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La parità delle armi nei procedimenti sanzionatori della Sec: “tutto il mondo è paese”?

La questione dei procedimenti sanzionatori delle autorità di vigilanza finanziaria continua ad essere al centro di un dibattito che va al di là della comunità ristretta dei giuristi. Lo conferma l’articolo di Peter J. Henning, professore presso la Wayne State University Law School, pubblicato sul New York Times il 20 luglio 2015, che si occupa delle misure afflittive irrogate da parte della Security Exchange Commission-SEC, l’autorità statunitense di vigilanza sui mercati finanziari.
Recentemente è stata fortemente criticata la tendenza dell’agenzia ad utilizzare lo strumento del procedimento amministrativo, condotto da giudici interni, per accertare e punire illeciti (in casi quali l’insider trading o la frode verso gli investitori), in quanto costituirebbe un mezzo privo di tutte quelle garanzie di difesa che il giudizio di fronte ad un organo giurisdizionale, invece, mette a disposizione.
La possibilità di reprimere condotte illecite tramite i propri giudici interni era stata attribuita alla SEC dal Dodd-Frank Act, una complessa riforma di Wall Street voluta dall’Amministrazione Obama nel 2010.
La critica più recente, come riporta l’articolo del Professor Henning, è stata mossa dalla United States Chamber of Commerce, che ha auspicato un ampliamento dei “discovery rights” in capo ai soggetti sottoposti al procedimento, in modo da estendere le possibilità di difesa di fronte alla stessa SEC, avvicinandole il più possibile a quelle assicurate in un procedimento giurisdizionale. Allo stesso tempo, secondo la Camera di Commercio americana, sarebbe necessario consentire ai soggetti “imputati” di ottenere il “passaggio” dalla sede amministrativa a quella giurisdizionale vera e propria, con giudice e giuria totalmente terzi rispetto alle parti in causa.
Uno dei problemi principali che viene messo in luce consiste nella circostanza che in questo tipo di giudizio la decisione, a cui si arriva in genere in breve tempo, si basa in gran parte sulle informazioni raccolte dalla stessa SEC, che funge al contempo da organo inquirente e decidente, con evidente sacrificio dell’effettiva difesa del soggetto imputato per imparzialità dell’organo chiamato ad esprimersi.
Problematiche simili, come noto, si sono presentate nel nostro ordinamento in riferimento alla CONSOB, in merito alla quale si è espressa la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Questa, con la sentenza 4.3.2014, Grande Stevens e altri c. Italia, pronunciandosi in tema di sanzioni, anche non pecuniarie, irrogate dalla CONSOB nella fattispecie d’illecito di manipolazione del mercato (artt. 187 ter ss. del d.lgs. 24.2.1998, n. 58), ha, innanzitutto, dato rilievo ad una nozione sostanziale di “sanzione penale” nell’ordinamento convenzionale, facendone derivare la possibile configurabilità della violazione del ne bis in idem in caso di duplicazione dei procedimenti (amministrativo e giurisdizionale); la Corte ha, inoltre, sostenuto che la CONSOB non soddisfi il criterio di imparzialità oggettiva, in quanto l’ufficio che compie l’attività istruttoria, l’ufficio che propone le sanzioni e la commissione che le decide sono suddivisioni dello stesso organo amministrativo ed agiscono sotto l’autorità dello stesso presidente (similmente a quanto accade negli USA con la SEC). Un tale assetto, secondo i giudici di Strasburgo, integrerebbe una violazione del diritto all’equo processo sancito dall’art. 6 della CEDU. Dalla decisione della Corte europea si è poi sviluppato un significativo contenzioso davanti al giudice amministrativo italiano, mentre il legislatore e la Consob ancora non hanno deciso se introdurre modifiche alla disciplina vigente.
Il dibattito apertosi negli Stati Uniti conferma la rilevanza della questione e la sua diffusione ormai globale, anche in quadro giuridico diverso, non condizionato dall’esistenza della Cedu. Resta da vedere se, e come, l’autorità americana deciderà di modificare il procedimento amministrativo e di concedere maggiori spazi a quello giurisdizionale o se sarà necessario l’intervento del Congresso per riequilibrare le posizioni degli attori coinvolti.

Leggi l’articolo completo sul New York Times qui.
Leggi la sentenza CEDU Grande Stevens ed altri c. Italia qui.

Lucia Aniballi

 

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