17 febbraio 2025
Indice
- La riforma dell’ordinamento di Roma Capitale a cura di Martina Bordi
- Le Linee guida per lo svolgimento dei controlli antimafia: tra principio di ragionevolezza e
collaborazione con il privato nella ricostruzione post-sisma a cura di Michele Sangiovanni - Il sindacato del giudice ordinario sul trattenimento dei richiedenti asilo: a chi spetta la decisione finale sui paesi sicuri? a cura di Federica Micarelli
- Nuove regole per gli investimenti esteri diretti: il parere dell’ECON e le divergenze rispetto alla
proposta di regolamento 2024/0023 a cura di Gian Marco Ferrarini - Il modello di e-procurement estone: un esempio di best practice dal 2016 a cura di Linda Sanson
- L’indagine cinese sul Regolamento UE sulle sovvenzioni estere a cura di Riccardo Zinnai
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- LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO DI ROMA CAPITALE a cura di Martina Bordi
Il 21 gennaio 2025 si è tornato a discutere, in commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati, della riforma dell’ordinamento di Roma capitale.
Le proposte di leggi costituzionali, volte ad incidere sull’assetto organizzativo e funzionale, sono tre.
La prima proposta, A.C. 278, a firma del deputato democratico Morassut, è volta ad istituire la regione «Roma capitale della Repubblica». La stessa dispone, infatti, la trasformazione di Roma capitale in regione ordinaria, ai sensi dell’art. 131 della Costituzione. Inoltre, si prevede successivamente alla trasformazione di Roma capitale in regione, la trasformazione degli attuali municipi di Roma Capitale in veri e propri comuni.
Le altre due proposte, A.C. 514 e A.C. 1241, sono volte a modificare l’art. 114 della Costituzione. La ratio di entrambe le proposte è di valorizzare l’autonomia normativa, amministrativa e finanziaria di Roma capitale.
Oggi, attraverso la legge n. 42/2009, Roma Capitale è interessata di una speciale autonomia. Infatti, in luogo del comune di Roma, è stato configurato l’ente territoriale Roma capitale.
Attraverso la legge, sono state attribuite all’ente ulteriori funzioni amministrative. Tra queste ultime, ad esempio, la valorizzazione dei beni storici, artistici e ambientali; lo sviluppo del settore produttivo e del turismo; lo sviluppo urbano e dell’edilizia privata e pubblica.
Il d.lgs. n. 61/2012, in attuazione della delega contenuta nella legge n. 42/2009, ha disciplinato il conferimento delle nuove funzioni amministrative e il conferimento di poteri regolamentari in materia di organizzazione degli uffici e del personale.
Tra le funzioni amministrative si annovera, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 61/2012, il potere del Sindaco di Roma capitale di emanare ordinanze, anche in deroga alle disposizioni di legge ma in esecuzione di un piano autorizzato con delibera del Presidente del Consiglio dei ministri, per rimuovere le situazioni di emergenza connesse al traffico, alla mobilità e all’inquinamento atmosferico o acustico.
La novità insita nei due disegni di legge è uno specifico riferimento all’autonomia normativa e il rafforzamento del richiamo dell’autonomia finanziaria, prevedendone adeguati mezzi per le relative attuazioni.
Entrambe le proposte sono volte a modificare l’art. 114 della Costituzione.
In particolare, la proposta di legge A.C. 1241 configura l’attribuzione di una competenza legislativa esclusiva nelle materie attualmente di legislazione concorrente, ex art. 117 della Costituzione, escludendo espressamente la sola tutela della salute; e una potestà legislativa esclusiva per le materie di legislazione residuale.
L’attribuzione dei poteri legislativi si configura attraverso una disciplina ad hoc, ovvero attraverso uno Statuto speciale di Roma capitale. L’approvazione dello Statuto è a maggioranza di due/terzi dei componenti dell’Assemblea capitolina; mentre, le successive norme di attuazione sarebbero definite con legge dello Stato.
Risulta interessante riscontrare che sarebbe una disciplina che non prevede né un previo coinvolgimento del Parlamento né una previa collaborazione sotto altre forme con lo Stato, ma solamente ex post con la legge di attuazione dello Stato. Ciò costituirebbe il primo caso in cui l’individuazione dei poteri legislativi sarebbe stabilita dallo stesso ente che dovrebbe esercitarli. Questo impianto va ad invertire l’attuale assetto costituzionale delle fonti, limitando la legislazione nazionale ad intervenire in un perimetro delimitato dallo Statuto speciale. Attualmente, la disciplina di approvazione degli Statuti comunali è prevista dal TUEL. Lo statuto di Roma capitale, in base alla normativa vigente, disciplina i municipi, quali circoscrizioni di decentramento, in numero non superiore a quindici, favorendone l’autonomia amministrativa e finanziaria.
Differentemente, la proposta di legge, A.C. 514 definisce un’attribuzione diretta, senza far rinvio ad altre fonti, in termini di potestà legislativa e regolamentare a Roma capitale, nelle materie di legislazione concorrente e residuale, derogatoria della potestà legislativa regionale. Anche in questo caso viene esclusa l’attribuzione della competenza legislativa nella tutela della salute.
Parte della dottrina ritiene che sarebbe necessario, ulteriormente, prevedere una revisione dell’art. 117 della Costituzione. L’attuale disposizione, difatti, prevede che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni; si dovrebbe valutare di includere espressamente Roma capitale.
Entrambe le proposte stabiliscono che, nell’esercizio delle sue funzioni amministrative, Roma capitale assicuri forme di decentramento.
Ulteriormente, si estende a tale ente l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 127 e 134 della Costituzione. Questi ultimi disciplinano la promozione delle questioni di legittimità in via principale e dei conflitti di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale.
Il 16 gennaio 2025, l’Assemblea capitolina ha approvato un ordine del giorno (n. 29) volto ad impegnare il Sindaco a farsi promotore nei confronti del Parlamento per l’approvazione della Riforma di Roma capitale.
Si riscontrano, nel panorama politico, anche posizioni scettiche rispetto alla riforma, che viene considerata come una nuova, e ulteriore, forma di autonomia differenziata, che di fatto, affiderebbe al Sindaco pro tempore poteri quasi come fosse un governatore regionale.
2. LE LINEE GUIDA PER LO SVOLGIMENTO DEI CONTROLLI ANTIMAFIA: TRA PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA E COLLABORAZIONE CON IL PRIVATO NELLA RICOSTRUZIONE POST-SISMA a cura di Michele Sangiovanni
Il 3 febbraio 2025 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la delibera CIPESS n. 76 2024 recante “Aggiornamento delle Linee guida per lo svolgimento dei controlli antimafia nella ricostruzione dei territori colpiti da eventi sismici”.
A seguito dell’approvazione della delibera CIPESS 9 luglio 2024, n.51, avente ad oggetto le “Linee guida per lo svolgimento dei controlli antimafia nell’ affidamento e nell’esecuzione dei contratti di lavoro, servizi e forniture connessi all’organizzazione e allo svolgimento dei Giochi Olimpici e Paralimpici invernali Milano Cortina 2026”, è emersa la necessità di uniformare, semplificare e accelerare i controlli antimafia relativi alle attività di ricostruzione dei territori colpiti da eventi sismici (quali in particolare l’Aquila, Ischia/Casamicciola, Campobasso, Catania/Etna e, più in generale il centro Italia). A tal fine, si è scelto di aggiornare le precedenti misure analogamente a quanto previsto dalla delibera CIPESS n.51 2024 relativa ai Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali Milano – Cortina 2026.
Il 16 ottobre 2024, il Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Infrastrutture e degli Insediamenti Prioritari (C.C.A.S.I.I.P) ha infatti approvato l’aggiornamento delle linee guida per lo svolgimento dei controlli antimafia nella ricostruzione post-sisma. Queste ultime riformano le procedure di rinnovo dell’iscrizione all’Anagrafe degli esecutori e i conseguenti accertamenti verso gli operatori economici, aggiornando di conseguenza le delibere CIPE nn. 72 2016, 26 2017 e 3 2018 e 32 2019.
La novità più rilevante riguarda il meccanismo di rinnovo dell’iscrizione all’Anagrafe degli esecutori: l’operatore economico deve infatti manifestare l’interesse a rimanere iscritto all’Anagrafe almeno 30 giorni prima dalla scadenza dell’iscrizione, pena la decadenza automatica al termine del periodo stesso.
La Struttura per la prevenzione antimafia, su domanda dell’interessato, procede al rinnovo dell’iscrizione all’Anagrafe qualora l’operatore economico risulti presente in uno degli Elenchi tenuti dalle Prefetture-Uffici territoriali del Governo ai sensi del comma 52 dell’art. 1 della legge n.190 del 2012 (c.d. white list) o, in alternativa, nel caso in cui sia censito in Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (BDNA) per un periodo uguale a 12 mesi.
In entrambi i casi, la Struttura ha la facoltà di attivare degli accertamenti sull’operatore economico sulla base di eventuali segnalazioni da parte delle autorità competenti.
Al di fuori di questi casi, la Struttura, ricevuta la manifestazione di interesse dell’operatore economico, procede all’aggiornamento degli accertamenti antimafia articolato in due fasi correlate.
Questi accertamenti sono volti alla verifica della sussistenza degli elementi rilevanti successivi alla data dell’ultimo controllo effettuato ai sensi dell’art. 85 del Codice delle leggi antimafia. Si tratta in particolare di un accertamento sulla persona fisica funzionale ad una valutazione di permeabilità criminosa dell’impresa o della società che abbia richiesto una licenza, una concessione, una autorizzazione, di contrattare con la P.A. o l’iscrizione ad un Albo.
La Struttura invierà alla DIA la richiesta di elementi informativi, riscontrabili tramite documenti giudiziari o di prevenzione, nel termine di 30 giorni. Se non dovessero emergere controindicazioni, la Struttura disporrà il rinnovo dell’iscrizione. Nel caso in cui, invece, dovessero emergere controindicazioni che non consentano il rinnovo, la Struttura avvierà l’istruttoria per verificare l’attualità oltre che la presenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa.
Se da tale verifica non dovessero emergere ostacoli, allora la Struttura procederà al rinnovo dell’iscrizione in Anagrafe. In caso contrario, adotterà una informazione interdittiva secondo quanto previsto dall’art. 91 comma 7-bis del Codice delle leggi antimafia, disponendo contestualmente la cancellazione dall’Anagrafe, oppure, avvierà l’istituto della c.d. prevenzione collaborativa previsto dall’art. 94-bis del Codice delle leggi antimafia. (rivedere i tempi verbali come sopra)
La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare, non chiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di indizi in base ai quali non sia illogico ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o un condizionamento da parte di queste. Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, ma solo la sussistenza di elementi sintomatici-presuntivi dai quali, secondo un giudizio discrezionale, è deducibile il pericolo di ingerenza. Inoltre, come affermato dalla Sezione III del Consiglio di Stato in data 18 aprile 2018, questi elementi sintomatici-presuntivi vanno così detratti in modo unitario affinché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri.
L’istituto della prevenzione collaborativa, introdotto con il D.L. n.15 2021, consiste invece in una misura di prevenzione amministrativa antimafia, la cui applicazione viene subordinata alla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa riconducibili a situazioni di “agevolazione occasionale”.
La ratio della misura mira a salvaguardare la struttura aziendale da situazioni di permeabilità mafiosa che, tuttavia, per il loro carattere occasionale, non presentano profili di pericolosità idonei ad applicare, sulla base del principio di ragionevolezza, gli altri istituti interdittivi tout court.
Tornando alla delibera, dal secondo rinnovo di richiesta di mantenimento nell’Anagrafe delle imprese, la Struttura, se non sono state comunicate variazioni socio-gestionali, inoltrerà la richiesta di aggiornamento delle informazioni unicamente alla DIA che darà riscontro solo nel caso in cui emergano situazioni rilevanti entro 30 giorni. In assenza, la Struttura procederà al rinnovo dell’iscrizione in Anagrafe.
Infine, la Struttura procede, in ogni caso, ad una attualizzazione degli accertamenti antimafia precedentemente effettuati a seguito di mutamenti nell’assetto societario o gestionale. L’operatore dovrà infatti trasmettere alla Struttura, entro 30 giorni dalle intervenute modifiche, copia dei relativi atti. La Struttura inoltrerà alla DIA una richiesta di elementi informativi sui nuovi soggetti e provvederà al riscontro solo se emergono situazioni rilevanti, entro 15 giorni. In ogni caso, preme sottolineare che durante l’aggiornamento l’iscrizione continua a mantenere la propria efficacia.
In conclusione, si può affermare che, così come avvenuto per lo svolgimento dei controlli antimafia relativamente all’ affidamento e all’ esecuzione di contratti di lavoro connessi all’organizzazione e alla realizzazione di Milano Cortina 2026, anche per la svolgimento dei controlli antimafia nella ricostruzione dei territori colpiti da eventi sismici si è cercato di riformare la disciplina garantendo uniformità delle misure, accelerazione e semplificazione delle procedure di controllo, senza però rinunciare all’effettività delle stesse e alla tutela del buon andamento della pubblica amministrazione. Obiettivi che, ancora una volta, vengono perseguiti tramite una forte collaborazione con gli operatori economici e gli organi di vigilanza e l’applicazione di misure che, fondate sul principio di ragionevolezza, cercano di bilanciare tutti gli interessi in gioco.
3. IL SINDACATO DEL GIUDICE ORDINARIO SUL TRATTENIMENTO DEI RICHIEDENTI ASILO: A CHI SPETTA LA DECISIONE FINALE SUI PAESI SICURI? a cura di Federica Micarelli
Lo scorso 31 gennaio la Corte d’Appello di Roma si è espressa per la prima volta sul trattenimento dei cittadini stranieri condotti nei centri in Albania, competenza precedentemente affidata alla sezione Immigrazione del Tribunale ordinario. Con diverse ordinanze, la sezione Persona, Famiglia, Minorenni e Protezione internazionale ha sospeso il giudizio di convalida del trattenimento di quarantatré richiedenti asilo, rimettendo gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e rinviando ai giudici di Lussemburgo la decisione sulle condizioni per la designazione dei paesi “di origine sicuri”.
Le pronunce hanno puntato i riflettori sul tema, già molto caldo, del sindacato del giudice ordinario sul trattenimento dei richiedenti asilo e riemerso da alcuni mesi a seguito dell’attuazione del Protocollo tra Italia e Albania, ratificato con legge 21 febbraio 2024, n. 14. L’accordo ha infatti previsto la creazione di un’enclave italiana in territorio albanese dedicata alla detenzione temporanea di richiedenti asilo, disponendo la costruzione di centri interamente sottoposti alla giurisdizione italiana.
Non si tratta del primo rinvio pregiudiziale operato dai tribunali italiani in materia. Già dai primi trasferimenti in Albania, infatti, la mancata convalida dei trattenimenti ordinati dall’amministrazione e l’orientamento portato avanti dai giudici hanno messo a dura prova l’efficacia del patto e infiammato lo scontro tra politica e magistratura in relazione al diritto d’asilo.
La pronuncia in commento si pone in linea con le precedenti decisioni dei tribunali che, con riferimento alle procedure accelerate per i richiedenti asilo provenienti da paesi reputati sicuri, parimenti hanno sospeso il giudizio e sollevato questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia europea ex art. 267 TFUE.
Il trattenimento dei richiedenti asilo nei centri albanesi, è bene ricordarlo, è infatti disposto dall’autorità amministrativa ed è funzionale all’applicazione della procedura c.d. accelerata di valutazione della domanda di protezione internazionale, prevista all’art. 28 bis del d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25. Costituendo una privazione temporanea della libertà personale, tuttavia, il trattenimento deve essere vagliato da un giudice nelle quarantotto ore successive alla sua adozione. La mancata convalida del provvedimento comporta l’inapplicabilità della procedura accelerata e il necessario trasferimento del richiedente in Italia, dove viene attivata l’ordinaria procedura di valutazione della sua richiesta di protezione.
In sede di convalida, il vaglio giurisdizionale si appunta sulla provenienza o meno dei richiedenti asilo da paesi considerati “sicuri”, poiché solo in quest’ultimo caso può trovare applicazione la procedura accelerata di frontiera. In tale circostanza, si consente di disporre il trattenimento in loco del soggetto al fine di accertare, in tempi ridotti, il suo diritto a fare ingresso nel territorio italiano.
Il nodo essenziale della questione, pertanto, risulta essere la corretta interpretazione del concetto di paese “di origine sicuro”, introdotto dal legislatore europeo con direttiva 2013/32/UE (c.d. Direttiva Procedure). L’art. 36 della direttiva dispone, nello specifico, che un paese si considera sicuro per un determinato richiedente se “a) questi ha la cittadinanza di quel paese; ovvero b) è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel paese, e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale”.
Sul punto, lo scorso 4 ottobre 2024 si era già espressa la Corte di Giustizia dell’Unione europea (causa C‑406/22), precisando che tale designazione dipende dalla circostanza che in tutto il territorio del paese non si ricorra a persecuzioni né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né vi sia pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno. Un paese, dunque, non può essere definito sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino tali condizioni.
La normativa europea, peraltro, invita gli Stati membri a predisporre e aggiornare un elenco di paesi di origine sicuri ai fini della valutazione accelerata delle richieste d’asilo. A dare attuazione a tali indicazioni, è intervenuto in Italia il d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, il quale ha modificato l’art. 2 bis del d.lgs. 25/2008 rubricato, appunto, “Paesi di origine sicuri”. La lista è stata in seguito oggetto di svariate modifiche, da ultimo l’aggiornamento intervenuto con il d.l. 23 ottobre 2024, n. 158 (c.d. d.l. “Paesi Sicuri”), che ha previsto disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale.
Che tipo di sindacato, dunque, il giudice ordinario può svolgere in ordine alla valutazione di sicurezza di un paese nel caso in cui quest’ultimo sia formalmente inserito nell’elenco dei paesi sicuri predisposto dal Governo? Il punto essenziale è se l’organo giurisdizionale, in sede di convalida, abbia parola in merito a tale verifica o debba strettamente attenersi alla lista stilata dall’autorità competente. Ad entrare in gioco, dunque, è l’eventuale disapplicazione dell’atto amministrativo, espediente processuale che consente al giudice ordinario di valutarne, incidenter tantum, la legittimità e, se del caso, decidere la questione tamquam non esset.
Nell’opinione della Corte d’Appello di Roma, infatti, il giudice della convalida, anche se “non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto”, è comunque chiamato “a riscontrare, nell’ambito del suo potere istituzionale, […] la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro”, in quanto “garante […] dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale”. Per questo motivo, la Corte ha deciso di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia, domandando “se il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, gli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che un Paese terzo sia definito di origine sicuro qualora, in tale paese, vi siano una o più categorie di persone per le quali non siano soddisfatte le condizioni sostanziali di tale designazione”.
A tentare di ricucire il conflitto è intervenuta, nel dicembre scorso, la prima sezione civile della Cassazione che, in due occasioni, si è pronunciata per cercare di porre un punto fermo al serrato dialogo tra politica e magistratura.
Con la sentenza 19 dicembre 2024, n. 33398, la Corte di legittimità si è espressa sulla possibilità di un controllo giurisdizionale in relazione all’elenco dei paesi sicuri (nello specifico, quello predisposto con decreto del MAECI del 7 maggio 2024). Era stato il Tribunale di Roma, nel mese di ottobre, a disporre il rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.p. I giudici, nel caso di specie, non avevano convalidato il trattenimento dei primi dodici richiedenti asilo condotti nei centri albanesi, in virtù della loro provenienza da paesi considerati non sicuri, chiedendo alla Cassazione di pronunciarsi sull’esatta portata del sindacato giurisdizionale rispetto a tale lista.
In merito, i giudici di legittimità hanno chiarito che in capo al giudice ordinario, in quanto “garante dell’effettività dei diritti fondamentali del richiedente asilo”, spetta il potere/dovere di valutare la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione e, dunque, delle condizioni di sicurezza del paese di origine. Il giudice ordinario, secondo la Cassazione, può eventualmente procedere a disapplicare in via incidentale e in parte qua il decreto ministeriale recante la lista dei paesi sicuri, qualora ravveda un contrasto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea.
Il ragionamento della Corte si è soffermato soprattutto sulla natura del decreto ministeriale ed ha escluso che si tratti di un atto politico, come tale insindacabile. Il potere amministrativo di inserire un paese nell’elenco dei paesi sicuri, al contrario, sarebbe scandito da una precisa disciplina dettata dal legislatore europeo e recepita dalla normativa nazionale e, dunque, il rispetto di tali criteri sarebbe suscettibile di verifica in sede giurisdizionale.
Con successiva ordinanza del 30 dicembre 2024, n. 34898, la stessa sezione si è espressa su una questione non dissimile, relativa alla possibilità per gli Stati di qualificare un paese come sicuro in presenza di eccezioni specifiche per alcune categorie di persone. L’interrogativo era nato a seguito della decisione del Tribunale di Roma, che aveva ritenuto che la richiamata pronuncia della Corte di Giustizia si potesse estendere anche all’ipotesi di eccezioni che non consentissero di ritenere un paese sicuro solo per determinate categorie di persone.
I giudici di legittimità hanno escluso qualsiasi forma di automatismo nell’applicazione della decisione della Corte di Giustizia a paesi designati come non sicuri solo per determinate categorie di persone. Ciononostante, hanno ritenuto di non poter prescindere dalla più recente normativa europea, laddove questa specifica che “la designazione […] può essere effettuata con eccezioni per categorie di persone chiaramente identificabili” (Art. 61 par. 2 Regolamento UE del 14 maggio 2024, n. 1348, che istituisce una procedura comune in materia di protezione internazionale nell’Unione, abrogando la suddetta direttiva 2013/32/UE, e che troverà applicazione dal 12 giugno 2026).
Tuttavia, vista l’imminenza della decisione della Corte di Giustizia che ha riunito i rinvii pregiudiziali pendenti operati dai tribunali italiani (la cui udienza è al momento fissata per il prossimo 25 febbraio), con la suddetta ordinanza interlocutoria la Cassazione ha preferito rinviare la causa a nuovo ruolo.
Le due pronunce, in realtà, hanno contribuito ad alimentare il dibattito sulla gestione delle politiche migratorie, con il Governo che accusa i giudici di voler “demolire” il proprio operato ed esercitare un sindacato su scelte discrezionali e riservate. Il bilanciamento operato dall’amministrazione e riflesso nell’elenco di designazione dei paesi reputati sicuri, infatti, è funzionale ad una regolazione considerata efficace dei flussi migratori, anche prevedendo una procedura accelerata di valutazione delle richieste d’asilo. Tuttavia, tale bilanciamento può entrare in conflitto con i poteri del giudice ordinario di garantire diritti fondamentali del richiedente asilo, interesse considerato prevalente dalla magistratura.
Le preoccupazioni maggiori si sollevano in relazione al rischio di collisione tra il potere esecutivo e quello giudiziario, nonché al timore che possano verificarsi sconfinamenti da parte del giudice ordinario su apprezzamenti tipicamente discrezionali. Il giudice della convalida opera, infatti, un bilanciamento di interessi sostitutivo rispetto a quello delle amministrazioni competenti, il che fa sì che oggetto di cognizione non sia esclusivamente la legittimità o meno del provvedimento amministrativo, ma l’assetto stesso degli interessi in gioco, avuto di mira dall’amministrazione.
Stravolgere nelle aule di giustizia il bilanciamento effettuato dal Governo, infatti, può rendere il provvedimento amministrativo inefficace, lasciando, di conseguenza, la situazione dei richiedenti asilo del tutto instabile.
Peraltro, dopo le bocciature consecutive dei trattenimenti dei richiedenti asilo e in attesa dell’imminente decisione della Corte di Giustizia europea, ciò che si evince dalle ultime indiscrezioni è una nuova linea del Governo, che prevede di modificare l’accordo con l’Albania al fine di escludere la competenza dei magistrati italiani sulla gestione della vicenda. L’ipotesi allo studio della politica, infatti, sarebbe quella di trasformare i centri albanesi, al momento di accoglienza e di trattenimento, in centri di permanenza per i rimpatri (c.d. Cpr), il che consentirebbe il trattenimento delle persone irregolari destinatarie di un decreto di espulsione. In questo modo, infatti, non sarebbe più necessaria una convalida da parte del giudice ordinario.
Tuttavia, sono impellenti le istanze di difesa della dignità umana e delle libertà fondamentali di tali soggetti che, al contrario, si trovano invece a dover scontare una “logica del nemico”, calati in un conflitto tra politica e magistratura che, a colpi alterni, non riesce mai ad essere sopito.
4. NUOVE REGOLE PER GLI INVESTIMENTI ESTERI DIRETTI: IL PARERE DELL’ECON E LE DIVERGENZE RISPETTO ALLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO 2024/0023 a cura di Gian Marco Ferrarini
Il 29 gennaio 2025, la Commissione per i problemi economici e monetari (ECON) del Parlamento europeo ha adottato un parere destinato alla Commissione per il commercio internazionale in merito alla proposta di regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti (IDE), volta a rafforzare il meccanismo europeo di screening attualmente in vigore. Pur condividendo l’impianto generale della proposta, la Commissione ha ritenuto opportuno introdurre alcune modifiche significative, mirate a rafforzare l’autonomia strategica dell’Unione, nonché a garantire una maggiore armonizzazione tra gli Stati membri. A tale riguardo, si propone dunque in questa sede una sintesi dei principali emendamenti introdotti dal parere ECON.
Anzitutto, assume particolare importanza l’introduzione del nuovo paragrafo 1(a) all’articolo 4 della proposta di regolamento, relativo alle procedure di risoluzione per la gestione delle crisi di banche o istituzioni finanziarie sistemicamente rilevanti. In particolare, secondo la disposizione de quo, le acquisizioni effettuate nell’ambito degli strumenti di risoluzione, previsti dai rispettivi quadri normativi, devono essere escluse dal perimetro applicativo del nuovo regolamento sugli investimenti esteri diretti. Il principio alla base di questa scelta è chiaro: il salvataggio delle istituzioni finanziarie richiede solitamente interventi tempestivi, spesso nell’arco di un fine settimana o, addirittura, di poche ore. Di contro, la procedura di screening di cui al Reg (UE) 2019/452, concepita per tutelare la sicurezza economica dell’Unione, comporta un’analisi approfondita e, perciò, tempistiche più lunghe, risultando quindi incompatibile con la rapidità richiesta dalla risoluzione bancaria. Tuttavia, il testo prevede che le autorità di risoluzione, come la BCE, debbano comunque tenere conto, per quanto possibile, degli obiettivi del regolamento IDE, in particolare quando l’investitore straniero acquisisce asset ritenuti strategici. In altre parole, pur essendo eslcuse dal controllo ordinario, queste operazioni non dovrebbero ritenersi completamente prive di una valutazione, magari ex post, in modo da evitare ingerenze esterne su istituzioni di rilievo economico o geopolitico. In questo contesto, la presente eccezione normativa offre, a parere di chi scrive, due vantaggi principali: da un lato, consente alle autorità preposte di intervenire senza ritardi, riducendo il rischio che una crisi bancaria si trasformi in un problema sistemico; dall’altro, evita che investitori stranieri interessati a rilevare istituti in difficoltà vengano scoraggiati da procedure lunghe e complesse.
Un’ulteriore novità, in linea con quanto illustrato in precedenza, riguarda poi l’introduzione del paragrafo 2(a) all’articolo 7, prevista dall’emendamento n.40, che ha ampliato il ruolo delle autorità di vigilanza all’interno del sistema di controllo degli IDE. Invero, la nuova previsione dispone che, qualora un’operazione di investimento estero coinvolga un soggetto finanziario strategico, la Banca centrale europea (BCE), l’Autorità bancaria europea (EBA), l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni (EIOPA), ovvero, il Meccanismo di vigilanza unico (SSM), possano emettere un parere motivato rivolto allo Stato membro notificante. Si tratta di una modifica resasi necessaria a causa dell’inadeguatezza dell’attuale meccanismo di screening nell’affrontare in modo approfondito le specificità del settore finanziario e i relativi rischi sistemici che potrebbero derivare dall’ingresso di investirori esteri in infrastrutture critiche. Dunque, il maggiore coinvolgimento delle autorità citate dovrebbe evitare che un investimento approvato ai sensi dell’attuale quadro normativo possa successivamente risultare problematico per la stabilità finanziaria dell’UE.
Proseguendo nell’analisi del documento, il relatore Markus Ferber ha altresì sottolineato l’importanza degli emendamenti riguardanti gli investitori provenienti da paesi ostili, la revisione periodica della normativa, nonché la tutela delle materie prime critiche.
Per quanto riguarda il primo punto, l’emendamento n. 31 introduce un obbligo di screening automatico per gli investimenti effettuati da soggetti riconducibili, direttamente o indirettamente, a paesi sottoposti a sanzioni UE al momento dell’operazione. Tale iniziativa mira a rafforzare la coerenza tra la politica di controllo degli IDE e la politica di sicurezza comune dell’Unione, garantendo che le restrizioni economiche imposte dall’UE non possano essere aggirate attraverso società interposte o, comunque, strutture societarie opache. Senza un controllo di questo tipo esisterebbe, infatti, il rischio concreto che investitori legati a Stati sanzionati possano acquisire asset strategici sul territorio europeo, compromettendo così non solo la sicurezza economica dell’Unione, ma anche la credibilità del suo sistema sanzionatorio.
Parallelamente, l’emendamento n.64 introduce una nuova clausola di revisione periodica, che riduce la frequenza di aggiornamento degli elenchi relativi ai progetti e programmi di interesse dell’Unione, nonché delle tecnologie e attività economicamente sensibili, portandola da cinque a due anni. Così facendo si auspica che il quadro regolatorio in materia di IDE possa adattarsi con maggiore tempestività alle trasformazioni del contesto economico, tecnologico e geopolitico, prevenendo il rischio che eventuali lacune o ritardi nell’aggiornamento della normativa lascino spazio a operazioni da parte di attori stranieri potenzialmente rischiose per la sicurezza dell’UE. In questa prospettiva, il nuovo art. 18(a) affida alla Commissione europea il compito di condurre tale revisione periodica basandosi su una serie di criteri chiave che garantiscono un approccio strutturato e coerente con le finalità della normativa; tra questi, un ruolo centrale è attribuito sia all’evoluzione tecnologica sia ai rischi legati all’accesso ai dati sensibili.
Da ultimo, nell’ambito del progressivo allargamento della disciplina sulle attività strategiche, e in linea con le recenti iniziative europee volte a rafforzare l’autonomia industriale dell’Unione, tra cui il Critical Raw Materials Act, il parere ha evidenziato la necesità di modificare il considerando n.16 nella parte in cui non include tra i settori sensibili quello relativo alle materie prime critiche. Invero, allo stato attuale, il considerando si limita a menzionare la «sicurezza dell’approvvigionamento» in termini generali, senza alcun richiamo specifico a queste risorse essenziali, nonostante il loro ruolo centrale per la transizione energetica e altri settori strategici. L’inclusione esplicita delle materie prime critiche nel sistema di controllo degli IDE risponde, dunque, alla necessità di ridurre la dipendenza dell’UE da fornitori esteri, prevenendo al contempo l’acquisizione da parte di attori extra-UE di imprese europee strategiche operanti lungo la filiera dell’estrazione, della lavorazione e della distribuzione di queste risorse. Come sempre, la sfida sarà trovare un equilibrio tra protezione e apertura del mercato, evitando che il rafforzamento del controllo sugli IDE si traduca in barriere eccessive agli investimenti legittimi, essenziali per la crescita e l’innovazione del settore.
5. IL MODELLO DI E-PROCUREMENT ESTONE: UN ESEMPIO DI BEST PRACTICE DAL 2016 a cura di Linda Sanson
Un sistema di contrattualistica pubblica ben funzionante è essenziale per gli Stati, sia per garantire la sostenibilità del bilancio, sia per la gestione e il controllo dei Fondi strutturali e d’investimento europei (c.d. Fondi SIE). I contratti pubblici sono inoltre fondamentali per promuovere la crescita, l’occupazione e gli investimenti, nonché per rafforzare il mercato unico europeo.
Nel 2016, la Commissione Europea ha commissionato uno studio sulla capacità amministrativa degli Stati membri, con particolare attenzione all’attuazione dei fondi SIE nel settore degli appalti pubblici.
Lo studio descriveva schematicamente le caratteristiche principali dei sistemi di contratti pubblici adottati nei diversi Paesi dell’UE, analizzandone il sistema istituzionale, i punti di forza, le criticità, le strategie e i problemi chiave che influivano sulla capacità amministrativa di ciascuno Stato. Tra i casi esaminati, particolare interesse riveste quello dedicato alla Repubblica Estone. In merito, l’aspetto più rilevante riguardava l’individuazione della più precoce ed efficiente adozione di e-procurement.
Nello specifico, lo studio spiegava come l’e-procurement si fosse sviluppato piuttosto rapidamente in Estonia. Ad esempio, l’obbligo di e-notification, ovvero la pubblicazione elettronica dei bandi di gara, introdotto nel 2001, nel 2016 era già applicato al cento per cento per tutte le gare sopra la soglia di 10.000 euro. Questa transizione digitale è stata favorita sia da un’ampia offerta di servizi di e-procurement, sia dalla loro diffusione capillare tra stazioni appaltanti e operatori economici. Ciò è stato possibile grazie alle numerose campagne di sensibilizzazione svolte, alla pubblicazione di linee guida e all’organizzazione di corsi di formazione.
Grazie a questa evoluzione, il sistema di e-procurement estone e il relativo portale, apprezzati soprattutto per la loro rapidità e facilità d’uso, sono diventati un esempio di best practice per gli altri Stati membri. Il loro successo è sicuramente dovuto all’efficacia dimostrata a livello nazionale, ma anche da alcune caratteristiche distintive. Il portale di e-procurement offre un’ampia gamma di servizi, tra cui e-notification, e-access ed e-submission, supportando l’approvvigionamento e migliorando la gestione della spesa pubblica. L’attrattività del sistema deriva anche dal successo apportato dalle tecnologie di e-procurement nel ridurre l’incidenza della corruzione e nel garantire una spesa appropriata degli stanziamenti di bilancio.
Ad oggi, il modello estone ha consolidato la sua posizione come esempio di best practice. Nell’analisi comparata dei quadri politici nazionali in materia di appalti per l’innovazione in Europa, condotta da Pwc per la Commissione Europea nel 2024, l’Estonia si trova al secondo posto della classifica generale con un punteggio totale del 52,43%. La performance del Paese è superiore alla media europea del 33,05% e alla media europea su 8 dei 10 indicatori.
L’Estonia è dotata di un Registro degli Appalti Pubblici (Riigihangete Register). La piattaforma consente di effettuare gare d’appalto e processi di approvvigionamento per via elettronica. Le istituzioni del settore pubblico in Estonia sono tenute a pubblicare i loro bandi di gara e i risultati sulla piattaforma. Il Registro pubblica informazioni sugli appalti e sulle aggiudicazioni di contratti da parte delle amministrazioni aggiudicatrici e dei beneficiari, nonché informazioni sulle controversie in materia di appalti pubblici. Questo sistema consente di garantire trasparenza nella gestione degli appalti ed è progettato per snellire il processo di approvvigionamento e ridurre gli oneri amministrativi.
Questo strumento costituisce una piattaforma mista rispetto ai corrispettivi italiani. Per esempio, il Riigihangete Register ha sicuramente dei punti di contatto con la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (i.e. B.D.N.C.P.): entrambe le piattaforme costituiscono base di dati volte alla raccolta di informazioni su procedure, partecipanti e risultati degli appalti pubblici. Eppure, mentre la B.D.N.C.P si limita ad archiviare dati, il registro estone costituisce anche una piattaforma di gara elettronica integrata perché permette di effettuare direttamente gare e presentare offerte online. In Italia, invece, queste funzioni sono delegate ad altri strumenti di e-procurement come ad esempio il MePA o il Sistema Dinamico di Acquisto, che costituiscono le piattaforme operative della contrattualistica pubblica italiana. Grazie a questa natura mista, il Riigihangete Register è in grado di integrare e centralizzare le procedure di approvvigionamento pubblico in maniera più efficiente.
È opportuno osservare anche come l’Estonia è pioniera nell’implementazione di sistemi di appalti elettronici ispirati alla tecnologia della blockchain. Con il sistema X-Road il Paese consente agli utenti autorizzati di accedere a dati e servizi di varie organizzazioni e agenzie governative attraverso un’interfaccia sicura e standardizzata. La piattaforma garantisce l’integrità, la riservatezza e l’autenticità dei dati scambiati, rendendola uno strumento affidabile per la comunicazione digitale. Oggi X-Road è implementato in oltre 20 stati al mondo tra cui Giappone, Finlandia, Germania e Arabia Saudita.
Questi sviluppi hanno contribuito a rendere l’Estonia una “società digitale” a tal punto che persino il Financial Times nel 2021 ha individuato il paese come un modello per gli altri governi: “The role model for governements should be Estonia, a country where almost every bureacuratic task can be done online”.
Proprio in ragione del suo essere un esempio per gli altri stati, il governo estone ha promosso e sviluppato un progetto chiamato “e-Estonia” che mira a condividere con altri paesi le innovazioni adottate nel campo dell’e-governance. Il sito e-Estonia.com è infatti pensato come una “vetrina globale” per condividere l’esperienza estone in termini di digitalizzazione e per promuovere soluzioni e modelli di governance digitale.
In conclusione, grazie al suo sistema altamente digitalizzato ed integrato, la Repubblica Estone continua ad essere riconosciuta come un modello di riferimento di e-procurement in Europa. Sebbene il paese, in termini generali di innovazione, non sia considerato il più avanzato in assoluto (basti pensare che a guidare le classifiche tra il 2017 e il 2022 sono Danimarca e Svezia), il suo continuo sviluppo digitale resta significativo. Non a caso, è stata proprio la Commissione Europea, in un comunicato stampa dell’8 Luglio 2024, a definire il paese “un innovatore forte”, che segue “un modello di crescita costante dal 2017”.
6. L’INDAGINE CINESE SUL REGOLAMENTO UE SULLE SOVVENZIONI ESTERE a cura di Riccardo Zinnai
Il Ministero del Commercio della Repubblica popolare cinese aveva avviato il 10 luglio 2024 un’indagine sugli ostacoli posti dal Regolamento (UE) sulle sovvenzioni estere («Regolamento FSR») al commercio e agli investimenti. La procedura era stata sollecitata dalla Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e prodotti elettronici (CCCME) e si fondava sulla comune appartenenza della Cina e dell’Unione europea all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Al termine dell’indagine, il Ministero ha pubblicato il 9 gennaio 2025 un documento di venti pagine in cui ha concluso che il Regolamento FSR può considerarsi una barriera al commercio e agli investimenti.
Il primo problema menzionato nel report concerne l’applicazione selettiva del Regolamento nei confronti delle imprese cinesi, la quale costituirebbe una violazione del principio di non discriminazione stabilito dall’OMC. Viene ricordato, infatti, che le indagini approfondite negli appalti pubblici hanno riguardato esclusivamente imprese cinesi. Il rapporto, tuttavia, omette di indicare che l’unica decisione finora adottata in conclusione di un’indagine approfondita su una concentrazione ha riguardato gli Emirati Arabi Uniti e non la Cina. Ciò nonostante, è vero che il c.d. «capitalismo di Stato» cinese sia stato uno dei principali fattori che hanno condotto all’adozione del Regolamento.
Il secondo tema approfondito è quello delle ambiguità concettuali insite nelle nozioni di contributo finanziario estero e di sovvenzione estera, introdotte dall’art. 3 FSR, da cui derivano rilevanti incertezze per le imprese. Vi è il rischio che normali pratiche commerciali che coinvolgono uno Stato terzo, come l’affidamento di un appalto pubblico, siano ritenute dalla Commissione come fonti di sovvenzioni. È oggetto di ulteriore critica anche la modalità di valutazione circa l’esistenza di una sovvenzione estera distorsiva di un appalto pubblico. Infatti, secondo la prospettiva del Ministero del commercio cinese, il semplice raffronto tra il budget di gara e l’offerta presentata avrebbe portato all’esclusione di offerte ragionevoli e dagli elevati standard qualitativi. Non può negarsi che tale criterio sia stato effettivamente adottato dalla Commissione, essendovene la prova nel testo dei chiarimenti iniziali resi pubblici il 26 luglio 2024.
La terza criticità rilevata è quella dell’aggravio procedurale derivante dai significativi oneri informativi imposti alle imprese. Infatti, per quanto riguarda gli appalti, l’art. 28 FSR prevede che la notifica includa i contributi finanziari esteri ricevuti anche dalle imprese figlie senza autonomia commerciale e dalle società di partecipazione. Inoltre, per l’invio delle informazioni sono state poste scadenze particolarmente stringenti, ad esempio, fissando termini di 3-7 giorni. Effettivamente, l’art. 13 FSR contiene esclusivamente l’indicazione per la quale spetti alla Commissione fissare «un termine adeguato», senza prevederne una durata minima.
Sono inoltre criticate le modalità di conduzione delle ispezioni, talvolta coinvolgenti anche le forza pubblica, soprattutto quando queste siano svolte senza la previa apertura di «un’indagine formale». È utile soffermarsi su questa parte del report,, poiché riguarda una fase rilevante della procedura. Ai sensi dell’art. 10 FSR, infatti, le ispezioni sono consentite anche durante l’esame preliminare che può essere avviato qualora vi siano indicazioni della possibile esistenza di una sovvenzione estera. Inoltre, solamente a seguito dell’avvio di un’indagine approfondita vi è un obbligo per la Commissione di pubblicare la relativa decisione in G.U.U.E. Pertanto, le ispezioni condotte durante l’esame preliminare avvengono senza che le imprese o il paese terzo di appartenenza siano stati preventivamente informati della procedura. Di conseguenza, in tale fase non è possibile per lo Stato terzo richiedere l’avvio di consultazioni con l’UE o presentare osservazioni, venendosi così a creare un disallineamento con le procedure previste dall’art. 13 dell’Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative. Il documento ministeriale, tuttavia, non considera queste previsioni normative, sebbene siano strettamente connesse al tema delle ispezioni «a sorpresa».
Il documento, comunque, risulta ulteriormente interessante poiché consente di apprendere la ragione per la quale, in alcuni casi, le imprese cinesi abbiano preferito ritirarsi dagli appalti pubblici senza attendere l’esito dell’indagine approfondita. Infatti, a fronte della possibilità di subire ammende o indennità di mora (artt. 17 e 33 FSR) qualora «intenzionalmente o per negligenza» siano fornite informazioni inesatte o fuorvianti, le imprese hanno ritenuto più opportuno evitare tale rischio anche in relazione alla grande quantità di informazioni richieste e al quadro di incertezza nel quale dovevano operare.
Sulla base delle circostanze sopra esposte, circa il 93% delle imprese coinvolte nell’indagine ha ritenuto che la normativa abbia introdotto nuovi ostacoli al commercio e agli investimenti nell’UE, specialmente a causa delle incertezze sul possibile operato della Commissione. Al rischio di subire sanzioni si aggiungono i costi derivanti dalla necessità di raccoglie le informazioni richieste e quelli collegati all’assistenza legale specializzata. Inoltre, i maggiori rischi di compliance influenzano le scelte delle imprese europee rendendole meno propense ad accettare investimenti o a collaborare con imprese cinesi se non tutelandosi anticipatamente mediante l’imposizione di specifiche clausole contrattuali.
Il rapporto cinese conclude affermando che il Regolamento FSR possa considerarsi una barriera commerciale e agli investimenti. Nel complesso, può osservarsi che il documento non sia particolarmente innovativo nei contenuti. Effettivamente, molte questioni sollevate dalle imprese cinesi erano già state analizzate successivamente all’entrata in vigore del Regolamento dalla scienza giuridica. L’elemento distintivo risiede nell’adozione di una posizione ufficiale e particolarmente critica verso il Regolamento FSR da parte del governo di un paese terzo. Tuttavia, il governo cinese non ha annunciato quali saranno le ulteriori conseguenze derivanti delle conclusioni alle quali è giunto. Infatti, per il momento, non è sono state avviate consultazioni sul tema nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
La risposta dell’Unione europea al report è stata di sostenere nuovamente la piena compatibilità del Regolamento FSR con la normativa OMC, ricordando in particolare che il Regolamento si applica a tutte le imprese cosicché siano da escludersi le discriminazioni basate sulla nazionalità.
Tuttavia, l’Unione continua a considerare la Cina come partner commerciale con il quale è particolarmente difficile relazionarsi. Nel discorso pronunciato il 29 gennaio 2025, il commissario europeo per le relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche Maroš Šefčovič ha sottolineato la necessità di ridefinire le relazioni commerciali con la Cina sulla base di maggiore trasparenza e reciprocità. A suo avviso, occorre affrontare le politiche commerciali sleali che hanno come conseguenza la creazione di un eccesso di capacità produttiva. Nonostante ciò, rimane comunque possibile il rafforzamento dei legami commerciali e di investimento con l’obiettivo di instaurare un rapporto più equilibrato.
In conclusione, il rapporto cinese costituisce un ulteriore tassello nell’evoluzione delle complesse dinamiche commerciali tra la Cina e l’Unione europea. Inoltre, seppur dalla prospettiva parziale di un rivale commerciale, il documento ha messo in luce gli aspetti più controversi del Regolamento FSR. Vi potrebbero di conseguenza essere significativi benefici dalla pubblicazione di ulteriori chiarimenti ad opera della Commissione.