INDICE
- Trasparenza e semplificazione: il richiamo del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento sui sussidi esteri distorsivi del mercato interno di Matteo Farnese.
- L’instabilitàdeglieffettinell’aggiudicazioneprovvisoria.Quando l’amministrazione può fare un passo indietro senza conseguenze di Eugenio Parisi.
- Stadio Tardini: un perfetto esempio di ricostruzione, che evidenzia benefici e criticita’ della legge sul project financing per impianti sportivi di Antonio Triglia.
- Rinviare sempre? Ampiezza e confini dell’obbligo di rinvio pregiudiziale nelle recenti ordinanze del Consiglio di Stato sui servizi telefonici di Francesca Saveria Pellegrino.
1. Trasparenza e semplificazione: il richiamo del comitato economico e sociale europeo sulla proposta di regolamento sui sussidi esteri distorsivi del mercato interno
A cura di Matteo Farnese
Lo scorso anno la Commissione europea ha presentato la proposta di regolamento sul controllo delle sovvenzioni estere con effetto distorsivo nel mercato interno. Si tratta di un’iniziativa molto importante perché è la prima volta che l’Ue si interessa di cosa avviene al di fuori di essa in materia di aiuti di stato, prevedendo, tra l’altro, tre strumenti di controllo: il primo, basato sulla notificazione per le concentrazioni in cui il fatturato dell’impresa dell’UE supera i 500 milioni di EUR e i contributi finanziari esteri superano i 50 milioni di EUR; il secondo, basato sulla notificazione per le offerte nelle gare d’appalto pubbliche con un valore contrattuale superiore a 250 milioni di EUR; il terzo, d’ufficio per tutte le altre situazioni di mercato nonché per le concentrazioni e le procedure di appalto pubblico al di sotto delle soglie fissate nei casi precedenti.
La proposta è ancora nella fase iniziale dell’iter di approvazione ma ha già registrato un importante contributo da parte del Comitato economico e sociale europeo (di seguito Comitato). Il 5 novembre 2021, il Comitato, attraverso il parere INT/954, ha condiviso l’esigenza di rafforzare gli strumenti di protezione del mercato unico, sottolineando, però, alcuni aspetti problematici, soprattutto in materia di semplificazione e trasparenza.
Con riguardo al primo profilo, vengono prese in considerazione tre aree critiche. In primo luogo, il coordinamento con i regimi esistenti di controllo, utile a diminuire il carico burocratico sulle aziende operanti nel territorio europeo. Per esempio, una stessa operazione potrebbe essere soggetta a tre diverse procedure: controllo delle fusioni, screening degli investimenti esteri e controllo delle sovvenzioni estere ai sensi della proposta, ciascuna con proprie procedure e tempistiche. In secondo luogo, il rapporto tra le competenze di Commissione e Stati Membri. A questi ultimi è affidata la procedura di controllo degli investimenti esteri, per cui è opportuno chiarire l’ambito di applicazione del regolamento in modo da garantire un’uniforme applicazione a livello europeo, riducendo il rischio di interpretazioni divergenti tra gli Stati. In questa prospettiva, il Comitato suggerisce di istituire uno sportello informativo per le imprese circa la normativa riguardante i sussidi esteri. In terzo luogo, la lentezza della procedura di controllo delle offerte nei contratti pubblici. Questa, in caso di in-depth investigation, può addirittura superare i 200 giorni per la verifica, non permettendo agli enti di aggiudicare il contratto alla società che sia sotto esame della Commissione, rappresentando per le imprese un costo burocratico non facile da sopportare, e per gli Stati un ostacolo all’espletamento delle procedure di attuazione del Next Generation EU.
Con riguardo al secondo profilo, quello della trasparenza, l’attenzione è rivolta alla valutazione degli effetti positivi e negativi delle operazioni ed il relativo bilanciamento utile all’adozione del provvedimento finale. La Commissione eserciterà i propri poteri qualora verifichi la sussistenza di una “distorsione sul mercato interno”, cioè quando la sovvenzione sia capace di migliorare la posizione competitiva dell’impresa in modo, potenzialmente o effettivamente, distorsivo della concorrenza. La proposta, quindi, conferisce all’autorità un’ampia discrezionalità nel valutare gli indicatori, come, per esempio, l’importo e la natura della sovvenzione o la situazione dell’azienda o dei mercati interessati. Riguardo gli effetti positivi dell’operazione, la proposta menziona solamente lo sviluppo dell’attività economica in cui opera l’impresa oggetto di verifica. Il Comitato consiglia, quindi, di specificare quali effetti positivi possono essere presi in considerazione e quando il bilanciamento sia giustificabile. A tal fine, il Comitato ricorda che la disciplina in materia di aiuti di stato intra-UE può fornire un’importante guida.
Il Comitato si preoccupa, infine, dell’ampiezza della definizione di sussidio e della soglia utile all’attivazione della procedura, fissata nella proposta a 5 milioni. Considerando che l’ampiezza della definizione di sussidio permette all’autorità europea di indagare con la necessaria flessibilità le situazioni più varie, il Comitato segnala l’opportunità di indicare quali indagini meritino priorità, magari attraverso la definizione di alcuni criteri-guida. Esso, inoltre, presenta rilievi anche in relazione alla soglia di esenzione considerata eccessivamente bassa. Il Comitato ne propone un aumento, anche se solamente in via generale, senza specificare il quantum appropriato.
L’innalzamento di tale soglia porterebbe beneficio sia alla Commissione europea, in quanto permetterebbe di indagare le distorsioni più importanti, sia agli investimenti nei confronti delle PMI. La combinazione di questi fattori, inoltre, potrebbe far gravare sulla Commissione europea una mole di lavoro tale da produrre rallentamenti nei procedimenti di verifica, con conseguenti ulteriori costi amministrativi per le imprese, e il rischio di contenziosi nelle operazioni contestate.
In conclusione, il Comitato offre alle istituzioni un contributo molto rilevante improntato a una migliore considerazione dei principi generali di semplificazione e trasparenza. Il parere, peraltro, tiene conto dell’esperienza maturata in materia di aiuti di Stato e sviluppa ulteriormente il principio di legalità inteso come prevedibilità dell’azione amministrativa. Infatti, chiarimenti riguardo il nuovo regime, soprattutto in rapporto con gli altri regimi di controllo esistenti, e la diminuzione degli oneri amministrativi sulle imprese sono considerate dal Comitato misure essenziali al fine di agevolare l’applicazione della nuova normativa.
2. L’instabilità degli effetti nell’aggiudicazione provvisoria. Quando l’amministrazione può fare un passo indietro senza conseguenze
A cura di Eugenio Parisi
La delibera 417 dell’ottobre 2021, vede l’Autorità Nazionale Anticorruzione pronunciarsi su una questione di precontenzioso ex articolo 211 del Codice degli appalti, per quanto riguarda l’istanza depositata dalla Società Suron Srl, vincitrice della gara d’appalto per la manutenzione degli immobili dell’Asp di Palermo, che in un momento successivo si era vista ritirare l’aggiudicazione provvisoria, a sua detta in maniera immotivata.
In questo caso la Società Suron Srl, impresa specializzata in lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria di beni immobili, era risultata la scelta migliore per gestire la manutenzione degli immobili dell’Azienda ospedaliere provinciale di Palermo, secondo il criterio di aggiudicazione del minor prezzo. A gara conclusa, la stazione appaltante decise di ritirare l’aggiudicazione provvisoria, sospendendo la prosecuzione della gara senza particolari formalità. Questo a causa dell’emersione di nuove esigenze rilevate a seguito del perdurare dell’emergenza Covid-19, ma anche per la presenza di un errore nella richiesta del valore dell’offerta. Nello specifico, in un primo momento era stato richiesto il valore economico invece del corretto valore di percentuale al ribasso da applicarsi ai contratti applicativi dell’accordo quadro.
Il ricorrente fa presente che la motivazione presentata dalla stazione appaltante risulta essere priva di presupposti giuridici. Infatti, a detta della Suron Srl, l’espressione del valore economico dell’offerta non impedisce la tutela di alcun interesse pubblico. Inoltre, la società sottolinea che trasformare il detto valore nella corrispondente percentuale di ribasso è estremamente facile essendo una mera operazione aritmetica.
Il Codice degli appalti stabilisce in primo luogo, all’articolo 32 comma 5, che la stazione appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione, seguendo la procedura prevista dall’articolo 33 comma 1 del medesimo Codice, ovvero attraverso l’approvazione dell’organo competente, individuato dall’ordinamento e nel rispetto dei termini, provvede all’aggiudicazione.
Su questo c’è poi da specificare che gli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge 241/90, anche nota come legge sul procedimento amministrativo, disciplinano la revoca del provvedimento di assegnazione.
La legge stabilisce che, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole possa essere revocato. La motivazione dell’atto deve seguire quanto previsto dall’ordinamento, cioè che vi siano dei sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ovvero in caso di modifica della situazione di fatto che, al momento dell’adozione del provvedimento, non potesse essere prevista. Inoltre, la revoca può sussistere anche quando vi sia una rivalutazione dell’interesse pubblico originario. Inoltre, ove la revoca provochi danno ai soggetti direttamente interessati, l’Amministrazione ha l’obbligo di provvedere all’indennizzo.
Perché la norma sopracitata abbia effettiva applicazione, vi deve però essere l’aggiudicazione definiva dell’appalto.
Il caso di specie, invece, risultava mancante il propedeutico passaggio dall’aggiudicazione provvisoria a quella definitiva, necessario all’effettiva chiusura della procedura di gara. Inoltre, come ribadito più volte, dalla giurisprudenza della V sezione del Consiglio di Stato, l’aggiudicazione provvisoria è una situazione connotata da un’alta instabilità.
La natura giuridica di atto provvisorio a effetti instabili, tipica dell’aggiudicazione provvisoria, esplica la non tutelabilità processuale dell’aggiudicazione stessa, proprio ai sensi degli articoli. 21-quinquies e 21-nonies della legge sul procedimento amministrativo. Inoltre, la mancata conferma dell’aggiudicazione non è qualificabile alla stregua di un esercizio del potere di autotutela, tale cioè da richiedere un raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario, dal momento che l’aggiudicazione provvisoria non è l’atto conclusivo del procedimento.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che in questa fase l’Amministrazione ha un ampio margine di manovra e può facilmente avvalersi del c.d. Ius poenitendi, cioè il diritto di cambiare opinione senza particolari formalità, potendo utilizzare nella motivazione formule generiche purché rientranti in una situazione di fatto ovvero nella sopravvenienza di interessi pubblici prima assenti. Quindi, la stazione appaltante sebbene possa muoversi con una certa fluidità deve rimanere in quel preciso margine stabilito dalla legge. Questo non può assolutamente avvenire nel caso di assegnazione definitiva, in cui diversamente la stazione appaltante ha l’obbligo di motivare in maniere precisa e convincente per quanto riguarda i contenuti e i nuovi interessi, comparati a quelli precedentemente rilevati.
Sulla base di tutte queste considerazioni, l’Autorità Nazionale Anticorruzione rigetta il ricorso della società Suron Srl, affermando che quanto operato dalla stazione appaltante sia conforme alla disciplina della revoca.
3. Stadio Tardini: un perfetto esempio di ricostruzione, che evidenzia benefici e criticita’ della legge sul project financing per impianti sportivi
A cura di Antonio Triglia
Tra i casi più recenti di ristrutturazione e costruzione di impianti sportivi dei club professionistici italiani grande rilievo ha assunto l’iniziativa del Parma Calcio. La società gialloblù ha presentato un progetto per la ricostruzione dello Stadio Ennio Tardini. L’iter procedimentale intrapreso ci permette non soltanto di cogliere “in concreto” la fisionomia di quella che viene definita “Legge sugli Stadi”, ma soprattutto le sue criticità. E ciò non soltanto per l’importanza dello Stadio, ma soprattutto perchè quell0 di Parma è anche un “esempio classico” di Stadio dedicato al calcio Professionistico, con caratteristiche simili a quelli che troviamo nella maggior parte dei Capoluoghi di Provincia italiani, e pertanto le problematiche relative al restyling di questo impianto a mezzo del’art. 1 comma 303 della L. 147 del 2013 sono quelle più comunemente riscontrate in moltissime Città Italiane: Il Tardini, come molti altri stadi italiani, è un impianto realizzato negli anni ‘20, di medie dimensioni, localizzatonelle vicinanze del centro storico della Città.
Il 21 maggio 2021 è stato presentato al comune, lo “studio di fattibilità” relativo al Nuovo Stadio Tardini a valere come proposta di “Progetto Preliminare” di ricostruzione dell’impianto, avviando così il procedimento, che coinvolge i soggetti ordinarimanente titolari delle competenze sul Progetto prima in sede di conferenza servizi preliminare e poi in Conferenza Servizi Decisoria.
Il Progetto, commissionato dal Parma Calcio allo studio di Architettura Zoppini, prevede la quasi totale ricostruzione dell’impianto e una riqualificazione dell’area circostante in capo al soggetto, che risulterà aggiudicatario a seguito della procedura a evidenza pubblica, la quale avrà a base di gara il Progetto stesso, una volta dichiarato di pubblico interesse, e otterrà per 90 anni la concessione del diritto di superficie e del diritto di gestione dell’impianto e delle strutture connesse.
La relazione illustrativa inserita nel suddetto studio di fattibilità evidenzia le ragioni alla base della scelta di uno strumento come il project financing a iniziativa privata previsto dalla c.d Legge sugli Stadi per il rinnovamento del principale Stadio di Parma: il Comune, oltre a seguire l’itinerario tracciato di recente dal legislatore, mediante il ricorso a questa forma di PPP ottiene l’enorme vantaggio di evitare un grande esborso necessario per il rinnovamento e i costanti costi dovuti alla manutenzione di uno stadio che ha circa 100 anni.
Un ulteriore vantaggio per l’amministrazione e per il private potrebbe essere quello consistente in una maggiore “efficienza procedurale”, dal momento che con un’unica procedura non solo si individua l’intervento da effettuarsi sulla struttura, ma si individua anche il partner gestionale dello stadio e dell’area su cui sorge.
Invece, abbstanza in controtendenza rispetto alle spinte degli operatori economici del settore edilizio e delle società sportive è la scelta di insistere proprio sullo Stadio Tardini come futuro impianto utilizzato della squadra gialloblù, piuttosto che individuare in una zona più periferica un sito adatto a farne sorgere uno nuovo.
La scelta è ovviamente in linea con l’art.1 co. 304 della L.147 del 2013, la quale stabilisce la priorità di interventi su impianti già esistenti, per evitare ulteriore consume di suolo Cittadino.
Tuttavia, come dimostrato dal originariamente dal caso San Siro e dal Caso Franchi, queste esigenze di rigenerazione urbana sembrano spesso in contrasto con le esigenze di massimizzare la redditività dello stadio da parte delle società sportive, le quali considerano solitamente eccessivamente dispendiosa la ristrutturazione e l’utilizzo di stadi progettati moltissimi anni fa, che non consentirebbero di generare le stesse entrate di uno stadio costruito ex novo.
In ogni caso la scelta di ristrutturare uno stadio ben integrato nel centro di Parma è dovuto probabilmente anche all’ assenza di gravosi vincoli di interesse culturale sul complesso architettonico. Almeno secondo lo studio della Società proponente, le uniche parti soggette a vincolo all’interno dell’area Stadio sono tre edifici di interesse storico- architettonico, posti all’entrata dello stadio e costituiti dai due edifici laterali e dall’entrata centrale dello Stadio, dove sorge l’Arco monumentale di ingresso, opera dell’architetto Leoni.
A rendere quello del Tardini un Perfetto esempio per rappresentare le criticità di una ristrutturazione di uno stadio dedicato al calcio di livello professionistico contribuisce anche la forte opposizione da parte di un’associazione cittadina. Il Comitato Tardini Sostenibile ha evidenziato come il Progetto non risolva il problema della vicinanza alla scuola Puccini, nonostante l’abbanodono dell’ipotesi dell’abbattimento, l’ingresso sud dello stadio sarebbe ricavato su parte dell’area cortilizia dell’istituto scolastico e ha recentemente presentato un esposto all’Anac, la quale ha richiesto di ottenere informazioni sul possesso da parte della società proponente dei requisiti previsti dall’art.183 comma 8 del D.lgs. 50 del 2016.
Nel mese di Ottobre si è comunque svolta la Conferenza dei servizi preliminare per l’analisi dello studio di fattibilità della ristrutturazione dello stadio Tardini, presentato lo scorso maggio dal club. L’esame ha fornito i pareri positivi dei partecipanti, Ausl, vigili del fuoco, Ireti, Tep, Arpae, Provincia, i vari settori del Comune interessati, Prefettura e questura, con una serie di prescrizioni.
Le prescrizioni più significative riguardano l’impatto acustico, sulla mobilità e sull’inquinamento dell’area a causa delll’aumento della circolazione dei veicoli nella stessa.
Inoltre di grande rilievo è una prescrizione del Comune, che evidenzia come “rispetto alla strumentazione normativa attualmente vigente, la proposta progettuale prevede, tra le funzioni da insediare, usi attualmente non ammessi”, per cui sarà eventualmente necessaria una variante agli strumenti urbanistici. Il che comporterà, grazie al d.l.50 del 2017, la possibilità di operare la modifica semplicemente approvando il verbale conclusivo della futura conferenza servizi decisoria, idoneo a costituire variante allo strumento urbanistico comunale, ma necessariamente comporterà un ulteriore intervento del Consiglio Comunale, che rischia di rallentare, se non addirittura, di arrestare il procedimento proprio alla fine.
Non meno importante è invece l’osservazione mossa dall’Ufficio dei Lavori pubblici del Comune, che ha espresso “perplessità sull’uso del rivestimento in acciaio corten della facciata”,che è stato considerato un punto centrale del Progetto architettonico, poichè dovrebbe ricordare, nell’idea degli architetti, gli edifici con mattonato a vista, tipici della architettura emiliana. Le perplessità sono dovute al costo elevato dello stesso, al rischio di un eventuale surriscaldamento e al il potenziale insediamento di volatili. E’ stato pertanto richiesto che le future fasi progettuali affrontino tali tematiche in modo da effettuare una valutazione costi-benefici sull’utilizzo di questo materiale.
Inoltre il progetto prevede la demolizione della porzione delle vecchie tribune rimasta al piano terra e poichè consiste in un abbattimento di una porzione di edificio realizzato oltre 70 anni fa, servirà comunque il parere della Soprintendenza.
Di recente la Giunta comunale ha approvato il verbale redatto dalla Conferenza dei servizi che si è espressa in modo favorevole con le suddette prescrizioni sul progetto del nuovo stadio.
Così tra qualche giorno dovrebbe tenersi l’adunanza consiliare, nel Corso della quale il Consiglio comunale dovrebbe approvare l’inserimento del progetto nel piano triennale delle opere pubbliche, ma il voto favorevole della maggioranza, vista anche la presenza di molti consiglieri portatori a vario titolo di istanze sfavorevoli alla ricostruzione del Tardini e delle numerose criticità emerse, non è assolutamente scontato.
Inoltre, poichè la costruzione del parcheggio interrato previsto dal Progetto, ricade, come rilevato dall’Ufficio Patrimonio in Conferenza Servizi, sull’area di piazza Risorgimento e, trattandosi di bene demaniale, per poterlo dare in concessione a uso autorimesse, dovrà essere preventivamente effettuata la procedura di sdemanializzazione tramite una ulteriore delibera del Consiglio comunale.
Alla luce di questi scenari, una prima riflessione può essere ispirata dalle critiche mosse dagli Uffici tecnici al corten, fondamentale per la costruzione della facciata, che rischiano di portare a uno stravolgimeto al Progetto inizialmente previsto e già presentato alla città. Per evitare conseguenze simili, sarebbe forse necesaria fin dall’inizio una interlocuzione preventiva tra Comune e Proponente, non solo di carattere generale, per individuare le esigenze dell’ente, ma che coinvolga gli Uffici tecnici anche in modo da ottenere preventivamente una serie di direttive sulle concrete modalità di realizzazione e sui costi massimi che l’area tecnica ritiene sia ragionevole sostenere per l’intervento, anche se effettuato dal privato, su un impianto sportivo di proprietà pubblica.
In questo contesto, tuttavia, occorre chiarire come l’assenza di queste interlocuzioni anche di carattere tecnico non sia responsabilità del Comune, ma è proprio la legge sugli Stadi a favorire l’iniziativa “creativa” da parte del proponente, in quanto essa ha preso spunto dall’istituto del project financing a inziativa privata, il quale prevede che il Progetto sia presentato direttamente dal privato all’Ente, che lo fa proprio, inserendolo successivamente nel Programma Triennale delle opera pubbliche. Tuttavia nella maggior parte dei casi è proprio il Comune il primo interessato alla realizzazione di interventi di ristrutturazione troppo costosi, ma che si rendono necessari su stadi molto vecchi e ancora in uso, traslandone il costo sui dei privati, che hanno come corrispettivo la prolungata gestione da parte degli stessi. Pertanto forse, dal punto di vista legislativo, sarebbe più proficuo disegnare anche un Project Financing a iniziativa pubblica, che goda degli stessi termini agevolati e poteri concessi dalla c.d. Legge sugli Stadi, viste le attuali esigenze dei Comuni e lo stato in cui versano I più grandi impianti sportivi Italiani. Inoltre la creazione di un project financing a iniziativa pubbblica ad hoc per gli impianti sportivi, prevedendo anticipatamente la votazione sull’inserimento del progetto nel programma Triennale delle opere pubbliche, avrebbe anche permesso di inseirire questo complicato passaggio a monte dell’iter previsto, evitando un successivo passaggio in Consiglio Comunale, il quale ha per natura maggiore instabilità politica e che ha spesso visto concretizzarsi il rischio di bloccare a valle l’intero procedimento, così inutilmente accelerato.
4. Rinviare sempre? Ampiezza e confini dell’obbligo di rinvio pregiudiziale nelle recenti ordinanze del Consiglio di Stato sui servizi telefonici
A cura di Francesca Saveria Pellegrino
L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni nell’ottobre 2016 decide di intervenire nel mercato della telefonia mobile e fissa a tutela degli utenti per assicurare loro la massima trasparenza nelle informazioni sui prezzi, essenziale per poter confrontare le diverse offerte. L’Autorità aveva riscontrato che le modalità per conoscere il proprio credito residuo erano esclusivamente online e che diverse compagnie avevano modificato la cadenza del rinnovo delle offerte, determinando il venir meno di un parametro temporale certo e consolidato, creando problemi in termini di trasparenza e comparabilità. Pertanto, tenuto conto dell’art.71 co 1 del “Codice delle comunicazioni elettroniche” ai sensi del quale “l’Autorità può precisare ulteriori prescrizioni in ordine alla forma in cui tali informazioni devono essere pubblicate” e dell’art.71 co 2 per cui “ove tali servizi non siano servibili sul mercato a titolo gratuito o ad un prezzo ragionevole, l’Autorità provvede affinché vengano resi disponibili…” l’Agcom indice una consultazione pubblica all’esito della quale modifica la sua delibera 252/16/CONS recante “Misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche dell’offerta dei servizi di comunicazione elettronica” con la delibera 121/17/CONS stabilendo puntualmente l’obbligo per le compagnie di rendere conoscibile il credito residuo gratuitamente o attraverso il sito web o l’app o attraverso numero telefonico o sms gratuito. E determinando che per la telefonia fissa la cadenza per il rinnovo è su base mensile o suoi multipli, mentre per la telefonia mobile non può essere inferiore a 4 settimane. Infine, che le compagnie di telefonia mobile che adottano un rinnovo non mensile informano prontamente l’utente con un SMS dell’avvenuto rinnovo. L’Agcom quindi ha assegnato agli operatori 90 giorni per adeguarsi alla delibera.
Le compagnie telefoniche Fastweb, WindTre, TIM e Vodafone impugnano suddetta delibera davanti al Tar del Lazio lamentandone l’illegittimità sotto più profili tra cui la mancanza di una norma nazionale o europea che attribuisse il potere all’Autorità di determinare la cadenza del rinnovo; la sproporzione delle misure adottate in quanto secondo le ricorrenti lo stesso risultato potrebbe ottenersi con misure meno invasive e la violazione del principio comunitario di non discriminazione operando la distinzione, a parer loro ingiustificata, tra telefonia mobile e fissa. Il Tar del Lazio rigetta il ricorso concludendo che il potere esercitato dall’Agcom trova fondamento nel d.lgs 295/2003 “Codice delle comunicazioni elettroniche e nelle leggi n.481 del 1995 e 249 del 1997, e non ravvisando profili di contrasto con la normativa comunitaria. Inoltre, per il Tar le misure appaiono proporzionate in quanto fissano semplicemente un limite minimo per le cadenze del rinnovo e l’obiettivo non potrebbe raggiungersi, come precedentemente ipotizzato, con il solo utilizzo di un motore di comparazione, infine la distinzione nel trattamento della telefonia mobile e fissa non integra una violazione del principio di non discriminazione essendo giustificata dalle differenze che caratterizzano i due ambiti.
Gli operatori propongono appello davanti al Consiglio di Stato avverso tale sentenza insistendo sulla mancanza di un simile potere di regolamentazione e sulla violazione dei principi di proporzionalità e non discriminazione. Secondo le ricorrenti, l’introduzione di vincoli non previsti dall’ordinamento comunitario in un settore liberalizzato determinerebbe anche una violazione del principio di concorrenza, infatti la disciplina unionale permetterebbe alle autorità nazionali solo di imporre obblighi informativi e non di regolare il contenuto o di operare eterointegrazioni del contratto. Il Consiglio di Stato, pur espressamente dimostrando di non dissentire dalle conclusioni del Tar, ha ritenuto di sollevare articolate questioni pregiudiziali innanzi la Corte di Giustizia trattandosi di materie in cui, anche se le misure di regolamentazione sono adottate da un’autorità nazionale in applicazione di disposizione interne, queste ultime sono comunque frutto di un recepimento del diritto europeo. In particolare il Consiglio di Stato ha sollevato questioni procedurali e di merito.
Ed infatti, nota il Consiglio di Stato, l’art. 267 TFUE obbliga i giudici nazionali di ultima istanza al rinvio pregiudiziale per garantire un’interpretazione uniforme del diritto unionale. Tale obbligo non sussiste qualora la questione non sia rilevante per la risoluzione della controversia o qualora “la corretta applicazione del diritto europeo possa imporsi con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”. Al Consiglio di Stato appare “arduo se non impossibile” escludere nel caso concreto ogni minimo dubbio circa l’interpretazione delle norme europee in questione e che i criteri per escludere l’obbligo di rinvio delineati dalla sentenza Cilfit costituiscano una probatio diabolica che spingerebbe i giudici nazionali a operare sempre il rinvio, anche qualora fossero certi dell’interpretazione, pur di evitare una eventuale sanzione allo Stato per inadempimento. A seguito di tali considerazioni il Consiglio di Stato chiede alla Corte di chiarire la portata dell’obbligo ex art.267TFUE e dell’espressione “il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri stati membri e alla stessa Corte di Giustizia”. Infatti, anche se il Consiglio di Stato, all’atto dell’ordinanza 5588/2020, non sembra nutrire dubbi in ordine all’interpretazione da dare alle disposizioni in questione, ritiene comunque necessario verificare preliminarmente se operi l’obbligo di rinvio. Se la Corte dovesse ritenere sussistente tale obbligo, allora il giudice solleva i seguenti quesiti di merito per l’interpretazione e la corretta applicazione di principi e disposizioni europei rilevanti nel caso di specie, in particolare le direttive 19,20,21,22 del 2002. Innanzitutto, chiede se il diritto europeo osti ad una normativa nazionale che attribuisca all’Autorità il potere di limitare la cadenza delle fatturazioni e di rinnovo delle offerte commerciali. Ad avviso del Consiglio di Stato, per la normativa italiana l’Agcom dovrebbe ritenersi titolare di tali poteri e tale norma sembrerebbe coerente con la disciplina unionale che nell’art.8 Dir.21/2002 sancisce che gli obblighi imposti devono essere proporzionati con gli obiettivi di tutela prefissati. Per quanto attiene al principio di proporzionalità che, come il Consiglio di Stato sottolinea, è un principio generale dell’ordinamento europeo, chiede se una sua corretta applicazione osti all’imposizione di tali obblighi e se questi possano considerarsi un eccessivo sacrificio per gli operatori. Per il giudice del rinvio anche in questo caso non ci sarebbe alcuna violazione in quanto le misure non sembrano eccedenti quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo, infatti gli operatori continuano ad essere liberi di stabilire il prezzo essendo regolata solo la modalità di rappresentazione del corrispettivo e comunque potendo variare, aumentandolo, il tempo delle cadenze di rinnovo.
L’ultimo quesito riguarda il principio di non discriminazione, anche questo fondante del diritto unionale, ma che qui, secondo il Consiglio di Stato, non sembrerebbe violato in quanto le due fattispecie di telefonia mobile e fissa non appaiono comparabili tra loro, essendo già diversificati per prassi commerciale e modalità di pagamento. Quindi, con questa ordinanza di rinvio pregiudiziale, il Consiglio di Stato sospende il procedimento in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia.
Nel frattempo, il 6 ottobre 2021, la Corte di Giustizia si pronuncia nella causa C-561/19 su un precedente rinvio pregiudiziale, sempre del Consiglio di Stato italiano, in ordine alla portata dell’obbligo di rinvio per i giudici nazionali di ultima istanza di cui all’art267TFUE e le sue eccezioni. In tale pronuncia, la Corte ha chiarito che l’obbligo sussiste a meno che la questione sia irrilevante per la risoluzione della controversia, la disposizione sia già stata oggetto di interpretazione da parte della Corte o si evinca da una giurisprudenza europea consolidata o infine, che la corretta interpretazione si imponga con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi. Inoltre, specifica la Corte, il giudice non è esonerato da tale obbligo per il solo motivo che ha già adito la Corte in via pregiudiziale nell’ambito del medesimo procedimento nazionale.
A seguito di tale decisione, la Cancelleria della Corte ha invitato il Consiglio di Stato a verificare la permanenza del rinvio pregiudiziale dell’ordinanza 5588/2020 avendo, nel primo quesito, sollevato questione analoga a questa appena risolta circa l’obbligo di cui all’art267TFUE.
L’Autorità nelle sue deduzioni, presentate dopo la suddetta richiesta, ha evidenziato come alla luce della sentenza del 6 ottobre 2021 e considerato il fatto che il Consiglio di Stato aveva escluso ragionevoli dubbi interpretativi, dovrebbe ritenersi non sussistente l’obbligo di rinvio pregiudiziale, essendo il suo intervento regolatorio compatibile con il diritto europeo. Dall’altra parte, secondo le ricorrenti, proprio in ragione di tale ultima pronuncia della Corte, sussisterebbe l’obbligo di rinvio in quanto la risoluzione delle questioni è rilevante per la risoluzione della controversia nazionale, le questioni non sono state esaminate in precedenti giurisprudenziali ed emergerebbe un ragionevole dubbio interpretativo. Sul versante procedimentale quindi le parti convengono che possa ritenersi superato il primo quesito in ordine a perimetro e limiti dell’obbligo di rinvio anche se con conseguenze di merito quanto agli ulteriori quesiti, come visto, diametralmente opposte.
Il Consiglio di Stato, dopo aver convenuto con le parti sull’avvenuto superamento del primo quesito, riconosce che, con la sentenza della CGUE, sono state precisate le condizioni per cui ai sensi dell’art.267TFUE il giudice nazionale di ultima istanza possa risolvere la controversia senza operare il rinvio pregiudiziale e ciò, come detto, avviene in tre casi: quando la questione non è rilevante per la risoluzione della controversia nazionale cioè quando non può influire in alcun modo sul suo esito, quando la questione sia già stata oggetto di interpretazione della Corte quindi la questione è identica ad una già sollevata in via pregiudiziale o la giurisprudenza sia univoca (è escluso l’obbligo, ma non preclusa la possibilità di rinvio) e infine quando l’interpretazione corretta si impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi per cui il giudice maturi il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe ai giudici degli altri stati membri o alla Corte, quest’ultima valutazione, precisa la Corte, va svolta in funzione delle caratteristiche del diritto dell’Unione, tenendo conto delle diverse lingue di redazione delle disposizioni e dell’autonomia della terminologia e delle nozioni del diritto europeo, oltre che collocando le disposizioni unionali nel loro contesto.
Pertanto, alla luce della pronuncia del 6 ottobre 2021 della CGUE, il Consiglio di Stato ritiene che questa abbia risolto in punto di diritto il primo quesito di rinvio pregiudiziale posto dalla ordinanza 5588/2020 e che quindi, tenuto anche conto del principio di economicità dei giudizi e dell’efficacia delle sentenze della Corte, non sarebbe più utile insistere sulla disamina di tale quesito che, anche se in altro giudizio, pone una questione materialmente identica. Con la sua pronuncia la Corte ha chiarito quali sono i criteri interpretativi da applicare per verificare se l’interpretazione corretta del diritto dell’unione si “imponga con tale evidenza da non lasciare adiro a ragionevoli dubbi”. Sono stati puntualmente delineati gli accertamenti che il giudice nazionale è chiamato a fare per vedere se sussista o meno l’obbligo di rinvio. Il Consiglio di Stato quindi riscontrando l’invito della Cancelleria della Corte ritira il primo quesito pregiudiziale ormai risolto da altra pronuncia. A questo punto, il Collegio ricorda come nella sua ordinanza avesse evidenziato che l’esame degli altri quesiti sarebbe stato necessario solo se per quel caso specifico si fosse ritenuto cogente l’obbligo di cui all’art. 267 TFUE. Tenuto conto dei chiarimenti fatti dalla Corte occorre, quindi, applicare i parametri indicati ai quesiti b, c, d in particolare verificarne la rilevanza, verificare se la questione sia già stata affrontata o se vi sia una tale evidenza dell’interpretazione corretta da non generare dubbi. Il Consiglio di Stato premette che tali quesiti interpretativi hanno ad oggetto disposizioni nazionali e unionali essenziali per la risoluzione della controversia al fine di valutare se il legislatore, legittimando il potere in capo all’Autorità di imporre tali misure di regolamentazione, abbia violato la normativa da recepire o i principi generali del diritto UE.
In secondo luogo, i quesiti posti non sembrano riguardare questioni materialmente identiche ad altre già decise dalla Corte o da una giurisprudenza consolidata.
Infine, i quesiti sembrano porre problemi interpretativi per i quali non c’è una interpretazione corretta che si imponga con tale evidenza cosi come definita dalla Corte nella sua ultima pronuncia. Infatti anche se la Corte ha precisato che il giudice nazionale non deve conoscere tutte le divergenze linguistiche, che non è sufficiente per vincolarlo la mera possibilità di letture diverse o la mera presenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, tuttavia ha comunque sottolineato l’esigenza di evitare divergenze giurisprudenziali e assicurare una applicazione uniforme del diritto europeo. Alla luce di ciò, al Consiglio di Stato sembra comunque rilevante analizzare le diverse prassi operative seguite dalle altre amministrazioni nazionali, considerando che diverse applicazioni dello stesso principio unionale possono inficiare la corretta applicazione e l’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione. Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, applicando tali parametri agli altri quesiti non sembra si possano escludere ragionevoli dubbi così come intesi dalla sentenza della Corte di Giustizia. Le appellanti hanno dimostrato che altre amministrazioni non hanno adottato misure analoghe e le indicazioni ERG non giustificano tali misure. Infine, l’importanza della pronuncia su tali quesiti discende anche dalle osservazioni formulate dalla Commissione Europea a seguito della prima ordinanza di rinvio pregiudiziale. Quest’ultima infatti ha sottolineato l’importanza di valutare attentamente l’eventuale eccessiva ampiezza di tali misure limitative e di approfondire le questioni su un criterio di differenziazione proporzionato e idoneo a giustificare la distinzione tra telefonia fissa e mobile. Anche se il Consiglio di Stato per il suo punto di vista sulle risposte da dare ai quesiti rimanda a quanto detto nell’ordinanza 5588/2020, comunque ritiene che, alla luce di quanto finora sottolineato, non sussistano i presupposti per ritirare i tre quesiti pregiudiziali, necessari per la risoluzione della controversia nazionale.
L’importanza di queste pronunce si evince dal ruolo centrale che ha nella risoluzione di una controversia l’obbligo per il giudice nazionale di ultima istanza di azionare lo strumento del rinvio pregiudiziale. Come più volte ribadito anche dalla giurisprudenza europea, questo strumento contribuisce in modo determinante ad assicurare, nelle materie disciplinate a livello comunitario, una uniforme interpretazione e applicazione delle disposizioni unionali. A seguito della decisione della Corte del 6 ottobre 2021, il Consiglio di Stato ha riconosciuto innanzitutto che era risolto, in linea di principio, il primo quesito procedurale e che nella specie ci fossero i presupposti per mantenere i quesiti di merito sollevati con l’ordinanza 5588/2020, soprattutto alla luce dei sopravvenuti chiarimenti in ordine ai parametri di valutazione da applicare enunciati dalla Corte e delle deduzioni fatte dalle parti. Pertanto, il Collegio ha ritirato il primo quesito e confermato i restanti tre, tuttavia non solo il giudice sembra confermare come detto i tre quesiti, ma sembra anche modificare soprattutto in ragione delle osservazioni della Commissione Europea le sue motivazioni. Infatti, se nella prima ordinanza non sembrava avere dubbi circa la compatibilità delle disposizioni nazionali con l’ordinamento europeo questa convinzione appare meno forte nell’ultima decisione che sembra in parte recepire le perplessità della Commissione. A ben vedere il Consiglio di Stato, proprio in ragione degli approfondimenti suggeriti nel merito dalle osservazioni della Commissione, ha potuto sciogliere ogni dubbio residuo sulla permanente necessità di investire dei quesiti formulati la Corte di Giustizia alla luce del perimetro del proprio obbligo di rinvio dalla stessa Corte definitivamente delineato con la sentenza di ottobre su cui la Cancelleria ha sollecitato l’approfondimento del giudice italiano.