di Federica Politi
19/10/15
Il termine “coesione territoriale” viene introdotto per la prima volta nel “Trattato di Lisbona” del 2007, ma la consapevolezza dell’esistenza dei divari tra le regioni di quella che, oggi, è l’Unione europea (UE), ha origini risalenti.
Già nel “preambolo” al “Trattato di Roma” del 1957, infatti, si rinviene la volontà degli Stati fondatori della Comunità economica europea di “rafforzare l’unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso, riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite”. Inoltre, anche l’articolo due ribadisce che “la Comunità ha il compito di promuovere uno sviluppo armonioso delle attività economiche”.
Un anno più tardi viene creato un primo fondo, il Fondo sociale europeo (FSE), diretto ad incentivare l’occupazione.
Tuttavia, nonostante queste previsioni, non esisteva ancora un vera e propria base normativa, né tantomeno uno strumento finanziario di coesione economica diretto. E così la Banca Europea per gli Investimenti, con i suoi prestiti a basso interesse, risultava essere l’unico strumento in grado di apportare qualche beneficio. Ma questo non era sufficiente.
Successivamente prendono vita numerose attività della Commissione e degli Stati membri quali conferenze, creazione di gruppi di esperti e pubblicazioni di orientamenti guida delle politiche di livello statale e comunitario, che portano ad una riflessione unitaria sull’argomento.
Il tema dello sviluppo regionale comincia così lentamente ad acquisire importanza nella scala delle priorità della Comunità, come testimoniano d’altronde le parole del Presidente della Commissione Jean Rey del 1968, il quale definisce “la politica regionale nella Comunità come il cuore per il corpo umano”.
Di fatto, era un momento della vicenda storica in cui la questione dei divari territoriali prendeva un nuovo slancio, a causa di una concorrenza internazionale sempre più agguerrita, dell’ingresso imminente di Gran Bretagna e Irlanda nell’UE, nonché della concezione della politica di coesione come mezzo strumentale necessario alla creazione di una “Unione economica e monetaria”.
Nel 1968 la Commissione europea crea una nuova Direzione generale (DG XVI) alla quale vengono affidate competenze specifiche sul tema, e viene istituito un “Comitato di politica regionale”. Definito, inoltre, il potere di adottare pareri e raccomandazioni, la Commissione rafforza le prerogative in materia di sviluppo regionale e la capacità di influenzare le scelte di livello nazionale.
Il culmine di questo processo di rafforzamento avviene con il “Vertice di Parigi” del 1972, durante il quale si decide formalmente di attribuire la “massima priorità alla correzione degli squilibri strutturali e regionali della Comunità”.
Gli Stati membri, in quell’occasione, mostrano il loro impegno per “coordinare le loro politiche regionali” ed invitano le istituzioni comunitarie a creare un “Fondo europeo di sviluppo regionale” (FERS) entro il 31 Dicembre 1973.
Nonostante l’impegno formale vi era, d’altra parte, la resistenza delle amministrazioni nazionali a cedere parte dei poteri in materia alla Commissione.
La disciplina relativa al FERS, che andava ad affiancare quella del Fondo sociale europeo (FSE), viene adottata infatti solo nel Marzo successivo, con il regolamento 725 del 18 marzo 1975. Secondo il regolamento, i fondi dovevano essere distribuiti sulla base di “quote nazionali”, e il ruolo principale doveva essere attribuito a livello nazionale. Erano assenti, in questo schema, gli spazi di strumenti necessari all’affermarsi di una vera e propria strategia comunitaria in materia.
Elementi di qualche interesse si possono rinvenire nelle due successive riforme minori, quella del 1979 e quella del 1984, per i contributi forniti ad un primo progresso verso una politica regionale effettivamente comunitaria.
Queste apportano un incremento delle risorse destinate al FERS, ampliano le finalità dell’intervento regionale, ed eliminano il sistema della “quota nazionale”.
Tuttavia, tra il 1981 e il 1985, si registra un forte aumento della disoccupazione e delle condizioni di povertà e l’ingresso nella Comunità di Spagna e Portogallo, avvenuto nel 1986, contribuisce senz’altro ad un nuovo aumento dei divari territoriali. Si rendeva necessaria un’azione più decisiva.
Nonostante le ultime riforme, infatti, la politica di coesione continuava a dimostrarsi frammentaria, formata da tanti piccoli interventi anziché da una effettiva natura strategica capace di contrastare i forti divari territoriali.
Così, l’ “Atto Unico europeo” del 1985 (entrato in vigore due anni più tardi), inserisce nel Trattato il titolo V, dedicato interamente alla “Coesione economica e sociale”; finalmente si forniva copertura costituzionale all’intervento. Ciononostante, l’Atto Unico non conteneva nessuna previsione riguardo agli strumenti finanziari da utilizzare nel concreto.
La Commissione allora presenta al Consiglio e al Parlamento un insieme di proposte per riformare il sistema finanziario comunitario: il “Pacchetto Delors I”.
Questo, approvato in via definitiva dal Consiglio europeo nel Marzo 1988, apre le porte ad un ambizioso programma che ridefinisce gli obiettivi prioritari della politica.
Il pacchetto rafforza l’azione comunitaria negli ambiti di intervento a favore di ambiente, scienze, tecnologie e trasporti. La riforma porta ad un cospicuo aumento delle risorse, pari al doppio di quelle fino a quel momento utilizzate e, sul piano più strettamente organizzativo, alla creazione di una nuova Direzione generale, la XXII, competente per la gestione dei programmi e per la preparazione della disciplina di riforma.
Il contesto di riferimento era dunque profondamente mutato: oltre alla definizione di una base costituzionale, vede la luce un quadro finanziario stabile e articolato su base pluriennale, il rafforzamento amministrativo e la presenza di indicazioni strategiche.
Vengono stabiliti quattro principi cardine, che continueranno ad essere fondamentali in tale politica: la “concentrazione”, la “programmazione pluriennale”, l’ “addizionalità” ed il “partenariato”.
Dal 1988, per la prima volta, la Commissione, da semplice “budget transfer”, acquisisce un ruolo più appropriato, come vero e proprio strumento per la riduzione dei divari regionali.
Un’altra riforma è quella del “Trattato di Maastricht” del 1993, la stessa che ha portato la “Comunità europea” a diventare oggi “Unione Europea”.
Il Trattato, che marca una nuova era, riafferma l’importanza della politica di coesione economica e sociale e ne fa la principale priorità dell’UE introducendo importanti cambiamenti istituzionali e politici.
La Commissione propone infatti il “Pacchetto Delors II” per la programmazione del periodo 1994-1999, che delinea i termini finanziari per condurre le attività stabilite a Maastricht.
Tra i vari cambiamenti, la possibilità da parte degli Stati membri di determinare i cosiddetti “criteri di eligibilità” delle regioni beneficiarie dei fondi, la diluzione del “principio di addizionalità” e l’istituzione di un Fondo di coesione che non operava secondo le normali regole dei fondi strutturali.
La riforma del ‘93 apporta comunque solo modesti mutamenti e condusse al ripristino del controllo nazionale di alcune aree tematiche che erano state perdute con la precedente riforma del 1988.
La successiva riforma interviene nel 1999 e copre il periodo di programmazione 2000-2006.
In virtù del nuovo allargamento ai Paesi dell’Est nel Maggio 2004 (Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia) e nel Gennaio 2007 (Bulgaria e Romania), si verifica un ulteriore grande incremento delle diversità economiche all’interno dell’Unione. Come si evince dal “Terzo rapporto sulla coesione economica e sociale”, ciò imponeva una sfida ancora più seria per l’UE.
La Commissione rivela i suoi piani per la riforma della politica di coesione nel Luglio del 1997 con il rapporto “Agenda 2000”, una dettagliata strategia di medio termine diretta a rafforzare l’UE e definire le prospettive finanziarie per il periodo 2000-2006.
Raggiunto un accordo nel Consiglio di Berlino del 1999, il pacchetto “Agenda 2000” pone al centro delle necessità la semplificazione della struttura normativa e la decentralizzazione, allo scopo di porre rimedio alle esigenze di efficacia, trasparenza e rigore.
Viene prevista una ripartizione netta dei compiti e delle responsabilità istituzionali: a livello comunitario dovevano essere stabiliti gli obiettivi strategici, gli assi prioritari e la relativa dotazione, mentre la programmazione dettagliata doveva essere di esclusiva competenza degli Stati membri, invitati a designare a tal fine le proprie “Autorità di gestione”.
Tra le altre novità, viene stabilita la durata settennale dei programmi e ridotto il numero degli obiettivi.
La riforma del 1999 marca la fine della seconda era della politica di coesione.
Importante è ricordare la sessione straordinaria del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2000 a Lisbona. Viene infatti concordato un nuovo obiettivo strategico per l’UE al fine di sostenere l’occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale nel contesto di un’economia basata sulla conoscenza: la cosiddetta “strategia Lisbona 2000.”
Tuttavia, come si evince dal rapporto della Commissione “Kok” del 2004, questa risultava troppo ampia e confusa, con la sua agenda piena di impegni, il poco coordinamento e le priorità contrastanti.
Così la Commissione propone un nuovo pacchetto regolamentare, approvato nel Luglio 2006. Nella nuova “architettura”, vi era l’inserimento di strumenti di pianificazione quali “orientamenti strategici comunitari”, “quadri strategici nazionali”(QSN) e “programmi operativi”(PO). Erano previsti investimenti concentrati su un numero di priorità limitato e su tre nuovi obiettivi: “Convergenza”, “Competitività” e “Cooperazione”.
Infine, viene introdotta la pratica dell’ “earmarking”, attraverso la quale gli Stati membri avrebbero dovuto allocare una certa percentuale delle risorse a determinati obiettivi relativi alla strategia “Lisbona 2000”.
Quella del 2006 rappresenta la seconda riforma più radicale dopo quella dell’88.
L’ultima riforma è quella del “Trattato di Lisbona” del 2007, che introduce il concetto di “coesione territoriale” e lo colloca come il fondamentale obiettivo dell’UE insieme a quello del rafforzamento della “coesione economica e sociale”.
Il Trattato di Lisbona ridisegna la politica della coesione economica sociale e territoriale come un comune spazio condiviso tra Unione e Stati membri, ed ha anche il merito di introdurre una vera procedura legislativa ordinaria con significativi poteri decisori del Parlamento Europeo.
La crisi globale iniziata nel 2008, ha portato poi, due anni più tardi, all’approvazione da parte del Consiglio della “Strategia Europa 2020” , sulla scia delle idee presentate dalla Commissione nel suo “Quinto rapporto sulla coesione economica, sociale e territoriale”.
Lo scopo è un effettivo rilancio del mercato interno per una crescita “intelligente”, “sostenibile” ed “inclusiva”. Questo attraverso una maggiore concentrazione su alcuni obiettivi tematici ed in particolare “innovazione”, “occupazione” ed “inclusione sociale”, nonché “ambiente” e “cambiamenti climatici”.
La successiva riforma del 2013 relativa al periodo di programmazione 2014-2020, risulta così strumentale all’attuazione dei nuovi obiettivi Europa 2020.
Con la riforma viene stabilito un nuovo “Quadro strategico comune”, e i tre obiettivi della programmazione precedente sono sostituiti dai nuovi due di “investimento per la crescita e l’occupazione” e di “cooperazione territoriale Europea”.
Tra le novità, emergono gli “accordi di partenariato” tra Commissione e Stati membri, una nuova classificazione delle regioni europee beneficiarie dei fondi, e le cosiddette “condizionalità ex ante”.
Con le sue due nuove missioni, la politica di coesione rimane la seconda più consistente area di spesa dell’UE, dopo la Politica Agricola Comune, e continua a rappresentare circa un terzo della spesa totale delle politiche dell’UE.
Bibliografia:
Trattato di Roma , Trattato CEE 1975
Manzella, Gian Paolo. Una politica influente: vicende, dinamiche e prospettive dell’intervento regionale europeo. Il mulino, 2011.
Mendez, Mr Carlos, Ms Fiona Wishlade, and John Bachtler. EU Cohesion Policy and European integration: the dynamics of EU budget and regional policy reform. Ashgate Publishing, Ltd., 2014.
Baun Michael and Dan Marek. Cohesion policy in the European Union. Macmillan education, 2014.