07/11/2022
A cura di Matteo Farnese
Nel panorama geopolitico attuale un ruolo di primo piano è stato occupato dalla disciplina nazionale ed europea relativa al controllo degli investimenti esteri diretti, che ha l’obiettivo di operare uno screening sui flussi di capitale estero in entrata (cd. Golden power). Accanto a questa normativa si è sviluppata anche una disciplina che guarda ai flussi in uscita mediante il controllo delle esportazioni di particolari tipologie di beni, soprattutto nel settore militare e della difesa (cd. Export control). Essa si presenta, quindi, come un necessario completamento del Golden power, idoneo ad assicurare ai pubblici poteri una supervisione generale sulle dinamiche economiche con potenziali impatti su interessi pubblici ritenuti particolarmente sensibili. Proprio per questa ragione è utile darne conto, mettendo in evidenza alcuni elementi di comparazione con la prima, anche al fine di meglio apprezzarne la portata e le implicazioni.
In verità, una disciplina nazionale sul controllo delle esportazioni si rinviene già nella legge 9 luglio 1990, n. 185, concernente l’esportazione ed importazione di materiali d’armamento. La legge prevede un controllo attraverso la richiesta di licenze di esportazione da parte delle società interessate all’Autorità nazionale – Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA), operante presso il Ministero degli affari esteri, che le esamina partitamente sulla base della normativa nazionale ed internazionale di riferimento. Come per il Golden power, quindi, l’istruttoria è svolta su ciascun singolo caso. Da notare poi che l’Autorità nazionale – UAMA partecipa al Gruppo di coordinamento della Presidenza del Consiglio per l’esercizio dei poteri speciali per il settore strategico della difesa, assicurando, ove necessario, l’esecutività delle prescrizioni riguardanti i prodotti a duplice uso, civile e militare.
Accanto alla normativa nazionale, a partire dal 2009, si è sviluppata anche una normativa europea sul controllo delle esportazioni di siffatti prodotti, che è stata profondamente innovata dal regolamento 20 maggio 2021, n. 821. Le principali novità in materia riguardano l’aggiornamento delle definizioni presenti nel regolamento, l’armonizzazione delle autorizzazioni generali per le esportazioni e l’ampliamento delle attività e dei prodotti soggetti ad autorizzazione.
In relazione alle definizioni, le categorie di esportazione ed esportatore sono stata ampliate in modo da includervi anche il solo transito nel territorio dell’Unione di prodotti di Stati terzi con destinazione esterna ai confini doganali comunitari e i dati contenuti nel bagaglio fisico delle persone viaggianti.
Quanto all’armonizzazione delle autorizzazioni generali, da un lato, ne sono state aggiunte di nuove per coprire, tra le altre, le fattispecie di intermediazione ed assistenza tecnica e, dall’altro, sono state introdotti nuovi elementi comuni in termini di condizioni e requisiti base per il rilascio di licenze, nonché di definizione di alcuni parametri, quali la durata delle licenze e l’attuazione di meccanismi interni alle imprese per la rilevazione del rischio di non conformità alla normativa di settore.
Con riguardo alle attività e ai prodotti soggetti ad autorizzazione, è stato ampliato l’elenco allegato al regolamento. Così, vi si trovano ora anche prodotti di sorveglianza informatica che possono comportare riflessi sulla protezione dei diritti umani e attività di intermediazione, trasporto e assistenza tecnica.
Con riguardo alla prima categoria, si parla di “prodotti a duplice uso appositamente progettati per consentire la sorveglianza dissimulata di persone fisiche mediante il monitoraggio, l’estrazione, la raccolta o l’analisi di dati provenienti da sistemi di informazione e telecomunicazione” (art. 2, paragrafo 20). L’esportazione di questi prodotti è subordinata ad autorizzazione anche nel caso in cui non siano espressamente previsti nella lista allegata al regolamento in due ipotesi: qualora l’esportatore sia stato informato dall’autorità nazionale competente che detti prodotti sono o possono essere destinati, in tutto o in parte, a un uso connesso alla repressione interna e/o all’attuazione di gravi violazioni dei diritti umani o del diritto umanitario internazionale; oppure qualora l’esportatore sia a conoscenza della destinazione di tali beni deve informare l’autorità nazionale competente, così da consentire alla stessa di valutare la necessità di una preventiva autorizzazione. In questi due casi, l’autorità nazionale competente è tenuta ad avvisare le autorità doganali, le altre autorità nazionali competenti e la Commissione europea fornendo informazioni sul prodotto e sull’entità interessate. L’autorità nazionale competente dovrà poi valutare l’autorizzazione tenendo in debita considerazione le osservazioni che riceverà in ottemperanza a tale procedura.
In questo caso è molto evidente l’analogia con il meccanismo di cooperazione sul controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione. Le autorità nazionali competenti scambiano informazioni riguardanti l’operazione in esame ma la decisione finale sarà in capo all’autorità dello Stato in cui si svolge la stessa. Questa procedura consente l’aggiornamento costante delle autorità competenti e una maggiore effettività del controllo nell’Unione.
Una differenza importante con il regime Golden power riguarda la previsione secondo cui l’autorità nazionale può non trasmettere le informazioni se ritiene “che ciò non sia opportuno alla luce della natura dell’operazione o del carattere sensibile delle informazioni in questione” (art. 5, paragrafo 4 Reg. UE 2021/821). Questa clausola sembra tutelare l’interesse dello Stato ma, al tempo stesso, potrebbe prestarsi ad un’interpretazione distorta, inficiando il meccanismo di controllo europeo.
In definitiva, la disciplina del controllo delle esportazioni a livello europeo risulta avere alcuni punti in comune con il controllo degli investimenti esteri diretti. In primo luogo, entrambe le discipline sono state oggetto di un recente ampliamento nell’ambito di applicazione delle stesse. In secondo luogo, le normative impongono un coordinamento a livello europeo al fine di scambiare informazioni tra le autorità nazionali e operare un controllo uniforme delle operazioni.
Tali caratteristiche permettono alla disciplina dell’Export control di essere oggetto di particolare attenzione rispetto a una futura evoluzione che completi lo strumento del Golden power. Questo permetterebbe un maggior controllo delle operazioni nell’attuale contesto di tensioni economiche globali. Alcune questioni sorgono, però, immaginando un’evoluzione simile a quella avuta dalla disciplina Golden power: è possibile un ampliamento del controllo sulle esportazioni di beni ulteriori rispetto a quelli già coperti dalla normativa, soprattutto in considerazione del fatto che il riferimento a concetti flessibili come “interesse nazionale” e “strategicità” non appare così marcato? Come si concilierebbe tale ampliamento con le libertà fondamentali previste nei Trattati?
In conclusione, nonostante i punti di contatto tra le normative, la struttura delle due discipline sembra piuttosto diversa. Sembra ragionevole ritenere che gli elenchi di beni e attività previsti nella normativa del controllo delle esportazioni rispondano ad esigenze di tassatività nel controllo, seppur con necessari margini di flessibilità, mentre il controllo settoriale e l’ancoraggio a concetti suscettibili di interpretazione ampia della disciplina Golden power sembrano rispondere ad un’esigenza di controllo diffuso, difficilmente replicabile nella disciplina dell’Export control.