20/03/2024
A cura di Antonio Iuliano
Il diritto di prelazione riconosciuto al soggetto promotore di un’iniziativa di Finanza di progetto è indubbiamente uno dei temi che, sin dall’ingresso dell’istituto nel nostro ordinamento, più ha fatto discutere. Si è dibattuto, e si dibatte, in particolare, circa la compatibilità dell’istituto con i principi, di derivazione eurounitaria, di libera concorrenza e di par condicio fra concorrenti.
Prima di focalizzarsi sui più recenti approdi giurisprudenziali, è opportuno soffermarsi sui principali profili di criticità della disciplina attualmente in vigore. Anzitutto, l’attribuzione al soggetto promotore del diritto di prelazione scoraggia la partecipazione alla fase di gara di altri operatori economici, consapevoli delle poche chance di “effettivo” successo, in particolar modo ove si considerino i costi da sostenere al fine di presentare un’offerta; e non vale a superare tale rilievo la previsione codicistica (Art. 193, comma 8 del D. lgs. 36/2023) di un rimborso -nei limiti del 2,5% del valore totale dell’investimento- delle spese sostenute dall’aggiudicatario originario.
Nondimeno, il Consiglio di Stato, all’interno della propria relazione allo schema di Codice -richiamando la posizione della Commissione europea- aveva rilevato come il diritto di prelazione scoraggi la partecipazione alle gare da parte degli operatori economici di altri paesi europei a causa della poca familiarità con l’istituto.
Tra gli altri profili di criticità rilevati vi è, inoltre, il rischio di incentivare comportamenti opportunistici, quale quello di operatori economici che partecipino alla gara -consapevoli che il promotore eserciterà il diritto di prelazione- al solo fine di presentare offerte eccessivamente al ribasso e, di conseguenza, ridurre al minimo i profitti del promotore. Ciò rischia, evidentemente, di incidere negativamente sulla qualità della costruzione e gestione delle opere, su cui si riverserebbero gli effetti negativi dell’eccessiva riduzione dei prezzi. In definitiva, così, a pagarne i costi sarebbe la collettività.
Il diritto di prelazione, come noto, è legato alla struttura bifasica della Finanza di progetto: la prima di dichiarazione del pubblico interesse del progetto e, di conseguenza, di attribuzione del diritto di prelazione al promotore; la seconda di messa a gara del progetto precedentemente individuato. L’importante vantaggio riconosciuto al promotore fa si che, in presenza di più proposte riguardanti la medesima opera, possa accadere che la vera competizione tra operatori economici si abbia durante la prima fase. Ciò, ad esempio, è possibile che accada con una certa frequenza ove l’ente concedente, ai sensi dell’art. 193, comma 11 del nuovo Codice, solleciti i privati a farsi promotori di iniziative di Finanza di progetto volte a realizzare progetti inclusi negli strumenti di programmazione triennale di cui all’art. 175, comma 1.
In tale scenario, offrono utili spunti alcune recenti pronunce della giurisprudenza amministrativa ed eurounitaria; il riferimento corre, in particolare, alla sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 1443/2024 dello scorso 13 febbraio pronunciata sulla scorta di quanto statuito dall’ordinanza del 12 dicembre 2023 dell’ottava sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea, adita in via pregiudiziale.
Nel caso di specie, in relazione al servizio da realizzare, erano pervenute al Comune di Trieste più proposte di Finanza di progetto a iniziativa privata. Tra queste proposte vi era quella della società ricorrente che lamentava, per ciò che qui interessa, la violazione del termine di conclusione del procedimento (90 giorni, così come previsto dall’art. 183, co. 5 del d. lgs. 50/2016 e confermato anche nel nuovo codice), decorso il quale, ad avviso del ricorrente, si sarebbe fuoriusciti dallo schema procedimentale semplificato, con conseguente necessità di indire una gara (con ciò che ne consegue in termini procedurali e criteri di scelta del soggetto vincitore). Il Consiglio di Stato, in relazione alla controversia in questione, aveva già rilevato con la sentenza non definitiva 5184/2023 del 26 maggio 2023 come il decorso del termine rilevi esclusivamente ai fini di un’eventuale azione avverso il silenzio della P.A e aveva chiarito che la fase di scelta del promotore, non essendo un modulo di confronto concorrenziale, è connotata da amplissima discrezionalità.
Il ricorrente aveva, peraltro, sollecitato la rimessione alla Corte di giustizia di una questione di pregiudizialità – poi sollevata con Ordinanza n. 5615/2023 – avente ad oggetto la compatibilità del diritto di prelazione con i principi e la disciplina eurounitaria. Più precisamente si chiedeva: «Se l’articolo 183, comma 15, del decreto legislativo n. 50/2016 (il quesito fa riferimento alla vecchia disciplina codicistica ma, essendo la disciplina sostanzialmente invariata, rileva anche in relazione al nuovo Codice dei contratti pubblici, ndr) è contrario al diritto UE e in particolare ai principi di pubblicità, imparzialità e non discriminazione contenuti sia nel Trattato che nei principi UE, propri di tutte le procedure comparative, laddove interpretato così da consentire trattamenti discriminatori in una procedura di attribuzione del diritto di prelazione, senza predefinizione dei criteri e comunque senza comunicazione dei medesimi a tutti i concorrenti ma solo ad alcuni di essi, quanto meno al decorso dei tre mesi di urgenza previsti da tale articolo».
La Corte di giustizia, come accennato, si è pronunciata con Ordinanza del 12 dicembre 2023, con cui ha dichiarato manifestamente irricevibile la questione pregiudiziale in quanto l’ordinanza di rinvio era carente dei requisiti minimi necessari, ossia l’illustrazione del contesto di fatto e di diritto della controversia oggetto del procedimento principale e l’indicazione delle ragioni della scelta delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui si chiede l’interpretazione, nonché del collegamento tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia.
Più precisamente, l’ordinanza della CGUE ha rilevato come l’ordinanza di rinvio non fornisse elementi sufficienti a valutare se l’aggiudicazione della concessione oggetto del procedimento principale rientrasse nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione o della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno. In particolare, non indicava il valore stimato della concessione rendendo impossibile valutare se superasse la soglia prevista per l’applicabilità della direttiva 2014/23.
La Corte ha aggiunto, poi, che se è vero che ai fini dell’assegnazione di concessioni di servizi le autorità pubbliche sono tenute a rispettare le norme di cui agli artt. 49 e 56 del TFUE, relative al diritto di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi – e che pongono, in materia, i principi di parità di trattamento e non discriminazione, nonché l’obbligo di trasparenza – le informazioni fornite dal giudice del rinvio non consentivano di stabilire se, non rientrando nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/23 o della direttiva 2006/123, la concessione di cui trattasi nel procedimento principale potesse essere disciplinata da dette norme. Ai fini di tale esame, ad avviso della CGUE spetterebbe al giudice del rinvio accertare l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo (accertamento assente nell’ordinanza di rinvio).
Al contrario, a fronte di tali mancanze, il giudice a quo -sottolinea la Corte- rileva espressamente che, a suo avviso, la scelta effettuata dall’amministrazione nell’ambito della prima fase di una procedura di finanza di progetto non è «un modulo di confronto concorrenziale sottoposto al principio delle procedure di evidenza pubblica».
Sulla scorta di quanto rilevato, dunque, la Corte di giustizia non si è pronunciata sulla questione; trattasi, probabilmente, dell’ennesima occasione mancata. Ciononostante, le indicazioni della Corte possono senz’altro essere considerate utili ai fini di un’eventuale futura riproposizione della questione.
Intanto bisognerà continuare a fare riferimento all’ormai consolidata posizione del Consiglio di Stato, ribadita dalla sopra richiamata sentenza 1443/2024, che fornisce un quadro generale della materia nei termini di seguito riportati. La fase preliminare di individuazione del promotore, ancorché procedimentalizzata, è connotata da amplissima discrezionalità amministrativa, in quanto intesa non già alla scelta della migliore tra una pluralità di offerte sulla base di criteri tecnici ed economici preordinati, ma alla valutazione di un interesse pubblico che giustifichi, alla stregua della programmazione delle opere pubbliche, l’accoglimento della proposta formulata dall’aspirante promotore. A detta fase, dunque, non si attaglia la predeterminazione di criteri di valutazione, che presuppone quantomeno l’esatta definizione dell’oggetto del procedimento e, dunque, della proposta. Anche in detta fase, tuttavia, proprio perché connotata da amplissima discrezionalità, e ciononostante procedimentalizzata, si impone l’applicazione dei principi generali dell’attività amministrativa, in primis di pubblicità e trasparenza, nonché di non discriminazione e parità di trattamento, in quanto funzionale alla migliore cura dell’interesse pubblico, laddove consente di ampliare il novero delle proposte tra le quali scegliere il project financing da accogliere. Da tutto quanto premesso discende che la fase preliminare pur non dovendo essere assoggettata al rispetto di tutti i principi dell’evidenza pubblica – pena la inutile e gravosa duplicazione della procedura di gara vera e propria, che potrà o meno seguire alla scelta del promotore – deve comunque essere improntata al rispetto dei principi generali dell’attività amministrativa, in primis di pubblicità e di trasparenza, nonché di non discriminazione e di parità di trattamento tra tutti gli operatori economici interessati. Le esposte considerazioni inducono la Sezione a ritenere che la disciplina interna non violi i principi eurounitari in quanto l’ampia discrezionalità di cui gode la PA in questa particolare fase comporta che la valutazione circa la maggiore rispondenza all’interesse pubblico di una proposta progettuale rispetto ad un’altra, ossia la comparazione tra due proposte progettuali alternative, debba essere condotta in termini necessariamente globali e sintetici. Dal che discende che la preferenza di un progetto rispetto ad un altro va accordata valutando il medesimo nel suo complesso senza necessariamente soffermarsi, in modo parcellizzato, sui suoi singoli aspetti (come nel caso di specie pretendeva, invece, l’appellante).