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LA P.A. CHE NON HA PARTECIPATO ALLA CONFERENZA DI SERVIZI NON PUÒ IMPUGNARE LA DETERMINAZIONE FINALE

29/04/2024

A cura di Giulia Moscaroli

Con la sentenza dell’11 aprile 2024, n. 2407 la Sezione I del TAR Campania-Napoli si è pronunciata sul ricorso proposto dal Comune di Arzano per l’annullamento della nota del Commissario Straordinario avente ad oggetto l’autorizzazione unica per la realizzazione di un insediamento produttivo a favore di una società.

Il provvedimento impugnato è stato emesso all’esito di una conferenza di servizi decisoria in forma semplificata e in modalità asincrona, ai sensi dell’art. 14-bis della legge n. 241 del 1990, ed è stato oggetto di impugnazione da parte del Comune, con autonomo gravame. La società controinteressata, al contrario, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, perché ritenuto al di fuori del parametro legislativo dettato dalla legge n. 241/1990.

Al fine di valutare l’eccezione di inammissibilità, il Giudice adito, preliminarmente, offre una ricostruzione della ratio dell’istituto della conferenza di servizi e del relativo quadro normativo. Come noto, la conferenza di servizi è un modulo organizzativo funzionale alla semplificazione dell’azione amministrativa e allo snellimento della stessa. È, in particolare, il luogo istituzionale per il coordinamento degli interessi pubblici, che dà attuazione al principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. La conferenza di servizi garantisce, infatti, la partecipazione delle diverse amministrazioni interessate nel caso di procedimenti c.d. pluristrutturati, nei quali l’autorità procedente deve necessariamente acquisire il parere di altre amministrazioni. L’istituto in esame si inserisce nel quadro normativo come strumento di semplificazione, di integrazione degli interessi e di negoziazione, secondo una logica di collaborazione tra amministrazioni pubbliche.

Per quanto concerne le modalità, l’art. 14-bis della legge n. 241/1990 stabilisce, quale forma ordinaria, la conferenza asincrona e semplificata, che ammette il ricorso a modalità telematiche ed elimina la necessità di incontri contestuali tra le amministrazioni partecipanti. Al contrario, l’autorità procedente ricorre alla conferenza sincrona e simultanea ove la determinazione da assumere sia più complessa e richieda un esame contestuale degli interessi coinvolti, come avviene nel caso vengano in rilievo i c.d. interessi sensibili (tra i quali l’ambiente, la salute, la tutela del paesaggio).

L’attività svolta dalle amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi sfocia in una determinazione conclusiva, la quale viene adottata sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti. Secondo l’opinione condivisa dalla giurisprudenza maggioritaria, la determinazione motivata di cui all’art. 14-quater della legge n. 241/1990 ha la natura giuridica di atto contestuale e plurimo. Si tratta, quindi, di un atto oggettivamente e soggettivamente complesso, scindibile in diverse determinazioni esoprocedimentali, autonome seppure convergenti, le quali rimangono imputabili alle singole amministrazioni competenti. Si tratta, a ben vedere, di un meccanismo basato sulla contestualizzazione di volontà diverse che permette, al contempo, di mantenere l’autonoma imputazione di ciascuna di esse.

Il comma 2 dell’art. 14-quater summenzionato detta le condizioni affinché un’autorità amministrativa possa contestare l’esito della conferenza di servizi. In particolare, si pone il problema della possibilità di sollecitare l’intervento in autotutela dell’amministrazione procedente. Occorre, tuttavia, distinguere il tipo di intervento in autotutela richiesto. Ove si intenda sollecitare un potere di annullamento in autotutela, tale facoltà può essere esercitata da una delle amministrazioni i cui atti siano stati sostituiti dalla determinazione motivata della conferenza. Il potere di annullamento può essere esercitato entro un termine ragionevole, comunque non superiore ai dodici mesi.

Al contrario, l’esercizio del potere di revoca può essere sollecitato esclusivamente dalle amministrazioni che abbiano preso parte alla conferenza di servizi. La ratio di tale limitazione soggettiva risiede nel fatto che il disinteresse manifestato durante la procedura non consente di dare rilevanza a uno ius poenitendi che non persegua, come l’annullamento, profili di legalità e doverosità.  Ad ogni modo, per l’adozione del provvedimento in autotutela, l’amministrazione procedente deve indire una nuova conferenza di servizi, con la quale adottare un contrarius actus secondo un procedimento simmetrico a quello con cui è stato adottato l’atto da sostituire.

L’art. 21-quinquies, inoltre, ammette che le amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, dei beni culturali, della salute e della pubblica incolumità possano contestare la determinazione finale attraverso lo strumento dell’opposizione alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Tuttavia, tali amministrazioni, per poter esercitare il potere in questione, devono aver espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza.

Sulla base del quadro normativo così ricostruito, il TAR rileva che le amministrazioni coinvolte nel procedimento, non rientranti tuttavia tra quelle portatrici di interessi sensibili, che vogliano contestare l’esito della conferenza possono esercitare esclusivamente il potere di sollecitazione di un intervento in autotutela dell’amministrazione procedente. Se fosse possibile anche impugnare la determinazione finale della conferenza, si finirebbe per frustrare la ratio perseguita dal legislatore con la disciplina della conferenza di servizi, ovverosia la semplificazione dell’azione amministrativa. Al contempo, ammettere la possibilità di impugnazione, tramite la proposizione di un ricorso autonomo, a tutte le amministrazioni partecipanti determinerebbe, di fatto, un’interpretatio abrogans del menzionato art. 14-quater, comma 2, che predilige un modello semplificato, limitando la contestazione al solo potere sollecitatorio.

Né si potrebbe riconoscere un potere di impugnazione a favore delle amministrazioni che, pur potendo partecipare alla conferenza di servizi, non vi abbiano partecipato. I principi di buona fede, di leale collaborazione e di non contraddizione si oppongono, infatti, all’ammissibilità di un’autonoma impugnazione della determinazione finale della conferenza da parte di un’autorità amministrativa che abbia scelto di non partecipare, accettando consapevolmente la formazione del silenzio assenso. Tale ultimo istituto, difatti, stigmatizza l’inerzia dell’amministrazione competente, integrando una grave sanzione che determina, di fatti, la perdita definitiva del potere di dissentire.

La limitazione così individuata dal TAR non si pone neppure in contrasto con la Costituzione, essendo presenti nel panorama del diritto amministrativo diverse ipotesi di preclusione di autonomo ricorso. È, a titolo esemplificativo, il caso della tutela del terzo controinteressato nel caso di SCIA, il quale può solo sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione.

Nel caso in esame, il Comune non ha partecipato alla conferenza di servizi, pur essendo stato regolarmente convocato. In applicazione dell’art. 14-quater, comma 4, legge n. 241/1990 si è, pertanto, formato il silenzio assenso. Da quanto detto consegue l’inammissibilità del ricorso proposto, poiché il Comune ricorrente avrebbe potuto solo attivare il meccanismo procedimentale di cui all’art. 14-quater, comma 2, legge n. 241/1990.

Inammissibile è ritenuta anche la contestazione del diniego opposto dall’autorità procedente all’istanza di autotutela avanzata dal Comune ricorrente. Come noto, il potere di autotutela è ampiamente discrezionale, fondandosi non solo sull’illegittimità del provvedimento originario, ma anche sull’esistenza di un interesse pubblico concreto al ritiro del provvedimento.  Nel caso di specie, il Comune ricorrente non ha mosso alcune specifica censura in relazione alla logicità e ragionevolezza della decisione dell’autorità procedente che sia sindacabile in sede giurisdizionale. Con la pronuncia in esame, quindi, il Giudice amministrativo afferma con fermezza che l’attuale quadro normativo non consente all’autorità amministrativa che ha consapevolmente scelto di non partecipare alla conferenza di servizi di impugnare in sede giurisdizionale il provvedimento conclusivo della conferenza. Si tratta, a parere di chi scrive, di una decisione condivisibile e pienamente rispondente ai principi di buona fede e di leale collaborazione, che ormai permeano non solo la relazione tra potere pubblico e cittadini, ma anche i rapporti tra le diverse amministrazioni.

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