più di un anno di ritardo. Molti programmi operativi regionali, specie del Sud, vanno ancora approvati e non vi è nessuna novità in tema di coordinamento e concentrazione. Il cofinanziamento nazionale è stato abbassato, ma non è ancora chiaro se e in che modo verranno usate le risorse risparmiate. Il Fondo sviluppo e coesione (che dovrebbe andare per l’80% a grandi reti infrastrutturali del Sud), fissato dalla legge di Stabilità del 2013, non è ancora programmato in raccordo con i fondi europei, e continua ad essere usato come in passato a guisa di bancomat per le esigenze più diverse.

 

 

Federica Politi

 

 

 

RIFERIMENTI:

Giornale di diritto amministrativo 6/2014

Corriere della sera 29/05/2015

Decisione Commissione Europea 1573/2013

Decisione Commissione Europea 2771/2015

Atti della giornata di lavoro presso l’Agenzia della coesione territoriale per la fasizzazione dei progetti 11 Giugno 2015

 

 

 

 

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