13 gennaio 2025
Indice
- La Commissione von der Leyen II e le nuove prospettive sul Regolamento FSR a cura di Riccardo Zinnai
- La Corte costituzionale sull’adozione del foglio di via obbligatorio: un ulteriore fronte di contrasto tra autorità amministrativa e giustizia penale a cura di Federica Micarelli
- L’affidamento diretto del Festival di Sanremo alla Rai e le ragioni della sua illegittimità a cura di Carlo Maria Fenucciu
- Ponte sullo Stretto: tra questioni ambientali e sostenibilità finanziaria a cura di Michele Sangiovanni
- Riformare il golden power: proposte per un nuovo assetto normativo tra semplificazione e sicurezza strategica a cura di Gian Marco Ferrarini
- Codice dei Contratti pubblici: le novità introdotte dal d. Lgs. 209/2024 in tema di digitalizzazione a cura di Linda Sanson
- LA COMMISSIONE VON DER LEYEN II E LE NUOVE PROSPETTIVE SUL REGOLAMENTO FSR a cura di Riccardo Zinnai
La Commissione von der Leyen II si è insediata il 1° dicembre 2024, a seguito delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo svoltesi nel mese di giugno, aprendo nuovi scenari sull’applicazione del Regolamento sulle sovvenzioni estere («Regolamento FSR»). Il controllo sui sussidi erogati da paesi terzi rimane un elemento centrale dell’agenda politica europea e la nuova Commissione dovrà attuare la normativa anche avvalendosi dell’esperienza frattanto maturata e possibilmente apportando i correttivi che si riveleranno necessari.
Il compito di dare esecuzione al complesso di norme previsto dal Regolamento continuerà ad essere affidato congiuntamente a due commissari, sebbene vi sia stato un avvicendamento nell’incarico. Infatti, sono stati nominati Teresa Ribera Rodríguez e Stéphane Séjourné, rispettivamente nel ruolo di commissaria europea per la concorrenza e di commissario europeo per l’industria, l’imprenditoria, le piccole e le medie imprese e il mercato unico. Nelle lettere di missione consegnate ai due commissari dalla presidente von der Leyen rivestono una rilevanza centrale il Regolamento FSR e le tematiche ad esso collegate quali la sicurezza economica e la tutela della competitività delle imprese europee, soventemente citati. Si aggiunga anche che il tema delle sovvenzioni estere è stato specificamente oggetto delle domande scritte contenute nel questionario predisposto dalle commissioni parlamentari in sede di audizione dei commissari-designati.
Nella lettera consegnata a Teresa Ribera Rodríguez, la presidente della Commissione ha fatto riferimento alla necessità di identificare i meccanismi per la concessione delle sovvenzioni che, potendo provocare distorsioni nel mercato interno, sono da considerarsi maggiormente problematici. Nel questionario antecedente all’audizione sono state chieste alla commissaria le modalità con le quali intende proteggere le imprese europee innovative dalle acquisizioni c.d. «killer» e da quelle operate da imprese controllate o sovvenzionate da paesi terzi. Nel rispondere, Teresa Ribera Rodríguez ha ricordato che il Regolamento FSR rientra tra gli strumenti di recente adozione su impulso della Commissione europea per affrontare le nuove sfide relative al funzionamento del mercato unico e alla concorrenza. Ha proseguito sottolineando che la loro adozione non sia di per sé sufficiente, dovendo invece essere perseguita la loro piena implementazione e assicurata la complementarità tra le politiche concorrenziali e quelle industriali. Concentrandosi poi sul Regolamento FSR, la commissaria ha sostenuto che verrà applicato con rigore soprattutto per quel che riguarda il modulo sulle concentrazioni. Dovrebbero così venirsi a creare a livello mondiale le condizioni di parità per consentire alle imprese di competere equamente. Il conseguimento di tale obiettivo richiederà il contributo congiunto degli altri commissari e degli Stati Membri, in particolare per quanto riguarda l’attuazione di normative distinte, ma collegate, come il Regolamento sugli investimenti esteri diretti e i regolamenti in materia di difesa commerciale.
La presidente von der Leyen ha fatto riferimento al Regolamento FSR anche nella lettera di missione inviata a Séjourné, essendo anch’egli chiamato all’attuazione della normativa. Nel questionario scritto le commissioni parlamentari hanno espresso preoccupazione per la crescente incertezza globale e hanno sottolineato la necessità di incrementare la sicurezza economica e la competitività delle imprese europee, assicurando l’attuazione sinergica delle diverse politiche settoriali per perseguire la c.d. “autonomia strategica aperta”. Il commissario Séjourné ha concordato sulla necessità di adottare un approccio olistico e maggiormente assertivo per proteggere il mercato interno dalla concorrenza sleale, tutelando così gli interessi dell’Unione. Ha riaffermato l’importanza della cooperazione tra i vari commissari con l’obiettivo di assicurare l’apertura al commercio internazionale nel rispetto degli accordi vigenti, riducendo al contempo eventuali rischi legati alla dipendenza economica.
Rispondendo agli ulteriori quesiti relativi al numero di casi inaspettatamente elevato sottoposti all’esame dell’esecutivo europeo, il commissario Séjourné ha poi manifestato i suoi orientamenti su un eventuale riesame delle soglie da cui dipende l’obbligo di notifica preventiva stabilite dagli articoli 20 e 28. Si ricordi che una concentrazione va notificata qualora una delle imprese partecipanti alla fusione, l’impresa acquisita o la joint venture generino nell’Unione un fatturato di almeno 500 milioni di euro e nei tre anni precedenti i contributi finanziari esteri ricevuti dalle imprese coinvolte siano stati superiori ai 50 milioni di euro. Nelle procedure di appalto pubblico, l’obbligo di notifica sussiste quando il valore stimato dell’appalto sia di 250 milioni di euro (ricordando l’ulteriore soglia pari a 125 milioni derivante dalla somma del valore dei lotti per i quali partecipa l’offerente) e l’offerente o le imprese ad esso ricollegabili abbiano ricevuto contributi finanziari esteri negli ultimi tre anni pari ad almeno quattro milioni per paese terzo.
Tuttavia, l’articolo 52 FSR prevede che la Commissione proceda entro il 14 luglio 2026 al riesame dell’attuazione e del rispetto del Regolamento presentando una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio. In quell’occasione, potranno essere suggerite modifiche legislative, compresa la revisione delle soglie di notifica. La risposta fornita durante la procedura di audizione non ha però permesso di ricavare un’indicazione chiara poiché il commissario si è limitato ad affermare che il tema sarà oggetto del riesame operato dalla Commissione. È anche opportuno rimarcare che, a partire dal 13 gennaio 2025, la Commissione potrà direttamente modificare gli importi delle soglie di notifica ai sensi dell’art. 49 FSR mediante l’approvazione di un atto delegato, il quale dovrà basarsi sulla valutazione dei casi verificatisi nel periodo precedente di applicazione del Regolamento stesso. Su questa possibilità, tuttavia, il commissario non si è pronunciato.
Sebbene la composizione della Commissione sia mutata, il rinnovo nell’incarico della Presidente von der Leyen dovrebbe garantire certa una continuità di fondo nelle scelte strategiche della Commissione. La Presidente ha già avuto modo di esprimere la propria soddisfazione prima verso l’approvazione del Regolamento e successivamente rispetto alla sua attuazione. Inoltre, non ha condiviso la preoccupazione delle commissioni parlamentari per il numero elevato di notifiche preventive ricevute. Infatti, sebbene la maggioranza dei procedimenti si sia conclusa nella fase dell’esame preliminare senza la necessità di un intervento a tutela del mercato, le notifiche hanno consentito alla Commissione di acquisire maggiori informazioni sui contributi finanziari esteri ricevuti dalle imprese aumentando la trasparenza su tali dinamiche economiche. Ha inoltre chiarito che non sussiste il rischio di una applicazione distorta del Regolamento in chiave protezionista poiché l’intervento della Commissione per porre rimedio alle distorsioni di mercato è reso possibile solo qualora siano accertati i presupposti normativi consistenti nella qualificazione di un contributo finanziario estero come “sovvenzione estera” e, successivamente, nella verifica che essa provochi una distorsione nel mercato interno. Inoltre, come ulteriore passaggio la Commissione è tenuta a bilanciare eventuali effetti negativi in termini di distorsione di mercato con i possibili effetti positivi generati dalla sovvenzione. L’obbligo di rispettare tali passaggi e l’eventuale controllo ad opera della Corte di giustizia dell’Unione europea non rendono possibili usi strumentali del Regolamento ad altri fini.
In conclusione, l’applicazione del Regolamento FSR potrà mutare a seguito delle indicazioni fornite dai nuovi commissari. Tuttavia, in base alle dichiarazioni rilasciate, si può supporre una sostanziale continuità con quanto finora avvenuto.
La nuova Commissione dovrà confrontarsi anche il tema della compatibilità del Regolamento con il diritto internazionale. La Corte di giustizia, infatti, si pronuncerà sull’appello cautelare nel caso Nuctech e InsTech c. Commissione, di cui si è già parlato nella nota Il Tribunale UE conferma (provvisoriamente) la legittimità delle ispezioni nei confronti della Nuctech del 23/09/2024. Nel caso si è infatti discusso della legittimità, anche nella prospettiva del diritto internazionale pubblico, delle richieste della Commissione di avere accesso alle informazioni detenute dall’impresa in server situati all’estero. Si ricordi che l’art. 44, par. 9, prevede che l’attuazione del Regolamento non possa contrastare con gli obblighi internazionali assunti dall’UE. Inoltre, la Repubblica popolare cinese ha avviato una propria indagine sulle barriere che il Regolamento FSR asseritamente pone al commercio e agli investimenti. La conclusione è prevista per il 10 gennaio 2025, con una possibile proroga al 10 aprile al ricorrere di circostanze eccezionali. La Commissione von der Leyen II sarà quindi chiamata a difendere la tesi della piena compatibilità del Regolamento FSR con la normativa internazionale nella causa attualmente pendente e anche nei rapporti con gli Stati terzi, qualora decidano di contestare formalmente la compatibilità del Regolamento FSR con la normativa dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, attivando le relative procedure stabilite nell’Intesa sulla risoluzione delle controversie.
2. LA CORTE COSTITUZIONALE SULL’ADOZIONE DEL FOGLIO DI VIA OBBLIGATORIO: UN ULTERIORE FRONTE DI CONTRASTO TRA AUTORITÀ AMMINISTRATIVA E GIUSTIZIA PENALE a cura di Federica Micarelli
Con la sentenza depositata il 17 dicembre 2024, n. 203, la Corte costituzionale ha fatto nuovamente il punto sul conflitto tra autorità di pubblica sicurezza e autorità giudiziaria, in relazione all’adozione della misura del foglio di via obbligatorio. Un dissidio che si palesa spesso, e che si innesta in una tematica più ampia di controllo dell’autorità giurisdizionale sugli atti della Pubblica Amministrazione. Più precisamente, la decisione concerne la legittimità della disposizione che regola tale misura di prevenzione personale, ossia l’art. 2 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136).
Va premesso che il foglio di via obbligatorio è una misura di carattere amministrativo, disposta nei confronti di soggetti considerati socialmente pericolosi e che si trovano in un comune diverso dai luoghi di residenza o di dimora abituale. Tali soggetti vengono diffidati a lasciare il comune, con l’obbligo di non farvi rientro per un periodo non superiore a quattro anni. La disposizione in parola prevede che sia il Questore, con provvedimento motivato, ad ordinare a persone pericolose di lasciare il territorio del comune interessato.
Nello specifico, la questione di legittimità è stata sollevata dal GIP di Taranto, nell’ambito di un procedimento avviato, ai sensi dell’art. 76 comma 3 del d.lgs. 159/2011, nei confronti di un soggetto che aveva fatto più volte ritorno nel Comune pugliese, dal quale era stato allontanato mediante foglio di via. Secondo il giudice per le indagini preliminari, il suddetto art. 2 attribuisce esclusivamente al Questore la titolarità del potere di varare la misura del foglio di via obbligatorio, escludendo, pertanto, l’adozione o la necessità di una successiva convalida da parte dell’autorità giurisdizionale. In questo modo, il giudice penale potrebbe intervenire solo qualora il soggetto interessato dalla misura sia imputato per la violazione degli obblighi stabiliti dal provvedimento. La scelta in questione ricadrebbe unicamente sull’autorità amministrativa, e l’autorità giudiziaria sarebbe soggetta al giudizio effettuato a monte dall’amministrazione, senza possibilità di mettere in atto un ulteriore bilanciamento degli interessi in gioco.
Per il GIP, ciò contrasterebbe con l’art. 13 della Costituzione, in quanto il foglio di via costituirebbe una misura limitativa della libertà personale e, come tale, dovrebbe rispettare la riserva di giurisdizione prevista da tale disposizione. Nonostante non comporti una coazione fisica in senso stretto, infatti, il foglio di via comprometterebbe comunque la libertà morale del soggetto e gli procurerebbe una c.d. “degradazione giuridica”, termine utilizzato dalla giurisprudenza costituzionale per indicare una sua separazione dalla collettività.
In subordine, il giudice a quo palesa un contrasto anche con l’art. 3 Cost., evidenziando la disparità di trattamento rispetto alla misura di sicurezza del divieto di soggiorno, alla misura cautelare del divieto di dimora, e alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Ancora in rapporto di subordinazione, in riferimento al solo art. 3 Cost., il GIP lamenta che al foglio di via non si applichi la disciplina del DASPO urbano, misura sostanzialmente analoga e modellata sul medesimo procedimento di convalida giurisdizionale previsto per il DASPO sportivo con obbligo di firma, di cui all’art. 6 comma 2 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive).
Il provvedimento in esame consegue all’adozione di una scelta discrezionale dell’amministrazione, che effettua una ponderazione delle esigenze più rilevanti, valuta i parametri per l’adozione della misura e, se del caso, emette il foglio di via. A tal fine, l’amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine alla pericolosità del soggetto, effettuando un giudizio prognostico sulla probabilità che, in futuro, questo commetta reati che offendano o mettano in pericolo la tranquillità e la sicurezza pubblica. Giudizio, questo, cui è associata una valutazione discrezionale negativa delle qualità morali e della socialità dell’individuo.
Ciò che il GIP di Taranto lamenta è, per l’appunto, l’attribuzione in via esclusiva al Questore, anziché all’autorità giudiziaria, del potere di effettuare tale bilanciamento o, in via subordinata, l’assenza di una successiva convalida. Tanto l’ordinanza del rimettente, quanto l’opinione depositata dall’amicus curiae, sottolineano infatti il rischio di una “potenziale arbitrarietà” nell’uso di tale misura e propongono, per fronteggiare tale pericolo, un controllo preventivo del giudice penale, quale organo chiamato all’obiettiva applicazione della legge in condizioni di indipendenza ed imparzialità.
Si tratta di un antagonismo tra autorità amministrativa e autorità giudiziaria già registrato più volte su questo tema, e sul quale la Corte costituzionale consolida il proprio orientamento.
I giudici costituzionali, nello specifico, rispondono all’interrogativo che riguarda la limitazione o meno della libertà personale da parte del foglio di via. Secondo la Corte, infatti, il problema concerne l’individuazione di una linea di confine tra libertà personale, tutelata all’art. 13 Cost., e libertà di circolazione, oggetto, invece, del successivo art. 16 Cost. Entrambe le disposizioni prevedono una riserva di legge ma, quando viene in gioco la libertà personale, la disposizione stabilisce anche una riserva di giurisdizione: ogni misura che incide su tale libertà deve essere disposta dall’autorità giudiziaria, ovvero, nei casi di necessità e urgenza indicati tassativamente dalla legge, può essere disposta dall’autorità di pubblica sicurezza, salva comunque la necessità di una convalida da parte dell’autorità giudiziaria entro le successive novantasei ore. Il quesito, in altre parole, è se la misura in parola comporti realmente una limitazione della libertà personale così come tutelata dall’art. 13 Cost. Se così fosse, infatti, il potere di disporre o convalidare la misura apparterrebbe all’autorità giurisdizionale, e l’art. 2 del d.lgs. 159/2011, che attribuisce tale titolarità esclusivamente al Questore, potrebbe presentare profili di incostituzionalità.
Tuttavia, la Corte costituzionale dissente sull’applicazione dell’art. 13 in relazione al foglio di via obbligatorio, delineata, invece, nell’ordinanza a quo. Per i giudici, le garanzie di cui all’art. 13 si applicano qualora la misura sia idonea a produrre una “coazione sul corpo” della persona, ovvero comporti obblighi determinanti una “degradazione giuridica” del destinatario, tali da poter essere equiparati ad un vero e proprio assoggettamento del soggetto all’altrui potere.
Rispetto al primo criterio, la Consulta ritiene che la coazione comporti un evidente assoggettamento fisico della persona ad un potere pubblico, in grado di vincere con la forza ogni sua volontà, e ricomprenda, inter alia, la coazione della persona a rimanere in un determinato luogo, come il suo arresto o fermo, la detenzione, ispezioni e perquisizioni, ma anche la traduzione forzata dell’interessato nel luogo di residenza ovvero davanti all’autorità di polizia. La degradazione giuridica, fulcro dell’ordinanza a quo, determina invece una “menomazione o mortificazione della dignità o del prestigio della persona”, ossia uno “stigma morale”.
A differenza delle considerazioni svolte dal GIP, i giudici costituzionali ritengono che tale trattamento debba incidere sulla libertà di movimento della persona in maniera significativa anche dal punto di vista quantitativo, per cui le misure imposte devono essere di tale intensità da risultare sostanzialmente equivalenti alle restrizioni attuate mediante l’uso della coazione fisica. Per quanto gravoso possa risultare l’obbligo stabilito con il foglio di via, una volta che l’interessato abbia eseguito l’ordine iniziale di lasciare il territorio del comune dal quale è allontanato, questo si risolve nel mero divieto di farvi ritorno, il che lascia libero il soggetto di recarsi in qualunque altro luogo desideri. Pertanto, la Corte costituzionale riconduce la misura in parola all’area di tutela dell’art. 16 Cost., confermando la propria giurisprudenza in materia.
L’ultimo rilievo della Consulta attiene alla possibilità di un controllo giurisdizionale ex post sulla misura disposta dal Questore, eventualità stigmatizzata dal giudice a quo, secondo il quale, in questo modo, il sindacato del giudice penale sarebbe relegato ad una mera casualità successiva. Al contrario, la Corte costituzionale evidenzia gli strumenti idonei a un controllo effettivo della legittimità del provvedimento, in primis tramite il ricorso al giudice amministrativo, che assicura tutela immediata ed effettiva contro provvedimenti lesivi dei diritti fondamentali dell’interessato.
In secondo luogo, la Corte conferma che, nell’ambito di un eventuale procedimento penale, sussista il potere-dovere del giudice di procedere ad una verifica incidentale della legittimità del provvedimento del Questore, quaestio su cui a lungo dottrina e giurisprudenza si sono avvicendate. In entrambi i casi, lo scrutinio sulla legittimità del provvedimento comprende una valutazione di proporzionalità tra le finalità perseguite dall’autorità di polizia e la concreta incidenza della misura sulla libertà di circolazione dell’interessato, oltre che sull’intera gamma dei diritti fondamentali su cui si riflette il provvedimento.
In effetti, il ruolo del giudice penale, e del suo sindacato, in relazione al foglio di via obbligatorio è un tema ricorrente, che si inserisce nella mai sopita querelle tra potere amministrativo e giustizia penale, e nella possibile interferenza tra due aree che, di frequente, si trovano ad entrare in contatto. La giurisprudenza, ormai, è ferma nel ritenere che tale sindacato debba riguardare la verifica della conformità del provvedimento alle prescrizioni di legge, senza tuttavia tradursi in una rivalutazione del giudizio espresso dall’amministrazione al momento di adozione della misura, oggetto del potere discrezionale in materia, appartenente all’autorità amministrativa. Il giudizio di pericolosità effettuato a monte dall’amministrazione e cristallizzato nel provvedimento, infatti, stride con la possibilità che un’autorità esterna vada ad incidere su tale bilanciamento di interessi e, potenzialmente, invada il “recinto sacro”, come spesso è stato definito, della discrezionalità amministrativa.
3. L’AFFIDAMENTO DIRETTO DEL FESTIVAL DI SANREMO ALLA RAI E LE RAGIONI DELLA SUA ILLEGITTIMITA’ a cura di Carlo Maria Fenucciu
Con la sentenza del 5 dicembre 2024, n. 843 il T.A.R. Liguria ha messo in discussione il settuagenario assetto organizzativo del “Festival della Canzone Italiana”, che si tiene, come noto, con cadenza annuale nel comune di Sanremo, ente che ha sempre affidato la realizzazione, promozione e diffusione dell’evento alla RAI – Radiotelevisione Italiana s.p.a. e a società a questa collegate.
La questione origina dalla manifestazione d’interesse presentata in data 7 marzo 2023 al Comune di Sanremo dalla JE s.r.l., società di edizione musicale e di produzione e realizzazione di eventi e opere di carattere musicale. Questa chiedeva al Comune di acquisire i diritti di sfruttamento economico e commerciale del marchio registrato “Festival della Canzone Italiana”, di titolarità del comune, al fine di curare l’organizzazione e lo svolgimento del Festival, nonché le attività di promozione e diffusione allo stesso direttamente o indirettamente connesse.
Dinanzi al mancato riscontro, ma in seguito ad un incontro con alcuni rappresentanti del Comune, la JE impugnava i provvedimenti, non ancora conosciuti, con cui il Comune aveva affidato l’edizione 2024 del festival alla RAI. Il Comune di Sanremo, in pendenza di giudizio, approvava con due diverse delibere le bozze di convenzioni stipulate con RAI s.p.a. e RAI Pubblicità s.p.a., aventi ad oggetto la concessione alla prima dell’uso in esclusiva del marchio “Festival della Canzone Italiana”, e lo svolgimento della 74ª e della 75ª edizione del “Festival della Canzone Italiana” per gli anni 2024 e 2025 e a RAI Pubblicità lo sfruttamento commerciale degli eventi collaterali. Conseguentemente, il Comune dichiarava improcedibile la manifestazione d’interesse, comunicandolo alla JE. La società, quindi chiedeva per motivi aggiunti l’annullamento delle delibere, nonché delle convenzioni stesse, delle quali però chiedeva in alternativa la dichiarazione d’inefficacia in conseguenza dell’annullamento delle delibere. Il ricorso e i motivi aggiunti, come verrà evidenziato nel prosieguo, si fondano essenzialmente sulla violazione delle norme europee e nazionali che impongono, in occasione della concessione di un bene pubblico, di seguire i principi concorrenziali compendiati nelle direttive eurounitarie del 2014, nonché nel codice dei contratti pubblici.
La pronuncia in oggetto pare oltremodo rilevante presentando, oltre all’evidente risonanza mediatica riscossa, due profili che s’intende indagare: quello della legittimazione della JE e quello del merito della questione.
In merito al primo profilo, veniva contestata la legittimazione ad agire della JE dal momento che, trattandosi di impresa di ridotte dimensioni e fatturato, non avrebbe in ogni caso avuto la possibilità di essere selezionata in esito ad una procedura di evidenza pubblica avente ad oggetto l’organizzazione del Festival.
È opportuno rammentare che in materia di appalti pubblici di norma la legittimazione si radica in presenza di una situazione differenziata per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione, sussistendo altrimenti un interesse di mero fatto. Il collegio, facendo riferimento alla nota Adunanza Plenaria n. 4/2011 ricorda le eccezioni a tale regola. In particolare, la regola non rileva quando si contesta in radice la scelta della stazione appaltante di indire una gara, o quando questa manchi del tutto per via di un affidamento diretto o, ancora, quando s’impugna una clausola immediatamente escludente.
Nel caso di specie, la gara mancava del tutto e non può contestarsi la legittimazione della JE per una serie di argomenti. Il primo è logico, prima che giuridico: non può pretendersi che la società abbia i requisiti dimensionali richiesti da un bando che non esiste, essendo peraltro probabile che essa partecipi ad un’eventuale gara per il tramite di un raggruppamento temporaneo d’imprese o di una joint venture. In seguito, in ossequio ai principi di proporzionalità ed effettività della tutela giurisdizionale non può pretendersi che per la sola proposizione del ricorso la società si unisca ad altre imprese.
Infine, in ottica sistematica, il collegio rileva che la radicale assenza della gara comporta una violazione particolarmente grave del principio concorrenziale, ciò che lascerebbe propendere per una legittimazione più ampia.
Di conseguenza, nell’omissione di qualsivoglia procedura di evidenza pubblica, è sufficiente la potenziale partecipazione del ricorrente, a ciò bastando ch’egli operi nello stesso settore interessato dalla controversia.
Venendo ora al merito della questione, la tesi del ricorrente è abbastanza semplice: il marchio “Festival della Canzone Italiana” appartiene al Comune di Sanremo e, per ciò solo, la concessione in sfruttamento dello stesso deve rispettare i principi concorrenziali. Quindi, perimetrando correttamente il tema, la controversia sorge unicamente rispetto allo sfruttamento del marchio e non dunque all’affidamento della realizzazione o la diffusione del Festival. In questo modo, la controversia, benché di primo acchito potrebbe apparire collegata, esula dal settore dei contratti per la realizzazione di programmi audiovisivi, esclusa dall’applicazione del codice dei contratti pubblici ai sensi dell’art. 56, co. 1, lett. f) del d. lgs. 36/2023.
Salta all’occhio, comunque, l’atteggiamento ondivago del collegio circa la qualificazione giuridica del rapporto tra la RAI e il Comune, compendiato nella convenzione da essi stipulata. Di sicuro, si afferma, si è in presenza di un contratto attivo, ma stabilire se si tratti della concessione di un bene pubblico o di un altro contratto di tipo civilistico non è rilevante ai fini della sussistenza o meno dell’obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica. Tale affermazione merita di essere chiarita.
Essa parte dal presupposto che sia per i contratti attivi, sia per le concessioni di beni pubblici, la PA deve rispettare i principi concorrenziali, sebbene non debba sottostare all’intera disciplina del codice dei contratti pubblici, di cui al d. lgs. 36/2023.
Per i contratti attivi, ossia quelli da cui derivi un’entrata per la PA, ciò era previsto già dall’art. 3 della legge generale sulla contabilità, di cui al R.D. 2440/1923, che richiede che la PA proceda per pubblici incanti. Tale remota previsione, ancora vigente, ha svolto a lungo una garanzia per l’efficienza e il buon andamento della PA, introducendo l’obbligo di una procedura pubblica e competitiva. Oggi, l’art. 13 del codice richiede per i contratti esclusi, i contratti attivi e i contratti a titolo gratuito il rispetto non dell’intera normativa, bensì dei principi generali di cui ai primi tre articoli del testo medesimo, tra cui rientra il principio dell’accesso al mercato.
Per quanto riguarda le concessioni di beni pubblici, è opportuno chiarire che esse non sottostanno alla disciplina del codice, nel quale le concessioni sono accomunate agli appalti solo laddove abbiano ad oggetto la realizzazione dei lavori o la gestione dei servizi (art. 177 d. lgs 36/2023, nonché considerando 11 della direttiva 2014/23/UE). Le concessioni di beni pubblici sottostanno comunque ai principi concorrenziali, o per effetto dello stesso art. 13 del codice, o per effetto dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (cd. Bolkestein). Tale testo normativo richiede di attivare una procedura di selezione tra i candidati quando il numero di autorizzazioni per una determinata attività sia scarso. Tale articolo, congegnato per le attività da svolgersi su beni materiali, potrebbe adattarsi anche a beni immateriali, quale è il marchio, la cui caratteristica essenziale è proprio quella di limitarne l’uso solo a chi l’ha registrato e ad eventuali licensee. Peraltro, a sostegno della qualificazione della questione come concessione di bene pubblico, si segnala che già nella pronuncia 4 febbraio 2015, n. 552 il Consiglio di Stato aveva qualificato la concessione del marchio “EXPO 2015” in tal senso.
In sostanza, indipendentemente dalla qualificazione concessoria o meno del rapporto, la disciplina impone di instaurare un dialogo tra più operatori, che non per forza deve rispettare le tecniche di affidamento di cui al codice dei contratti pubblici, come espresso anche nella recentissima pronuncia del T.A.R. Trieste 11 ottobre 2024, n. 333. In tale occasione il Tribunale friulano ha ritenuto che l’esclusione di determinati contratti dal Codice indica che per questi è sufficiente uno standard di concorrenzialità minore, così concludendo per la legittimità della procedura di cui all’art 37 cod. nav. per l’affidamento di concessioni demaniali marittime.
Per completezza, si segnala che anche nel radicare la giurisdizione nell’art. 133, co. lett. b) del c.p.a. (e dunque in materia di concessione di beni pubblici) il collegio si astiene dal prendere una posizione netta, affermando che la giurisdizione ivi si rinviene perché è la delibera della giunta comunale a qualificare il rapporto come concessorio. Ad ogni modo, tale statuizione non è idonea a passare in giudicato per effetti diversi dalla sussistenza della giurisdizione, che, peraltro, non era contestata e comunque spetta al giudice amministrativo (in sede generale di legittimità, chiaramente) anche quando si contesta la scelta del contraente in altri contratti attivi (ad. es. in tema di locazione di beni pubblici: T.A.R. Campania, Salerno, 22 marzo 2021, n. 727).
Il collegio ha quindi ritenuto infondate le argomentazioni addotte dal Comune e dalla RAI. Quest’ultima, in particolare, ha adottato una particolare linea difensiva volta a dimostrare che l’evento “Festival” è costituito dall’inscindibile connubio tra il marchio (cioè il titolo della manifestazione, appartenente in via esclusiva al Comune) e il format.
Quest’ultimo sarebbe un’opera dell’ingegno ideata dalla RAI, che ne detiene in esclusiva il diritto d’autore e quindi di utilizzazione. Così, nell’ambito del festival sussisterebbe una particolare comunione tra il titolare del marchio e il titolare del format. Questa suggestiva tesi non ha persuaso il collegio che, pur non contestando che la RAI possa vantare un diritto d’autore sul format (ciò che esula dal thema decidendum), ne disconosce l’indissolubile legame con il marchio appartenente al Comune.
Innanzitutto, dal punto di vista sistematico la tesi non è rispettosa delle norme sulla comunione, dal momento che il legislatore ha adottato il modello della comunione pro indiviso con quote ideali, contrariamente alla ricostruzione della RAI, secondo cui sussisterebbe una comunione tra il marchio e il format, di cui sono rispettivamente titolari in esclusiva Comune e la RAI stessa.
Di più, non può dirsi che il marchio “Festival della Canzone Italiana” costituisca solo il titolo del format ideato dalla RAI, dal momento che il marchio deve essere idoneo di per sé ad identificare un bene o un servizio (art. 2569 cc.), svuotandosene altrimenti l’utilità. In sostanza, non si nega che la RAI possa vantare un diritto d’autore sul format, ciononostante il marchio “Festival della Canzone Italiana” identifica per forza una manifestazione canora: per contestare tale assunto la RAI avrebbe dovuto opporsi alla registrazione del marchio da parte del Comune.
In tal modo sembra possano riassumersi i tratti salienti della pronuncia, che lascia tuttavia delle questioni irrisolte. In effetti, forse si potrebbe indagare in modo più esaustivo i rapporti tra la RAI e il Comune, come descritti nella convenzione, tenendo conto anche degli obblighi che il Comune ha assunto nella stessa (ad. es. procurare gli addobbi floreali, locare e mettere a disposizione alcuni locali, anche privati previa locazione degli stessi, come per il teatro “Ariston” etc.); i quali obblighi potrebbero lasciar intravedere un rapporto che va oltre la mera concessione di bene pubblico. Certo, si comprende che nel caso di specie il tema era prettamente circoscritto allo sfruttamento del marchio, inteso come bene pubblico, per cui è probabile che tali profili non vengano trattati neanche in sede di impugnazione della sentenza.
4. PONTE SULLO STRETTO: TRA QUESTIONI AMBIENTALI E SOSTENIBILITA’ FINANZIARIA a cura di Michele Sangiovanni
Lunedì 30 dicembre, il CIPESS avrebbe dovuto dare il via libera definitivo al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Al contrario, la seduta si è rivelata preparatoria, rimandando l’approvazione definitiva del progetto alle prossime settimane a seguito del parere positivo, ma con prescrizioni, della Commissione Tecnica di valutazione dell’impatto ambientale (VIA), presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MAESE), in relazione all’impatto ambientale dell’opera su numerosi siti di primaria importanza, quali le Zone di Protezione Speciale (ZPS) e le Zone Speciali di Conservazione (ZSC). Il parere della Commissione VIA segue quello del Comitato scientifico, indipendente, nominato nell’ottobre del 2023 dal MIT, con riferimento alla compatibilità ambientale e alla localizzazione dell’opera.
Il nodo da sciogliere è la compatibilità delle regole ambientali poste dalla Commissione europea con il progetto definitivo dell’opera. Nello specifico, il richiamo, su cui si fonda la decisione della Commissione VIA, è alla direttiva europea sulla valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici o privati che possono avere un impatto ambientale significativo (Direttiva 2011/92/UE modificata dalla Direttiva 2014/52/UE).
La direttiva europea ha armonizzato i principi per la valutazione dell’impatto ambientale dei progetti, tramite l’introduzione di requisiti minimi per quanto riguarda i progetti soggetti a valutazione, i principali obblighi dei committenti, il contenuto della valutazione e la partecipazione delle autorità competenti, e contribuisce a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente e della salute umana.
È poi compito delle autorità competenti nazionali accertare, come indicato dall’articolo 8 bis paragrafo 6 della direttiva in questione, con provvedimento motivato, gli effetti significativi dei progetti nazionali sull’ambiente e vigilare sul rispetto da parte degli Stati membri della normativa. Ed è in virtù di ciò che la Commissione VIA ha dato il via libera al progetto del Ponte sullo Stretto, con 62 prescrizioni inerenti alla tutela della biodiversità, l’adeguamento del profilo strutturale del ponte, l’impatto sulla salute pubblica e la qualità dell’aria. Prescrizioni che hanno indotto il Governo ha rinviare la seduta CIPESS per il via libera definitivo alle prossime settimane.
Nonostante ciò, si tratta comunque di uno stop ad un iter che sembrava oramai concluso, soprattutto dopo che il 23 dicembre il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Mit) ha chiuso la conferenza dei servizi istruttoria per il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria.
La Conferenza è stata istituita nel contesto del processo attuativo delle disposizioni normative finalizzate al riavvio delle attività di programmazione e progettazione volte alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, di cui al decreto-legge n. 35 del 31 marzo 2023 convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 58 del 25 maggio 2023, su richiesta della Società Stretto di Messina S.p.A al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Infatti, come indicato dal Documento di Economia e Finanza 2024, allegato alla legge di bilancio 2025, che ripercorre l’iter del progetto, con il DL 31 marzo 2023 n. 35 è stato riavviato l’iter realizzativo dell’opera attraverso:
- la prosecuzione del rapporto concessorio con la Società Stretto di Messina S.p.A.
- la soluzione del contenzioso pendente
- in continuità con l’iter approvativo del progetto definitivo 2011-2012, l’adeguamento alle più recenti tecniche di costruzione, all’evoluzione tecnologica e alle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e in ambito archeologico.
È stata successivamente predisposta la “Relazione del progettista”, attestante la corrispondenza al progetto preliminare e alle eventuali prescrizioni dettate in sede di approvazione dello stesso e, nel febbraio del 2024, con delibera del Consiglio di Amministrazione della Società Stretto di Messina S.p.A. sono stati approvati il Progetto definitivo integrato dalla Relazione del progettista.
Momento cruciale dell’iter progettuale è stato l’approvazione del DL Infrastrutture a giugno del 2024.
È proprio tramite questo provvedimento che il Mit viene autorizzato ad approvare il progetto esecutivo del Ponte sullo Stretto di Messina “anche per fasi costruttive” invece che “entro il 31 luglio 2024” come previsto inizialmente nel DL 2023 n. 35. È dunque grazie all’intervento del DL Infrastrutture 2024 che si è impressa un’accelerazione all’iter di realizzazione dell’opera, soprattutto relativamente alla progettazione esecutiva.
Inoltre, la legge di bilancio 2025 ha incrementato di 1.5 mld le risorse destinate al Ponte e aumentato di 500 mln (90 milioni per l’anno 2027, 180 milioni per il 2028, 160 milioni per il 2029 e 70 milioni per il 2030) le risorse per la realizzazione delle opere connesse all’opera. Un aumento di finanziamenti che però stride con le richieste di contenimento della spesa e con la lotta agli sprechi, soprattutto dopo i recenti rilievi della Corte dei Conti.
Infatti, con la delibera n. 143 del 4 dicembre 2024, in merito alle attività di controllo sulla gestione finanziaria di Anas nel 2023, i giudici contabili hanno rilevato un disavanzo di 69 milioni di euro sul bilancio 2023 causato dalla perdita di valore delle azioni di Stretto di Messina SpA (SdM).
In questo quadro, già di per sé complicato, sono innestati tre ricorsi presentati davanti ai giudici amministrativi; da ultimo quello delle associazioni ambientaliste (Legambiente, LIPU e WWF Italia) al TAR Lazio contro il parere favorevole con prescrizioni sulla riguardante il Ponte sullo Stretto di Messina.
Nel ricorso si evidenzia l’illogicità del parere rilasciato dalla Commissione VIA che presenta importanti carenze di analisi: la valutazione d’incidenza negativa pregiudica il parere positivo rilasciato, mentre le analisi e gli approfondimenti richiesti – in particolare su mitigazioni e compensazione – si sarebbero dovuti presentare già con il progetto definitivo, essendo irragionevole chiederli per il progetto esecutivo, dopo l’affidamento per la realizzazione dell’opera.
In attesa degli esiti dei ricorsi, nelle prossime settimane il CIPESS si riunirà per dare il via libera definitivo al progetto, consentendo così l’avvio della fase esecutiva. Il delicato equilibrio tra rispetto delle procedure e accelerazione dei lavori sarà la vera sfida del Governo per i prossimi mesi. Il legittimo dubbio che una semplificazione delle procedure possa aver messo in secondo piano esigenze di tutela ambientale e contenimento della spesa pubblica potrà essere risolto solo tra qualche mese.
5. RIFORMARE IL GOLDEN POWER: PROPOSTE PER UN NUOVO ASSETTO NORMATIVO TRA SEMPLIFICAZIONE E SICUREZZA STRATEGICA a cura di Gian Marco Ferrarini
È stato presentato lo scorso 18 dicembre, presso il Centro studi americani, il documento programmatico elaborato dall’Osservatorio Golden Power (“Osservatorio”). In particolare, il documento individua le principali criticità che affliggono l’attuale quadro normativo, offrendo, al contempo, un ventaglio di proposte mirate a risolverle. Nel prosieguo, pertanto, si propone una puntuale disamina riguardante sia le problematiche emerse che le soluzioni avanzate dal gruppo di esperti, con l’intento di mettere in luce i punti chiave del documento e la loro rilevanza per il futuro del meccanismo nazionale di screening degli investimenti esteri.
Anzitutto, una delle problematiche più rilevanti, già evidenziata in passato da Assonime, riguarda il tema della frammentarietà normativa, generata dalle numerose modifiche e integrazioni degli ultimi anni, che hanno contribuito a creare un sistema caratterizzato da incertezze applicative, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo. A tal riguardo, l’Osservatorio propone il riordino della disciplina in un Testo Unico, che includa i regolamenti e i DPCM attuativi e che realizzi il coordinamento con le normative di settore e uniformi le definizioni della disciplina nazionale con quelle previste dal quadro normativo europeo. Così facendo, si auspica di eliminare le ambiguità che, a partire dal 2019, hanno determinato la proliferazione delle cc.dd notifiche “prudenziali”, molte delle quali considerate dalla Presidenza del Consiglio non sussumibili all’interno del perimetro applicativo tracciato dalla normativa.
Venendo al piano degli aspetti procedurali, le principali problematiche individuate riguardano il coordinamento inter-istituzionale, la gestione delle pre-notifiche, i tempi del procedimento e il regime sanzionatorio.
In merito al primo punto, si fa riferimento alle ipotesi in cui si instaurino rapporti di specialità tecnica tra la disciplina Golden Power e le altre normative settoriali. Tali situazioni determinano un poli-scrutinio amministrativo, con il coinvolgimento simultaneo della Presidenza del Consiglio e di altre autorità nazionali e/o estere competenti, che, inevitabilmente, può sollevare criticità pratiche legate ai termini procedurali, all’identificazione degli eventi rilevanti che fanno scattare l’obbligo di notifica, e alla possibile conflittualità tra i rimedi previsti nei diversi procedimenti. Per affrontare queste problematiche, si propone allora di istituzionalizzare il coordinamento tra la Presidenza del Consiglio e le autorità amministrative di settore (ad esempio, CONSOB, AGCM), suggerendo, in particolare, di introdurre un obbligo per il Gruppo di coordinamento di richiedere un parere non vincolante qualora, durante la fase istruttoria, emergano questioni rientranti nella competenza esclusiva di un’autorità amministrativa di settore. Tale misura consentirebbe di ridurre conflitti interpretativi e operativi, garantendo maggiore coerenza e prevedibilità nelle decisioni.
Con riferimento alla pre-notifica, per come attualmente configurata, questa non appare idonea a perseguire le finalità deflattive che ne avevano giustificato in principio l’adozione, ossia alleggerire il sistema riducendo il numero delle notifiche formali superflue. Per incentivare un utilizzo più efficace della pre-notifica, il documento programmatico sottolinea allora l’esigenza di ridefinirne il contenuto minimo, proponendo l’adozione di un formulario in forma abbreviata che semplifichi e standardizzi il processo. In aggiunta, oltre a sostituire il meccanismo del silenzio-diniego con quello del silenzio-assenso già previsto in seno alla notifica, l’Osservatorio raccomanda l’introduzione di una disposizione esplicita che preveda, in caso di conclusione del procedimento di pre-notifica con esito di inapplicabilità o manifesta insussistenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri speciali, il divieto per il Gruppo di coordinamento di richiedere comunque la presentazione di una notifica formale. Infine, qualora il procedimento di pre-notifica si concluda con la richiesta di eseguire la notifica, si propone che la Presidenza del Consiglio riversi nel procedimento formale tutte le informazioni già raccolte durante la fase preliminare. Questo accorgimento consentirebbe di semplificare l’onere di comunicazione a carico delle parti interessate e di tenere conto del tempo già trascorso nella gestione dei termini del procedimento di notifica.
Un ulteriore aspetto critico individuato dall’Osservatorio riguarda la gestione delle tempistiche e il conteggio dei termini procedurali. In particolare, l’assenza di uniformità nei termini previsti dalla disciplina, insieme a modalità di computo poco chiare, generano negli operatori incertezze operative che influiscono negativamente sull’efficienza complessiva dei procedimenti. Questo stato di cose ha spinto il gruppo di esperti a proporre di esplicitare che i termini previsti per la durata del procedimento Golden Power (45 giorni), così come quelli per rispondere a richieste istruttorie rivolte ai soggetti notificanti (10 giorni) o a terzi (20 giorni), devono essere computati in giorni di calendario, in tal modo eliminando le attuali ambiguità interpretative intorno alla locuzione “giorni”. Parallelamente, viene suggerito di precisare che le parti hanno il diritto di richiedere una proroga motivata dei termini per rispondere alle richieste istruttorie: in questo modo si garantirrebbe un maggiore equilibrio tra il rispetto delle scadenze e le esigenze operative delle imprese, evitando che vincoli troppo rigidi compromettano la qualità delle informazioni fornite.
In riferimento alla questione delle sanzioni, l’Osservatorio evidenzia la gravosità dell’attuale sistema, il quale, imponendo penalità eccessivamente severe, spinge le imprese a notificare le operazioni in via meramente cautelativa. Questo approccio non solo aumenta il numero di comunicazioni inutili, ma sovraccarica anche il sistema amministrativo senza apportare benefici concreti alla tutela degli interessi strategici dello Stato. Per ridurre il numero di notifiche relative a operazioni che non rientrano nell’ambito applicativo dei poteri speciali, l’Osservatorio propone di riformare l’attuale regime sanzionatorio sulla proporzionalità. In altre parole: le sanzioni dovrebbero essere commisurate all’entità e all’effettività del pregiudizio arrecato agli interessi essenziali dello Stato, nonché al comportamento delle parti coinvolte. Infine, in aggiunta a quanto detto, si suggerisce l’introduzione di un sistema di ravvedimento operoso, che consenta alle imprese di comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri eventuali operazioni eseguite in violazione dell’obbligo di notifica o il mancato rispetto di prescrizioni o condizioni imposte. Tale strumento, oltre a promuovere un atteggiamento collaborativo da parte degli operatori economici, dovrebbe essere considerato in sede di definizione della sanzione, permettendo così un’applicazione più equa e bilanciata del regime punitivo.
Completate le riflessioni sugli aspetti procedurali, è opportuno ora soffermarsi sulla parte conclusiva del documento programmatico, dedicata alle questioni di carattere sostanziale.
Anzitutto, un primo tema rilevante riguarda la proposta di abrogare l’art. 1-bis del D.L. n. 21/2012, che disciplina la sicurezza dei dati trasmessi attraverso le reti 5G. L’analisi dell’Osservatorio evidenzia come il quadro normativo vigente, pur concepito per rispondere a specifiche esigenze, necessiti di un aggiornamento per allinearsi ai più recenti sviluppi legislativi in materia di sicurezza cibernetica. Trattasi, in particolare, della perimetrazione della sicurezza nazionale realizzata con il D.L. n. 22/2019 nonché della successiva istituzione di un’Agenzia ad hoc per la cybersecurity. Tenuto conto di ciò, l’Osservatorio ritiene allora più coerente sottrarre le tecnologie 5G dal perimetro applicativo della disciplina Golden Power, abrogando l’art. 1-bis, per ricondurle nel contesto della sicurezza cibernetica, mantenendo, però, il modello procedurale di esercizio dei poteri speciali, e mutuando l’esperienza acqusita in termini di imposizione delle condizioni.
Un secondo aspetto degno di nota, è rappresentato dalla necessità di chiarire la portata applicativa della disciplina, per evitare, da un lato, che vengano notificate operazioni palesemente estranee alla normativa sul Golden Power; dall’altro, garantire che operazioni realmente rilevanti non sfuggano al meccanismo di screening. Per raggiungere questi scopi, il documento suggerisce una serie di interventi, tra i quali spiccano la pubblicazione, in versione non confidenziale, delle delibere di esercizio o non esercizio dei poterispeciali, in modo da migliorare la trasparenza e fornire agli operatori un quadro più chiaro delle prassi applicative e il chiarimento del concetto di partecipazione, al fine di adottare una definizione omogenea. A titolo di esempio, si legge che «laddove sono indicate delle soglie (art. 1 oppure dell’art. 2 in ipotesi di investitori extra-UE), sarebbe opportuno che il concetto di “partecipazione” ricomprenda esclusivamente il capitale con diritti di voto e che siano previste soglie differenziate per le società quotate/con titoli diffusi tra il pubblico e le società chiuse».
Un’ulteriore area di intervento riguarda il coordinamento tra Golden Power e regimi concessori, con particolare riferimento ai settori autostradale, idroelettrico, del servizio gas/elettrico e del sedime aereoportuale. Invero, la normativa attuale non fornisce indicazioni sufficientemente chiare su come tali ambiti debbano interagire, il che genera incertezze sia per gli operatori economici sia per le amministrazioni coinvolte. Si propone, dunque, di definire, in sede di regolamentazione secondaria, le singole fattispecie degli appalti, delle concessioni e delle autorizzazioni, fornendo altresì una sintesi dei rapporti convenzionali tra soggetti privati e amministrazioni pubbliche derivanti da gare, nonché di inserire all’interno dell’art. 3, co. 4, DPCM n. 189/2022, una disposizione che ribadisca l’obbligo di notifica anche in caso di sub-concessione o sub-affidamento.
Infine, uno dei temi centrali individuati dall’Osservatorio, riguarda la necessità di garantire maggiore certezza e prevedibilità agli operatori economici in relazione alle prescrizioni, condizioni e raccomandazioni contenute nelle delibere sui poteri speciali. Al fine di venire incontro a tali esigenze, si auspica, da un lato, il rafforzamento dell’onere motivazionale delle delibere che impongono prescrizioni o condizioni, definendone in modo chiaro l’ambito oggettivo, soggettivo e temporale di applicazione, nonché di consentirne la revisione con possibile revoca qualora intervengano mutamenti sostanziali nelle circostanze di fatto o di diritto che ne avevano giustificato l’adozione; dall’altro lato, si raccomanda di chiarire in modo esplicito che le raccomandazioni presenti nelle delibere di non esercizio dei poteri speciali non hanno carattere vincolante, in tal modo distinguendole nettamente dalle prescrizioni e condizioni obbligatorie. Queste misure dovrebbero ridurre il tasso di incertezza che attualmente affligge il sistema.
6. CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL D. LGS. 209/2024 IN TEMA DI DIGITALIZZAZIONE a cura di Linda Sanson
Il 31 dicembre 2024 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D. Lgs n. 209/2024 recante Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36.
A un anno e mezzo dall’entrata in vigore del nuovo codice, il legislatore ha provveduto a integrarne e modificarne il testo. Durante il primo periodo di attuazione del D.lgs. 36/2023 è stato effettuato un monitoraggio della sua implementazione, che ha permesso di individuare i punti critici. In conformità con la legge di delega (Legge n.78/2022) sono state apportate le correzioni e modifiche che l’applicazione pratica ha reso necessarie e opportune.
Le aree di intervento del D.lgs. 209/2024 sono diverse. Tra queste, le più significative riguardano l’equo compenso, le varianti in corso d’opera, e la revisione dei prezzi. Anche in tema di digitalizzazione non sono mancati gli interventi correttivi, in coerenza con gli obiettivi del codice del 2023, che punta sulla digitalizzazione per migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi per cittadini e imprese.
Nello specifico, la nuova versione del comma 7 dell’art. 23 del D.lgs. 36/2023 autorizza anche le stazioni appaltanti, in aggiunta all’ANAC, a segnalare all’AgID eventuali omissioni in merito a informazioni o attività necessarie per garantire l’interoperabilità dei dati. Si vuole così rafforzare il controllo, la trasparenza e la collaborazione tra le autorità coinvolte, ottimizzando l’efficacia dell’ecosistema digitale.
Al fine di chiarire alcuni dubbi applicativi emersi nell’attuazione della normativa, l’art 9 del D.lgs. n. 209/2024 ha modificato l’art. 24 del codice stabilendo una prevalenza delle regole e degli obblighi generali di interoperabilità della Banca dati nazionale dei contratti pubblici rispetto alle disposizioni potenzialmente diverse che regolamentano le singole banche dati che partecipano all’ecosistema digitale pubblico. Da ciò dovrebbe derivare una maggiore semplificazione nelle attività di alimentazione del fascicolo virtuale degli operatori economici.
Le modifiche legislative intervengono anche in relazione alle prerogative dell’AgID in relazione alla fissazione delle regole tecniche in tema di accreditamento delle piattaforme. Il nuovo testo del co. 1 dell’art. 26 del D.lgs. 36/2023 prevede ora che l’AgID non debba più stabilire i requisiti tecnici delle piattaforme di approvvigionamento digitale e la conformità delle piattaforme digitali di e-procurement, ma limitarsi a definire le modalità generali per la certificazione di tali requisiti. In questo senso, la mutata ratio del nuovo art. 26 è di ampliare il novero dei soggetti che insieme all’AgID sono tenuti a definire le modalità di certificazione dei requisiti tecnici delle piattaforme di approvvigionamento digitale. In origine, infatti, tale processo era definito dall’AgID di intesa con l’ANAC e il Dipartimento per la trasformazione digitale. A seguito delle ultime modifiche legislative, è prevista anche la collaborazione dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale. L’intenzione del legislatore tramite tale modifica è dunque quella di rafforzare la sicurezza informativa e l’affidabilità delle piattaforme, migliorando l’integrazione e il controllo nell’intero sistema di approvvigionamento pubblico.
Per garantire l’adeguamento delle piattaforme alla sicurezza delle informazioni e all’ecosistema digitale nazionale, nel nuovo testo dell’art. 26 sono introdotti requisiti aggiuntivi basati su standard internazionali. In particolare, il comma 2 specifica che nell’individuare i requisiti e i titoli necessari per dimostrare la conformità delle piattaforme di e-procurement ai requisiti di sicurezza delle informazioni, è necessario tenere conto anche degli “standard internazionali di settore”. Questo nuovo requisito riflette ulteriori obiettivi di armonizzazione normativa, cercando di assicurare la coerenza tra i sistemi di approvvigionamento digitale a livello nazionale e internazionale.
Un ulteriore modifica legislativa riguarda la diversa suddivisione delle attribuzioni tra il responsabile unico del procedimento e il personale della stazione appaltante con riguardo alla gestione dei dati da includere nella Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) e l’obbligo di adottare particolari metodi di gestione informativa digitale per la progettazione e la realizzazione di opere di nuova costruzione (c.d. Building Information Modeling –BIM). Le modifiche legislative hanno innalzato a 2 milioni di euro l’importo minimo, calcolato sulla “stima del costo presunto”, da cui discende l’attivazione degli obblighi di progettazione stabiliti dall’art. 43 del codice appalti.
In conclusione, il D.lgs. 209/2024 contiene diverse norme che si occupano degli aspetti digitali degli appalti pubblici, che hanno l’intento di rafforzare il ruolo della trasparenza amministrativa, migliorare l’interoperabilità dei dati e garantire una maggiore sicurezza informatica. Le modifiche legislative puntano infatti ad attivare una maggiore collaborazione tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti nelle procedure di gara, oltre ad una graduale ottimizzazione degli ecosistemi digitali.