di Elenasofia Liberatori
06/12/16
L’istituto della partecipazione amministrativa permette al privato di essere coinvolto nei processi decisionali della pubblica amministrazione. Si garantisce, in tal modo, un effettivo inserimento dell’interessato nel procedimento amministrativo che lo riguarda, nel rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità, previsti in Costituzione, all’articolo 97. La partecipazione amministrativa, inoltre, tutela un’azione dell’Ente, improntata e attenta alle osservazioni e agli interessi del cittadino, in modo da evitare scelte arbitrarie della pubblica amministrazione e garantendo massima trasparenza nell’agere stesso. Nell’ordinamento italiano, l’istituto viene disciplinato, in via generale, dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ma vi sono numerose normative di settore.
Quando le decisioni della pubblica amministrazione riguardano l’ ambito della tutela ambientale, le garanzie alla base dell’istituto della partecipazione del privato dovrebbero essere più incisive. La sicurezza ambientale, l’ecosistema e la salute in generale sono, infatti, aspetti che riguardano direttamente i cittadini. Una decisione in materia può essere legittima, solo se consente al privato di essere attore del procedimento alla base della scelta finale. Ci sono state, tuttavia, diverse opinioni in relazione a tale profilo: spesso infatti, è stato rilevato come la partecipazione dei privati nei procedimenti ambientali potrebbe rallentare il processo decisionale, comportando lungaggini e ritardi nell’azione amministrativa. Sembra opportuno, però, aderire ad un diverso orientamento, per cui non bisogna focalizzare l’attenzione solo sulla «rapidità» dell’azione amministrativa, ma è necessario valutare anche altri aspetti, in particolare il dialogo tra la p.a. e i privati, al fine di legittimare le decisioni amministrative. In tal senso, è necessario che gli Enti e i cittadini cooperino e collaborino attraverso lo scambio di informazioni e che ai privati venga concesso di partecipare attivamente ai procedimenti amministrativi, cosicché si effettuino scelte ponderate e venga garantita democraticità nell’azione amministrativa.
Le esigenze di tutela partecipativa del privato in materia vengono già espresse in ambito internazionale, con la Dichiarazione di Rio del 1992, la quale afferma che far partecipare i cittadini al procedimento è «il modo migliore di trattare le questioni ambientali» (Principio Dieci). La Dichiarazione sottolinea, dunque, l’importanza dell’accesso ai documenti e della partecipazione di tutti gli individui e impone agli Stati di assicurare e garantire il coinvolgimento e l’informazione. Successivamente, nel 1998, è stata emanata la Convenzione di Aarhus, che, da un lato, attribuisce ad ogni cittadino il diritto di vivere in un ambiente salubre, e, dall’altro, impone agli individui il dovere di prendersi cura dell’ambiente. A tal fine, i cittadini devono essere messi in grado di avere un’adeguata informazione e devono poter prendere parte ai processi decisionali amministrativi, per garantire il miglioramento e la salvaguardia dell’ecosistema.
Le differenze rispetto alle previsioni generali della l. 241/90 sono rilevanti e si giustificano per le peculiarità del diritto ambientale. L’ art. 4 della Convenzione, innanzitutto, estende la possibilità di accedere ai documenti a chiunque, senza che vi sia, cioè, la necessità che colui, il quale pone richiesta di prendere visione degli atti, abbia un interesse specifico e rilevante, come prescritto, invece, dall’art. 22 della legge del Novanta. Tale previsione acquista maggior significato alla luce del fatto che l’interesse ambientale è rivolto a «soggetti indeterminati» (cfr. G. Rossi, Diritto dell’ambiente, Giappichelli-Torino, Terza Edizione, p.90), nel senso che è l’umanità intera a dover essere coinvolta e consapevole delle condizioni ambientali. Altra significativa distinzione si rinviene negli articoli 7 e 8 della Convenzione di Aarhus, che prevedono l’applicabilità dell’istituto della partecipazione, anche in riferimento a «piani, programmi e politiche in materia ambientale» e nell’emanazione di «regolamenti di attuazione e strumenti normativi giuridicamente vincolanti di applicazione generale», in maniera esattamente opposta a quanto previsto nell’art.13 della l. 241/90. La Convenzione, infine, dispone che la partecipazione sia assicurata sin dalla fase preliminare del procedimento, in modo da valutare previamente gli interessi coinvolti e agire nel totale rispetto dell’ambiente. Tale previsione è stata ribadita anche dalla Direttiva 2003/35 CE.
A livello europeo, la materia è stata regolata, per alcuni aspetti, dalle direttive 90/313 CEE e 2003/4 CE; nel febbraio del 2005, è infine intervenuta la decisione del Consiglio europeo,n. 370, che ha ratificato la Convenzione di Aarhus. L’ Unione europea ha stabilito non solo un diritto di accesso ai documenti amministrativi da parte del pubblico, ma anche che l’esercizio del diritto avvenga in maniera semplice e attraverso strumenti elettronici adeguati. Si ha, così, un vero e proprio coinvolgimento del cittadino nelle tematiche ambientali e si instaura un continuo dialogo tra amministrazioni procedenti e privati. In quest’ottica, è stato promosso, dal 2004, il Progetto Partecipando, all’interno del Programma europeo Urbact, per garantire la partecipazione dei cittadini nei piani di rielaborazione urbanistica, attraverso la comparazione tra le città europee.
Nell’ordinamento italiano, l’istituto della partecipazione in materia ambientale viene disciplinato dal decreto legislativo 9 agosto 2005, n. 195, che ha dato attuazione alla direttiva 2003/4 CE. I profili partecipativi vengono sottolineati attraverso due previsioni: da un lato, si impone alla p.a. di garantire un elevato livello informativo al pubblico, diffondendo dati relativi alla situazione ambientale; dall’altro, si tutela un ampio diritto di accesso ai documenti (Cfr. G. Rossi, Diritto dell’ambiente, cit.).
L’ amministrazione deve divulgare le informazioni e deve rendere noto ai cittadini in che modo la propria attività possa avere un impatto sull’ambiente. Si parla di un «ruolo di informazione attivo» della p.a., che non si limita a promuovere la partecipazione, ma la rende effettiva, attraverso la diffusione di notizie relative ai procedimenti amministrativi in corso. Questo aspetto viene delineato anche nelle discipline di settore, che impongono agli Enti di mettere a disposizione le varie informazioni, a prescindere da una previa richiesta di accesso ai documenti formulata dai privati. Un esempio significativo è fornito dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ( definito anche «Codice dell’ambiente»), nella parte relativa alle valutazioni di impatto ambientale. In particolare, l’articolo 6 del citato decreto introduce la cd. valutazione ambientale strategica (VAS), un innovativo strumento di formazione dei piani e programmi con effetti sull’ambiente. L’amministrazione, infatti, è tenuta a considerare, già in una fase iniziale, l’impatto ambientale, garantendo il rispetto dei principi internazionali ed europei in materia. Dal punto di vista strettamente partecipativo, inoltre, all’inizio del procedimento, l’Ente promuove una consultazione sui piani e i programmi proposti e sul «rapporto ambientale», per integrarne il contenuto, garantendo ai privati la possibilità di esprimere un proprio parere a riguardo. In tal modo, si ritiene che la collaborazione tra p.a. e privati assicuri il rispetto degli interessi coinvolti nel procedimento e tuteli l’ambiente in tutti i suoi aspetti.
In riferimento al diritto di accesso ai documenti in materia ambientale, invece, il d.lgs. 195/2005 stabilisce, innanzitutto, una nozione molto ampia di «informazione», considerando non solo dati in forma scritta o elettronica, ma anche elementi visivi o uditivi; include notizie relative ad attività, atti, norme e leggi riguardanti l’ambiente o anche solo dati inerenti l’aspetto paesaggistico (art.2,co.1, lett.a)). La disciplina, inoltre, presenta aspetti differenziali rispetto alle previsioni sull’accesso documentale, contenute nella legge 241/90. La normativa di settore, infatti, prevede che «ogni persona fisica o giuridica che svolga funzioni pubbliche connesse alle tematiche ambientali o eserciti responsabilità amministrative sotto il controllo di un organismo pubblico» (art. 2, co. 1, lett. b), d.lgs. 195/2005) sia tenuta ad onerare gli obblighi informativi e, dunque, sia considerata soggetto passivo dell’accesso. L’ articolo 23 della l.241/90 stabilisce, invece, che il diritto sia esercitabile solo «nei confronti delle amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi». L’ innovazione più significativa, tuttavia, riguarda la cd. legittimazione attiva: il d.lgs. del 2005, infatti, prevede che possano accedere ai documenti amministrativi tutti coloro che ne facciano richiesta, nel rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione di Aarhus del 1998. Non si pretende, dunque, che il soggetto richiedente sia portatore di un interesse «per la tutela di situazioni giuridiche rilevanti», come invece impone il già citato art. 22 della legge 241/90. Il decreto precisa, inoltre, che il soggetto, che agisca al fine di accedere alle informazioni, non debba «dichiarare il proprio interesse», evidenziando maggiormente il modo diverso di disciplinare la materia. La ratio della previsione si spiega con la considerazione che l’ambiente, pur essendo un bene giuridico riconosciuto a chiunque, non appartiene ad alcuno. Di conseguenza, richiedere a colui che agisce la dimostrazione di un interesse specifico e rilevante, al fine di visionare gli atti, significherebbe escludere tutti dal diritto di accesso ai documenti amministrativi in materia ambientale. Come ha specificatamente chiarito di recente il Consiglio di Stato, d’altra parte, l’interessato non può agire formulando una richiesta di accesso in termini troppo «generici»; infatti, «l’istanza di accesso, pur se astrattamente riguardante un’informazione ambientale, non esime il richiedente dal dimostrare che l’interesse che intende far valere è un interesse ambientale, come qualificato dal cit. d.lg. n. 195 del 2005, ed è volto quindi alla tutela dell’integrità della matrice ambientale, non potendo l’ordinamento ammettere che di un diritto nato con specifiche determinate finalità si faccia uso per scopi diversi di tipo economico patrimoniale» ( Cons. St., sez. III, 5 ottobre 2015, n. 4636).
La partecipazione al procedimento amministrativo in esame presenta aspetti considerati rilevanti non solo dal punto di vista internazionale ed europeo, ma anche da parte della disciplina nazionale. La tutela dell’ambiente rappresenta un dovere per ogni cittadino e, dunque, comporta un impegno da parte degli ordinamenti statali, al fine di garantirla e di promuoverla in ogni aspetto della vita sociale. Le amministrazioni si inseriscono in questo quadro, con l’obbligo di collaborare con il pubblico e di rendere noti informazioni e dati relativi ai procedimenti in corso. Si giunge, in tal modo, alla formazione di atti amministrativi che considerano i vari interessi in gioco, che creano un impatto ambientale il meno grave possibile e che rispettano l’ecosistema in tutte le sue forme.