di Adriano Zammar
25/09/16
Il processo di modernizzazione e di riduzione della spesa pubblica in Francia passa anche attraverso la riforma della struttura territoriale del Paese. Al motto di “riformare i territori per riformare la Francia”, è stato avviato a partire dal 2014 un ambizioso progetto di riorganizzazione del territorio e di revisione delle funzioni e delle competenze delle collettività locali.
Il progetto ha, tuttavia, suscitato reazioni e opposizioni che hanno impedito al Primo Ministro di ottenerne l’approvazione entro il 2014, come sperato. Perciò, esso andrà in scena in tre atti.
La prima parte è rappresentata dalla Loi de modernisation de l’action publique territoriale et d’affirmation des métropoles (detta Loi Mapam o Maptam) del 27 gennaio 2014, volta a definire le competenze delle diverse collettività territoriali, nonché ad istituire le città metropolitane (métropoles) e a dotarle di ampi poteri.
La seconda parte della riforma è costituita dalla Loi relative à la délimitation des régions del 16 gennaio 2015, diretta a ridisegnare la carta delle regioni (carte régionale), riducendo il numero e incrementando i poteri delle stesse. Essa, inoltre, provvede a riformare la disciplina delle elezioni regionali e a modificare il calendario elettorale.
L’atto finale del programma del Governo è la Loi portant nouvelle organisation territoriale de la République (Loi NOTRe) del 7 agosto 2015, la quale sopprime la clausola generale di competenza, limitando di fatto le competenze esercitabili dagli enti locali a quelle espressamente attribuite dalla legge, e prosegue il cammino verso la razionalizzazione delle collettività territoriali e il potenziamento dei fenomeni riconducibili alla intercomunalità o intermunicipalità, riservando le competenze economiche alle regioni e restringendo il campo delle competenze dipartimentali alla solidarietà sociale e territoriale.
La riforma si è resa necessaria alla luce di quel vento di semplificazione che soffia da tempo tra le istituzioni francesi e che ha portato alla luce le problematiche di una struttura territoriale complessa e stratificata, resa ancor più inefficiente dalla sovrapposizione di competenze e dalla duplicazione di spese e procedure. In una simile confusione, l’occasione della modernizzazione è apparsa quanto mai appropriata per riportare ordine in quello che veniva ormai definito un “millefeuille territorial” (centouno dipartimenti, trentaseimilasettecentottantatre comuni e ventisette regioni amministrative), consentendo di semplificare i rapporti tra le collettività territoriali e tra esse e lo Stato e di definire chiaramente, una volta per tutte, le competenze spettanti ai diversi livelli di governo.
La semplificazione mira a garantire la riduzione degli sprechi e un incremento di efficienza. Il Governo ha garantito, infatti, che la riforma ha l’obiettivo di tagliare le spese, incrementare la qualità del servizio e rilanciare la crescita economica, sia a livello nazionale che locale, riducendo anche l’imposizione fiscale.
Secondo le stime, dalla riduzione dei finanziamenti destinati agli enti locali dovrebbe derivare un risparmio di undici miliardi di euro nel primo triennio, a cui si aggiunge un risparmio di due miliardi per la sola riduzione del numero delle regioni. Così, il Governo prevede una riduzione di venticinque miliardi di euro come probabile risultato dell’intera operazione. D’altronde non è una novità che le collettività territoriali figurino tra le principali responsabili dell’incremento incontrollato della spesa pubblica francese.
Con tale riforma, il Primo Ministro punta ad una ristrutturazione territoriale attraverso il ricorso ad esperienze federative più aperte ad una gestione innovativa e sostenibile dei territori. L’obiettivo finale è certamente l’eliminazione dei dipartimenti (riconducibili alle province italiane) come collettività territoriali e il potenziamento del fenomeno dell’intermunicipalità, cioè la facoltà per i comuni di ricorrere a forme di cooperazione per l’esercizio di competenze comuni, attraverso istituti di natura associativa o federativa.
Ma la strada non appare in discesa e, ad un’attenta analisi, i diversi “atti” della modernizzazione territoriale non sembrano essere del tutto coerenti tra loro.
La legge sulla modernizzazione dell’azione pubblica territoriale mira, innanzitutto, a delineare in modo chiaro e preciso le funzioni dei singoli livelli di governo, incoraggiandone il coordinamento e la cooperazione. Essa prevede, infatti, l’introduzione di un principio di libero coordinamento degli interventi delle collettività territoriali e istituisce un’apposita Conferenza territoriale dell’azione pubblica (Ctap) per la promozione della cooperazione e la stipula di “Accordi di governo del territorio”.
La legge reintroduce, inoltre, la clausola generale di competenza, la quale attribuisce alle collettività territoriali il potere di intervenire sulla totalità delle materie concernenti il proprio territorio, a prescindere da un’espressa attribuzione di competenza da parte della legge. Tale clausola è stata, tuttavia, eliminata nuovamente dalla Loi NOTRe nel 2015.
Al fine di definirne le competenze, poi, la legge individua specifiche materie sulle quali le singole collettività territoriali svolgono un ruolo guida (chefs de filat). La collettività a cui viene attribuito il ruolo di “chefs de file” è responsabile della determinazione delle priorità nel campo delle competenze a lei demandate e della definizione delle modalità di esercizio delle stesse.
Un simile ruolo guida spetta principalmente alle regioni, le quali sono incaricate di definire le modalità di esercizio delle competenze in materia di pianificazione, sviluppo economico, aiuti alle imprese, trasporti, innovazione e sviluppo energetico sostenibile, tutela della biodiversità, sostegno all’istruzione superiore e alla ricerca, salvaguardia dell’identità e protezione delle tradizioni della regione, sviluppo sostenibile del territorio, clima, qualità dell’aria.
Ai dipartimenti sono attribuite prevalentemente funzioni inerenti la politica sociale, come la contribuzione alla riduzione della precarietà energetica, la solidarietà e la coesione territoriale, nonché la tutela dell’autonomia privata.
Infine, ai comuni sono riservate le competenze in materia di mobilità sostenibile e di pianificazione urbanistica.
Il turismo, al contrario di quanto previsto nel progetto originario, rimane attribuito alla competenza concorrente di comuni, dipartimenti e regioni.
In un’ottica di promozione della cooperazione, come detto, la legge istituisce, a livello regionale, la Conferenza territoriale dell’azione pubblica (Ctap), per consentire la discussione delle modalità di azione comune delle collettività territoriali e dei loro agglomerati. Tale istituzione è presieduta dal Presidente del Consiglio regionale e riunisce i rappresentanti degli esecutivi locali a tutti i livelli (regioni, dipartimenti, metropoli e agglomerati), i delegati dei sindaci e delle comunità di comuni, nonché un rappresentante dello Stato (il Prefetto). La sua funzione è quella di promuovere la conclusione di Accordi di governo del territorio e di consentire la predisposizione di Convenzioni territoriali d’esercizio concertato delle competenze (Ctec).
Al fine di ridurre il numero dei dipartimenti e di accrescere il ruolo degli agglomerati urbani, vengono istituite le metropoli: enti pubblici di cooperazione intercomunale (Epci) destinati a raggruppare diversi comuni contigui, allo scopo di mettere in comune i mezzi disponibili e realizzare un’azione comune in materia di pianificazione, sviluppo economico, sviluppo sociale e culturale del territorio, accrescimento di competitività e innovazione energetica. Inoltre, la legge prevede che dipartimenti e regioni potranno trasferire alle metropoli l’esercizio di altre competenze tra quelle di loro pertinenza.
Nello specifico, la legge istituisce tre grandi metropoli a statuto speciale ed altre nove metropoli di diritto comune. Tra quelle a statuto speciale:
- la métropole du Grand Paris è istituita con lo scopo di incorporare, a partire dal 1 gennaio 2016, Parigi e i dipartimenti della petite couronne (Hauts-de-Seine, Seine-Saint-Denis, Val-de-Marne), nonché i comuni dell’Île-de-France già appartenenti ad un Epci. La métropole du Grand Paris sostituisce, così, ben centosessantanove intercomunalità esistenti nella petite couronne e viene investita delle funzioni di pianificazione urbanistica e di tutela e valorizzazione del territorio.
- La métropole du Lyon assorbe, a partire dal 1 gennaio 2015, le competenze del dipartimento del Rodano e degli altri dipartimenti esistenti nel suo perimetro ed ha piena competenza in materia di pianificazione urbanistica, gestione dei rifiuti, igiene, servizi idrici e gestione degli ambienti acquatici, riduzione dell’inquinamento atmosferico ed acustico, realizzazione di infrastrutture per la carica di veicoli elettrici e ibridi. Il Consiglio costituzionale, su ricorso di più di sessanta deputati, nel dichiarare la conformità della legge alla Costituzione, ha tuttavia formulato una riserva per quanto riguarda il cumulo delle cariche di Sindaco e di Presidente della metropoli di Lione. La Corte ha infatti affermato che tale cumulo non sarà più consentito a partire dal prossimo rinnovo generale dei Consigli comunali, a partire dal 2020.
- Anche la métropole d’Aix-Marseille-Provence è divenuta operativa solo a partire dal 1 gennaio 2016, a causa delle reticenze locali che non ne hanno permesso l’immediata operatività, ed ha assorbito le sei intercomunalità presenti sul territorio, di cui almeno uno dei comuni apparteneva all’unità urbana di Marsiglia. Lo scopo principale è quello di garantire una maggiore solidarietà territoriale ed una redistribuzione di ricchezza.
Per quanto riguarda le metropoli di diritto comune, queste sono il risultato dalla trasformazione, per decreto, degli enti pubblici di cooperazione intercomunale dotati di un autonomo regime fiscale, con più di quattrocentomila abitanti, situati in un’area urbana con più di seicentocinquantamila abitanti, in un nuovo e più ampio ente locale. Sono pienamente operative dal 1 gennaio 2015, le metropoli di Bordeaux, Grenoble, Lille, Nantes, Nizza, Rennes, Rouen, Strasburgo e Tolosa.
La legge prevede, poi, che nelle aree urbane con più di quattrocentomila abitanti, i comuni interessati, sulla base di un accordo raggiunto a maggioranza qualificata, possano dare vita a nuove metropoli su base volontaria. È quanto avvenuto nelle aree circostanti i territori di Brest e Montpellier.
Infine, è disposta la creazione di Poli di equilibrio territoriale e rurale (Pôles d’équilibre territoriaux et ruraux, Petr): sindacati misti, raggruppanti Epci dotati di un autonomo regime fiscale, destinati a sostituire i paesi creati dalla Loi Pasqua (Loi d’orientation pour l’aménagement et le développement du territoire, Loadt). La creazione di tali poli viene disposta con decreto, sulla base di apposite delibere adottate dagli Epci presenti sul territorio interessato. La gestione degli stessi, invece, viene attribuita ad una Conferenza composta dai sindaci dei comuni situati nel perimetro del territorio su cui sorge il Polo, i quali possono farsi sostituire da consiglieri municipali delegati.
In un’ottica di lento e progressivo svuotamento delle competenze dei dipartimenti, inoltre, la legge amplia le funzioni di comuni e intermunicipalità. Si prevede infatti che i comuni sono responsabili per la gestione degli ambienti acquatici e per la prevenzione delle inondazioni, con la possibilità di trasferire tali competenze alle intermunicipalità di cui fanno parte. Inoltre la legge prevede che i comuni possano istituire una tassa (per la gestione degli ambienti acquatici e la prevenzione delle inondazioni, appunto), per il finanziamento di “lavori di qualsiasi natura che consentano di ridurre i rischi di inondazioni e di danni causati a beni e persone”. Inoltre, la legge attribuisce ai comuni piena competenza in materia di parcheggi a pagamento e relative sanzioni, a partire dal 1 gennaio 2016. Contestualmente, è prevista la depenalizzazione della sanzione pecuniaria inflitta in caso di mancato pagamento dei parcheggi pubblici, con attribuzione ai comuni della competenza di stabilire l’importo della sanzione stessa, la quale ha ora carattere amministrativo, e contro la quale sarà possibile esperire ricorso preliminare direttamente dinanzi alla collettività territoriale cui appartiene l’agente che ha provveduto a rilevare l’infrazione, prima di adire il tribunale amministrativo specializzato: la Commissione per i contenziosi relativi ai parcheggi a pagamento (Commission du contentieux du stationnement payant).
I parcheggi a pagamento vengono quindi considerati come fonte di un canone per l’occupazione di una strada pubblica, una sorta di pigione, il cui ammontare è determinato dai comuni o dagli Epci competenti, conformemente al piano per la mobilità urbana, se esistente. Inoltre, si prevede che il controllo sui parcheggi a pagamento possa essere delegato ad agenti giurati di imprese private.
Da un altro lato, sono le intercomunalità ad essere destinatarie di un ampliamento di poteri e competenze. La legge prosegue, infatti, la politica di trasferimento delle competenze del Sindaco ai Presidenti delle intercomunalità: in particolare, la gestione dei rifiuti, l’igiene, la sicurezza durante gli eventi culturali e sportivi, la regolamentazione della circolazione e del traffico, nonché, come detto, la possibilità di delegare la competenza in materia di parcheggi a pagamento.
Infine, le regioni vengono investite, per il periodo 2014-2020, della competenza in materia di gestione dei fondi europei, prima spettante allo Stato.
Ed è proprio alle regioni che è dedicata gran parte del secondo atto della riforma: la legge relativa alla delimitazione delle regioni, appunto. Essa costituisce il cuore della riforma ed esprime tutte le aspettative e i propositi del Presidente Hollande. L’intento è quello di modificare il ruolo dei dipartimenti, corrispondenti alle nostre province, svuotandoli progressivamente di competenza e funzionalità, fino alla loro completa soppressione. I dipartimenti, d’altronde, sono previsti dalla Costituzione e la loro eliminazione richiederebbe una maggioranza di fatto irraggiungibile, dati i numerosi interessi esistenti dietro la permanenza in vita di tali enti. Così, la legge, per aggirare l’ostacolo, ha rimandato l’obiettivo al 2020, avviando nel frattempo un processo diretto allo svuotamento delle funzioni dei dipartimenti, a cui si affianca un potenziamento delle regioni e un intensificazione del ricorso al fenomeno dell’intermunicipalità, con un assorbimento lento e inesorabile del ruolo e dei poteri dei dipartimenti.
Il Presidente Hollande, tuttavia, ha assicurato che i dipartimenti verranno solo formalmente eliminati, poiché continueranno a svolgere un ruolo fondamentale e saranno un punto di riferimento irrinunciabile come “cornice amministrativa dell’azione pubblica”, continuando a svolgere attività essenziali in materia di solidarietà e coesione territoriale, nonché di erogazione di servizi ai cittadini più vulnerabili. Di fatto, però, la loro eliminazione come collettività territoriali appare ormai inevitabile, dato che lo stesso Presidente ha dichiarato l’obiettivo della soppressione dei Consigli generali (cioè i consigli provinciali) entro il 2020. Tali Consigli sono stati rinnovati nel mese di marzo 2015, per cui la situazione attuale rimane congelata per cinque anni, ma solo per le numerose opposizioni e per le difficoltà di ricollocazione del personale impiegato presso i dipartimenti. Infatti, sarebbero oltre duecentomila i dipendenti dei dipartimenti che dovrebbero essere trasferiti alle regioni, ai comuni e alle intercomunalità, e il Primo Ministro Manuel Valls ha affermato che una tale operazione richiede almeno tre anni. Insomma, l’obiettivo sembra quello di rimandare la manovra per preparare gradualmente la Francia a dire addio alle sue province.
Come precedentemente accennato, la legge attua una vera e propria riforma delle regioni, partendo dalla considerazione che esse sono le reali protagoniste del processo di decentramento e dello sviluppo territoriale. Un punto di riferimento essenziale per la gestione del territorio e la fornitura dei servizi ai cittadini. Tali premesse aprono la strada alla valorizzazione e al potenziamento di tali enti, i quali vengono proiettati in una dimensione europea (non è un caso che la gestione dei fondi sia stata attribuita a questi enti) e ai quali vengono attribuiti più ampi poteri e nuove responsabilità. La legge ne ridisegna i confini, riducendone il numero da ventidue a tredici e creando una sorta di “super-regioni”, dotate di risorse finanziarie adeguate e guidate da assemblee più competenti e meno numerose. A queste nuove regioni viene attribuita piena competenza in materia di aiuti alle imprese, istruzione e formazione, impiego, trasporti e grandi infrastrutture.
La Loi relative à la délimitation des régions, infine, prevede modifiche alla disciplina delle elezioni regionali e al calendario elettorale.
Terzo e ultimo atto della riforma territoriale voluta dal Presidente Hollande è la c.d. Loi NOTRe, volta a completare la “ristrutturazione” del territorio della Repubblica, attraverso il consolidamento del ruolo delle regioni e il potenziamento delle intermunicipalità, proseguendo il cammino verso lo svuotamento dei dipartimenti.
Soppressa la clausola generale di competenza, precedentemente reintrodotta dalla Loi MAPTAM, la Loi NOTRe si preoccupa di definire in modo chiaro le competenze attribuite alle diverse collettività territoriali.
Per quanto riguarda le regioni, viene potenziato il loro ruolo in materia di sviluppo economico, attribuendo loro l’incarico di elaborare, a partire dal 1 gennaio 2016, uno “schema regionale per lo sviluppo economico, l’innovazione e l’internazionalizzazione”, volto a definire il regime degli aiuti alle imprese e al quale viene attribuito valore prescrittivo. Si prevede che anche gli altri livelli di governo possano intervenire in tale materia, ma solo nei casi espressamente previsti dalla legge o, in mancanza, previo consenso della regione. Anche in materia di pianificazione e sviluppo sostenibile le regioni sono incaricate di predisporre uno schema regionale, il c.d. Sraddt (Schéma régional d’aménagement et de développement durable du territoire), anch’esso dotato di valore prescrittivo nei confronti dei documenti di pianificazione, quali lo schema di coerenza territoriale e il piano urbanistico locale. Inoltre, alle regioni viene attribuito un ruolo guida (chefs de filat) anche in materia di turismo, in quanto anche in tale ambito sono incaricate di predisporre uno schema regionale, questa volta privo di valore prescrittivo, nonostante la competenza in materia resti, almeno formalmente, concorrente.
Il potenziamento del ruolo delle regioni consente il trasferimento ad esse di competenze prima attribuite ai dipartimenti, i quali divengono istituzioni deputate a svolgere compiti di solidarietà sociale e territoriale e null’altro. Difatti, alle regioni vengono trasferiti anche i poteri relativi ai trasporti interurbani e scolastici (ad eccezione del trasporto di utenti disabili) e alla gestione dei porti dipartimentali. Nel contempo, la legge prevede il trasferimento alle metropoli di numerose competenze in materia di aiuti sociali e turismo, prima spettanti ai dipartimenti. Non mancano, infine, disposizioni per il trasferimento alle regioni e allo Stato del personale impiegato nei dipartimenti.
La legge contiene, inoltre, alcune modifiche alla legge Maptam per quanto riguarda le metropoli di Grand Paris e Aix-Marseille-Provence.
Al fine di promuovere il fenomeno dell’intermunicipalità e consentire, così, un incremento del numero di fusioni dei comuni e una considerevole riduzione della spesa pubblica, la legge dispone anche una modifica sostanziale alla composizione di tali collettività, stabilendo che dal 1 gennaio 2017 ogni intermunicipalità debba raggruppare almeno quindicimila abitanti, e non più solo cinquemila. Tuttavia, disposizioni speciali vengono inserite tenendo conto delle peculiarità di alcune zone, come quelle di montagna o quelle a bassa densità abitativa. In questo modo, si intende promuovere lo sviluppo delle intermunicipalità come istituzioni più vicine ai cittadini, così da incrementare l’efficienza dei servizio reso e garantirne la corrispondenza alle aspettative degli utenti.
Infine, merita di essere citata la modifica introdotta dalla suddetta legge al “diritto di opzione”, cioè la facoltà prevista nel Codice generale delle collettività territoriali al fine di consentire ai dipartimenti di indire un referendum locale per mutare la regione di appartenenza. La legge prevede ora che tale diritto possa essere esercitato entro il 2019, e solo con il consenso dei due consigli regionali coinvolti, supportato dal voto favorevole del Consiglio generale, espresso con maggioranza qualificata dei tre quinti dei votanti. Lo spostamento, infine, deve essere sancito con decreto del Consiglio di Stato.