di GIANLUCA PIZZUTELLI
30/10/2017
La sentenza n. 1231/2017 del TAR Campania concerne il tema dell’invio di domande online per la partecipazione a concorsi pubblici. Nel caso di specie il ricorrente ha inoltrato domanda per partecipare al concorso per il reclutamento dei docenti; tuttavia nella compilazione della domanda ha compiuto un errore, indicando il codice A54 corrispondente all’insegnamento di “storia dell’arte” in luogo del codice A01-17 relativo ad “arte e immagine nella scuola. Non essendo stato inserito nella lista dei partecipanti alla prova scritta, il ricorrente chiede la rettifica della domanda non ottenendo alcuna risposta dal Ministero; di conseguenza adisce il Giudice amministrativo per l’annullamento della mancata rettifica e della mancata inclusione nella graduatoria. Il Giudice accoglie le censure del ricorrente, dal momento che l’errore era, rifacendosi alle categorie civilistiche, aventi portata generale: scusabile, poiché le denominazioni degli insegnamenti erano cambiate recentemente; essenziale; riconoscibile, dal momento che il titolo abilitativo indicato non era congruente all’insegnamento di “storia dell’arte”, bensì a quello di “arte e immagine nella scuola”. Di conseguenza l’errore poteva essere considerato come ostativo della volontà.
Il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel caso deciso dalla sentenza citata, è sintomatico della tendenza di essa a confondere imparzialità con indifferenza nel rapporto con i cittadini, quando invece il paradigma di quest’ultimo è sensibilmente cambiato. Non è più sostenibile né attuale l’idea di un’Amministrazione che fondi la propria azione esclusivamente su atti di imperio, espressione del primato dell’interesse pubblico su quello privato, e che quando si trovi nella situazione di dover realizzare interessi e diritti del singolo e non della collettività, non dia al cittadino l’assistenza necessaria per ottenerli, trincerandosi dietro il principio di auto-responsabilità del cittadino. Questa nuova idea della P.A. emerge dalla legislazione ordinaria, in cui rinveniamo gli istituti di partecipazione procedimentale e il dovere di soccorso procedimentale, e trova il suo fondamento nel disposto costituzionale. Si è passati dal concepire la Pubblica Amministrazione da soggetto a strumento, secondo una chiave di lettura che leghi i principi fondamentali riguardanti la pubblica amministrazione, contenuti negli articoli 97 e 98 della Costituzione, alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo ex articolo 2, in combinazione con la c.d. supernorma dell’articolo 3: secondo questa impostazione la persona deve essere vista come obiettivo dell’intera azione amministrativa. Il compito, che l’amministrazione si assume, di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo della persona umana, ha indotto la dottrina (Allegretti, Amministrazione pubblica e Costituzione) a parlare di un’amministrazione “teatro”, cioè volta a creare il clima ideale affinché gli attori principali, ovvero i cittadini, declinati nelle loro diverse accezioni a seconda del contesto, possano realizzare la propria persona, il proprio Io, divenendo artefici dell’azione amministrativa grazie alla messa a disposizione di un ambiente idoneo ed efficiente nel quale possano dare il proprio contributo. Allegretti delinea questa concezione di amministrazione in contrapposizione a quelle idee che vedevano il decisore pubblico come dispensatore di servizi, un deus ex machina, dei quali i cittadini erano beneficiari passivi.
Focalizzando l’attenzione sulle norme costituzionali che disciplinano direttamente l’amministrazione, una lettura dell’articolo 98 in chiave solidaristica come quella offerta da Martines (Diritto costituzionale) conferma questa visione, poiché disporre che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” significa prescrivere al funzionario pubblico un atteggiamento “servente” verso il cittadino, funzionale al pieno godimento dei diritti della persona. L’articolo 97 dal canto suo pone tra gli altri il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, che per la sua generalità è tanto pervasivo quanto vago, specificandosi ora nella proporzionalità, ora nella partecipazione, ora nella razionalità procedurale. In ambito europeo, invece, la Carta di Nizza all’art. 41 ha definito in maniera più precisa il principio di buon andamento, adottando una prospettiva diversa. Infatti è stato configurato come un vero e proprio diritto soggettivo del cittadino ad una buona amministrazione, specificando che esso consiste, in estrema sintesi, nella partecipazione procedimentale, intesa come garanzia di fronte all’adozione di un provvedimento che possa recare pregiudizio, nel diritto di accesso e nell’obbligo di motivazione da parte del decisore pubblico. È evidente come la buona amministrazione e quindi il buon andamento, abbiano una spiccata dimensione procedurale più che sostanziale. L’operato dell’amministrazione risponde al buon andamento non in virtù delle decisioni adottate, ma della razionalità della procedura, la quale deve garantire il minor sacrificio possibile dell’interesse privato attraverso un’istruttoria completa e corretta, che può essere tale solo permettendo un’estesa partecipazione al procedimento del cittadino e coinvolgendolo nella formazione di un assetto informativo ideale. Ecco che si spiega l’immagine del teatro, di ambiente volto a favorire la soddisfazione di interessi e diritti fondamentali attraverso la partecipazione dell’interessato che diviene attore, con diversa intensità a seconda dei beni volta per volta tutelati. Si realizza, quindi, quel cambio di paradigma in virtù del quale “al primato dell’autorità tenderà a sostituirsi il primato del consenso” (Bassi, Autorità e consenso, in Riv.trim.dir.pub. 1992).