Di Alessia Romeo
22/11/15
Gli strumenti di tutela che un partecipante a una gara pubblica può esperire una volta che questa si è conclusa sono diversi e graduali anche in termini di soddisfazione per chi li utilizza. In primo luogo il meccanismo cautelare di matrice comunitaria noto come stand still di cui all’art. 11, comma 10 e 10-ter del Codice dei contratti pubblici prevede un termine dilatorio tra l’aggiudicazione e il momento della stipula del contratto per consentire ai concorrenti pretermessi di valutare l’opportunità di rivolgersi al g.a. per far valere eventuali violazioni delle norme sulla procedura di evidenza pubblica prima che l’appalto venga concluso e, nel caso sia stato proposto un ricorso, prevede un periodo di sospensione obbligatoria prima di procedere alla stipula.
Qualora invece la stipula ci sia stata, l’operatore economico che abbia interesse al subentro nel contratto, tendenzialmente perché risultato secondo nella gara di appalto, potrà ricorrere al g.a. affinché annulli l’aggiudicazione illegittima e disponga il suo subentro. Soprattutto nei casi di violazioni gravi, quali un’aggiudicazione avvenuta senza previa pubblicazione del bando o un contratto stipulato senza rispettare lo stand still period, la soluzione più idonea per ripristinare il libero gioco della concorrenza violata dovrebbe essere sempre la privazione di effetti del contratto.
In verità, per quanto anche la direttiva ricorsi 2007/66/CE affermi che in questi casi “la privazione di effetti è il modo più sicuro per ripristinare la concorrenza”, non possiamo ignorare che se il legislatore comunitario ha previsto efficaci strumenti di tutela per il ricorrente prima della stipulazione del contratto, quale lo stand still period, la sua intenzione era piuttosto quella di tutelare la p.a. e il contraente privato qualora la stipulazione si fosse realizzata anche alla luce dei pregiudizi economici che la caducazione del contratto comporta.
A livello nazionale, infatti, il g.a., sia in presenza di violazioni gravi che meno gravi delle regole pubblicistiche di gara, è sempre chiamato a una ponderazioni di interessi complessa che non necessariamente lo porta a incidere sul contratto in corso di esecuzione. Egli dovrà tenere conto dello stato di avanzamento dell’esecuzione del contratto soprattutto valutando se la durata residua sia più o meno la metà di quella prevista in sede di gara; dei costi che la sostituzione dell’appaltatore può causare alla p.a. e di conseguenza alla collettività sia in termini economici (considerando i reali tempi del contenzioso, è verosimile anche che il prezzo pattuito in sede di gara non sia più remunerativo al momento del subentro effettivo ed è presumibile che il nuovo appaltatore ottenga un adeguamento del prezzo ex art. 133 del Codice dei contratti pubblici) che in termini di tempo (basti pensare all’importanza di garantire un servizio pubblico senza interruzioni); del pregiudizio economico per l’appaltatore e della sua buona fede; delle difficoltà anche tecniche del subentro oltre che dell’idoneità del ricorrente ad adempiere correttamente le prestazioni contrattuali.
Si comprende come la decisione del g.a. di dichiarare inefficace il contratto sia solo un’eventualità ed è per questo che l’art. 124 del Codice del processo amministrativo prevede che qualora il g.a. abbia annullato l’aggiudicazione definitiva perché illegittima ma non abbia dichiarato inefficace il contratto, dovrà disporre il risarcimento del danno subito e provato dal ricorrente.
In questo senso può parlarsi di residualità della tutela risarcitoria oltre al fatto che tendenzialmente le imprese danneggiate ricorrono alla giustizia amministrativa perché aspirano all’aggiudicazione del contratto più che a ottenere il mero ristoro del mancato affidamento.
Nell’ottica di sussidiarietà del risarcimento per equivalente rispetto al subentro, va riscontrato che il sistema risarcitorio si è arricchito di una serie di “fattori di abbattimento” pensati per limitare il ristoro del ricorrente dal momento che il pagamento del risarcimento, per quanto “residuale”, è un’eventualità piuttosto comune e rappresenta un reale aggravio di spesa per la p.a. È per questo che le voci del danno risarcibile sono circoscritte al c.d. “aggio” e al c.d. “danno curriculare”. Complessivamente si tratta del lucro cessante, cioè della perdita di opportunità di ottenere l’aggiudicazione.
Il “danno curriculare” consiste nella mancata chance di maturare l’esperienza che sarebbe sicuramente derivata dall’esecuzione dell’appalto. Grazie all’aggiudicazione del contratto l’impresa ricorrente avrebbe potuto arricchire il proprio curriculum, aumentare le proprie qualità imprenditoriali e questo avrebbe accresciuto la sua capacità di competere sul mercato degli appalti per future partecipazioni a gare analoghe. In effetti l’interesse alla vittoria di un appalto va oltre l’interesse dell’esecuzione dell’opera in sé o del ricavo diretto ma riguarda anche l’immagine e il prestigio professionale che quella vittoria comporta.
Un primo orientamento arrivava a calcolarlo tra l’un percento e il cinque percento del valore dell’offerta economica formulata dal ricorrente in sede di gara. Per quanto il nocumento all’immagine possa essere rilevante, il calcolo che ne veniva era troppo consistente rispetto al quantum del danno per il mancato guadagno.
Attualmente, invece, viene quantificato in via equitativa tenendo conto del livello di qualificazione che l’impresa già possiede in modo tale che nei casi di indiscusso prestigio del ricorrente, come un’impresa leader a livello mondiale nel settore dell’appalto controverso, il danno curriculare non verrà considerato affatto oppure verrà calcolato in termini inferiori rispetto a normali casi di imprese non particolarmente qualificate.
Per mancato guadagno, invece, si intende l’utile che il ricorrente non ha potuto conseguire a causa dell’aggiudicazione del contratto a un altro concorrente sul presupposto che sussista la concreta possibilità che l’interessato avrebbe ottenuto l’aggiudicazione in suo favore se la p.a. avesse agito in modo legittimo.
Il ricorrente, per provare la percentuale di utile che effettivamente avrebbe ottenuto se fosse risultato vincitore della gara di appalto, richiamerà semplicemente l’offerta economica che ha presentato in sede di gara.
In questo modo la giurisprudenza maggioritaria ha superato l’utilizzo del criterio precedente di liquidazione forfettaria basato sulla formula del dieci percento del valore dell’appalto che finiva per condurre al risultato che il risarcimento sarebbe stato all’imprenditore persino più vantaggioso dell’impiego di capitale necessario per eseguire l’appalto.
Di fatto però il ricorrente percepirà al massimo la metà del risarcimento del danno provato.
In primo luogo perché il g.a. tiene in considerazione l’aliunde perceptum e cioè l’utile che l’impresa ricorrente abbia nel frattempo conseguito da altre attività imprenditoriale analoghe a quella della fattispecie controversa. Normalmente questo utile viene valutato in una misura pari a metà di quello che avrebbe conseguito se avesse vinto l’appalto ma l’aspetto critico sta nella consuetudine di presumere che nel corso del giudizio il ricorrente si sia attivato per aggiudicarsi altri appalti simili.
Qualora il ricorrente dimostri oggettivamente di non aver ottenuto né eseguito alcun appalto verrà comunque sanzionato per l’inerzia sostanziale e cioè per non essersi attivato per percepire altrove l’utile che avrebbe potuto o dovuto percepire. Il criterio del c.d. aliunde percipiendum porta a una riduzione del danno risarcibile pari alla metà perché il g.a. valuta l’inerzia ingiustificata del ricorrente come una violazione del dovere di diligenza presumendo che abbia concorso all’aggravamento de danno ex art. 1227 c.c. Si presume cioè che l’impresa avrebbe potuto ragionevolmente utilizzare i propri mezzi e la propria manodopera in altre attività.
Per quanto possano essere legittime le ragioni economiche di un tale abbattimento del valore del danno risarcibile, è difficile presumere che nel corso del giudizio volto proprio a recuperare l’appalto “perso” l’impresa abbia realmente l’opportunità di aggiudicarsi e di eseguire un appalto analogo ottenendo un utile pari alla metà di quello conteso tale da giustificare la riduzione del risarcimento dei danni fino alla metà.
La logica di questa soluzione è quella di circoscrivere un danno erariale alla p.a. con effetti negativi sul sistema economico generale e va anche riconosciuto che se fosse diversamente da così il risarcimento per equivalente potrebbe consentire all’operatore economico non aggiudicatario di conseguire gli stessi benefici che avrebbe ottenuto se avesse adempiuto le prestazioni contrattuali semplicemente ricorrendo al g.a. ma senza aver svolto effettivamente alcuna attività utile né per la p.a. né per la collettività.