ANGELICA PIZZINI
19 ottobre 2020
La Corea del sud presenta ad oggi un totale di 102 casi di contagi per Covid. La strada seguita per contrastare l’epidemia si è distinta per la sua efficienza e per l’assenza di misure di lockdown; per questi motivi l’esperienza sudcoreana viene considerata come un esempio da seguire e un modello da esportare.
Al contrario di altri paesi, la Corea del Sud ha potuto beneficiare di alcune esperienze passate al fine di perfezionare la sua risposta ad eventuali emergenze dettate dal diffondersi di malattie infettive.
Il riferimento è soprattutto all’esperienza MERS (sigla che sta per Middle East respiratory syndrome) un altro Cornavirus diffusosi a partire dal 2012 prevalentemente nel bacino del Medioriente che interessò anche la Corea del Sud facendone il paese più colpito al di fuori dell’area iniziale di diffusione del virus.
A seguito di queste esperienze il paese si è dotato di un sistema di risposta basato su organi amministrativi centrali e locali specializzati e con poteri molto ampi, (il Central Countermeasures Headquarters e i suoi corrispettivi locali e il Korea Centers for Disease Control and Prevention o KCDC) che sulla base delle rispettive competenze hanno iniziato fin da subito a predisporre massicce indagini epidemiologiche al fine di raccogliere dati per il contact tracing, vero fulcro attorno a cui ruota la strategia sudcoreana contro le malattie infettive e in particolare contro il Covid-19.
Accanto a questi organismi sono state fondamentali alcune norme di legislazione primaria che hanno fornito le basi legali per le misure adottate. In particolare: l’ Infectious Disease Control and Prevention Act (IDCPA)modificato a seguito della diffusione della MERS, il Quarantine Act, dedicato alla disciplina delle procedure di messa in quarantena di mezzi di trasporto, persone e merci che entrano ed escono dal territorio del paese e il Medical Service Act: tutti e tre questi atti sono stati emendati per far fronte alle specificità dell’epidemia COVID seguendo una fast-tracked procedure ele modifiche sono entrate in vigore a partire dal 4 Marzo 2020.
In particolare, le modifiche apportate all’IDCPA hanno visto un ampliamento dei poteri riconosciuti alle autorità locali e decentrate ossia sindaci e capi di contea o distretto, le cui prerogative sono state equiparate a quelle spettanti agli ai governi locali di alto livello (ad es. le province).
Le modifiche hanno avuto come effetto quello di consentire, non solo al ministro ma anche ai governatori provinciali, ai sindaci e capi di contea e di distretto di richiedere l’intervento della polizia per ottenere informazioni riguardanti la localizzazione dei contagiati o dei sospetti vettori.
L’articolo 76 del IDCPA riconosce il potere per il ministro della salute o il direttore del KCDC di richiedere alle amministrazioni centrali e locali, agli istituti medici, alle farmacie, ma anche alle società, alle organizzazioni e agli individui di fornire una serie di informazioni riguardanti le persone infette o probabilmente infette: tra queste informazioni vi possono essere indirizzi, numeri di telefono e di cellulare, prescrizioni e referti medici e altre che possono essere prescritte con decreto presidenziale.
Agli stessi scopi, il ministro può richiedere alla polizia nazionale o locale di fornire informazioni utili alla localizzazione degli infetti o probabili tali.
Proprio la raccolta di queste informazioni rappresenta il nodo centrale della strategia sudcoreana, che si basa sulla duplice modello “TRUST” (acronimo che sta per Transparency, Robust screening and quarantine, Unique but universally applicable testing, Strict control, and Treatment ) e delle “3 T” ovvero testing, tracing and treating.
La differenza fondamentale rispetto ad altri paesi risiede appunto nel massiccio impiego di appdi tracciabilità e nell’obbligo imposto agli stranieri in entrata di inserire all’interno di queste app dati personali relativi allo stato di salute e ai propri spostamenti.
Grazie alla raccolta di questi dati il governo sudcoreano è stato in grado di tracciare pressoché perfettamente gli spostamenti dei soggetti infetti e di individuare luogo e data del contagio, avvisando, sempre tramite telefono (con un meccanismo denominato Cellular Broadcasting System o CBS) eventuali soggetti che fossero entrati in contatto con la persona infetta e avendo quindi sempre sotto controllo la diffusione del virus.
Queste misure si basano quindi sulla disclosure information garantita nell’ordinamento sudcoreano dall’articolo 34 dell’IDCPA il quale richiede al ministro della salute di rivelare prontamente informazioni al pubblico sui percorsi, mezzi di trasporto e contatti dei pazienti infetti.
Una risposta quindi che si è distinta sia per la sua rapidità (già da gennaio il livello di allerta del paese era stato innalzato) ma soprattutto per aver saputo affrontare efficacemente alcune sfide a livello amministrativo che ancora oggi affliggono altri stati.
Fin dall’inizio dell’emergenza è stato chiarito quali fossero gli organi e i soggetti deputati a contrastare l’epidemia e si è proceduto ad una ripartizione delle competenze che non creasse sovrapposizioni.
Senza dover far ricorso a speciali framework emergenziali (che pure la costituzione, all’articolo 76, riconosce in capo al presidente) è stato possibile basare le misure di prevenzione e contenimento sulla base della legislazione primaria preesistente, modificata per meglio calarsi sulla situazione attuale.
Infine, tramite l’uso della tecnologia è stato possibile limitare i casi di contagi senza far ricorso a misure eccessivamente compromettenti della libertà personale.