Vittoria Melchionna
12/07/2019
Il fenomeno delle società a partecipazione pubblica è stato fonte di numerosi dibattiti quanto alla loro natura e, di rimando, alla disciplina loro applicabile. Infatti, benché si tratti di società soggette alla disciplina societaria di diritto privato, ad esse si applicano altresì diverse disposizioni di legge speciali giustificate dalla partecipazione di soci particolari, ossia amministrazioni ed enti pubblici. Ne derivano la natura cosiddetta “ibrida” di queste società ed una disciplina mista in cui il regime societario ordinario e codicistico è integrato e, talora, derogato da disposizioni di legge ulteriori, funzionali alla realizzazione di interessi di rilievo più generale legati ai servizi pubblici oggetto dell’attività delle società in questione.
Tra i tanti un particolare profilo di analisi e di dibattito ha riguardato le disposizioni speciali in tema di gestione del personale alle dipendenze delle società a partecipazione pubblica. Tale disciplina, oltre ad esemplificare quanto sopra accennato in merito alla specialità del regime delle società a partecipazione pubblica- caratterizzato dalla commistione di norme privatistiche e pubblicistiche- dimostra anche come le società pubbliche siano in alcuni casi sottoposte a dei vincoli specifici che non sussistono del pari per le altre società commerciali.
Infatti, le gestione del personale è stata oggetto di molteplici limiti e vincoli procedurali, preordinati al perseguimento di diverse finalità.
Tali limiti riguardano, in particolare:
• le procedure di reclutamento del personale dipendente ed il conferimento degli incarichi;
• le politiche retributive e i trattamenti economici dei dirigenti e dei dipendenti;
• le procedure di mobilità del personale anche in fase di eventuale crisi.
Come è stato evidenziato da certa dottrina, con il primo ordine di limiti si è cercato di garantire la trasparenza e la verificabilità dei procedimenti di assunzione soprattutto in considerazione della provenienza totalmente o parzialmente pubblica del capitale delle società in esame. Per il resto, il legislatore ha avuto particolare riguardo al profilo della spesa e della potenziale incidenza sugli equilibri della finanza pubblica.
Parte della dottrina si è, inoltre, soffermata sull’incidenza del contesto economico e politico sull’adozione di tali misure. In materia di reclutamento del personale, in particolare, è stato così messo in luce da alcuni autori che i vincoli alle modalità di assunzione del personale sono stati introdotti per la prima volta nel d. l. n. 112/2008 e, con specifico riferimento alle società in house, con disposizioni analoghe nel d. l. n. 138/2011 conv. in L. n. 148/2011. Dunque, è durante gli anni della crisi finanziaria che si è resa necessaria l’adozione di misure di risparmio e taglio alla spesa pubblica che hanno coinvolto anche le società pubbliche.
È interessante considerare, in aggiunta, che parte della dottrina ha assunto posizioni fortemente critiche nei confronti del fenomeno delle società pubbliche, ritenendole di fondo degli strumenti funzionali all’elusione dei vincoli all’attività amministrativa con riguardo, ad esempio, ai vincoli di bilancio e della contabilità pubblica oppure in relazione alle procedure di evidenza pubblica (specialmente nelle gare e negli appalti, oltre che nell’assunzione del personale). Rilievo quest’ultimo che, se reale, potrebbe ulteriormente spiegare le politiche legislative di vincolo all’autonomia delle società pubbliche.
La presente analisi si concentrerà di seguito solo su alcune delle suddette misure restrittive dell’autonomia imprenditoriale delle società pubbliche. Nello specifico, si tratta dei vincoli imposti in materia di reclutamento del personale (ossia di qualsiasi tipologia di assunzione di personale dipendente, sia a tempo determinato che indeterminato, e per qualunque posizione e qualifica anche dirigenziale) e di conferimento degli incarichi (ovvero, la stipulazione di collaborazioni autonome).
A livello di diritto positivo la disciplina è stata introdotta dapprima nell’art. 18 d.l. n. 112/2008, il quale è stato parzialmente abrogato e sostituito dall’art. 19 commi 1-4 del nuovo d. lgs. n. 175/2016, recante il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, che ne ha recepito la sostanza con alcuni adattamenti atti a risolvere delle particolari questioni sollevate dalla formulazione originaria del 2008.
Innanzitutto il comma 1 dell’art. 19 d. lgs. n. 175/2016 precisa espressamente che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico sono regolati secondo le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi. Tuttavia, la medesima disposizione fa salvo quanto diversamente disposto dal decreto stesso. In questo modo, come da altri segnalato, si è inteso per la prima volta esprimere chiaramente quanto già prima era considerato comunque pacificamente: il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società partecipate è ricondotto nel campo del contratto di lavoro alle dipendenze dei soggetti privati, salvo quanto diversamente disposto dalla disciplina di matrice pubblicistica.
Il comma 2 dell’articolo in esame rappresenta il cuore delle presenti riflessioni. La disposizione prevede per le società a controllo pubblico l’obbligo di stabilire, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale ed afferma altresì che tali previsioni devono rispettare i principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
I principi fissati dal comma 3 dell’articolo 35 d. lgs. n. 165/2001 con riferimento alle procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni sono, in particolare, i seguenti: a) adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all’ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione; b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori; d) decentramento delle procedure di reclutamento; e) composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali; nonché la possibilità di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento, il possesso del titolo di dottore di ricerca, che deve comunque essere valutato, ove pertinente, tra i titoli rilevanti ai fini del concorso.
Si introduce, pertanto, quello che è stato definito come un onere di autoregolamentazione a carico delle società pubbliche, che non ha eguali per le società commerciali, in vista del quale per le prime non è possibile procedere a forme di assunzione diretta del personale e la stessa opzione- necessaria- per le modalità di reclutamento affini ai concorsi pubblici deve sostanziarsi in forme rispettose e conformi a tutti i principi sopra menzionati.
Alla violazione di tale onere di autoregolamentazione seguono delle conseguenze, definite da alcuni autori come drastiche. Infatti, secondo il comma 4, primo periodo, dell’articolo 19 l’assenza dei provvedimenti e delle procedure di cui al comma 2 comporta la nullità dei contratti di lavoro stipulati (e prima ancora l’impossibilità di procedere all’assunzione o al conferimento dell’incarico). Viene soltanto fatta salva l’applicazione dell’art. 2126 del codice civile a tutela del lavoratore. Si estende così alle società partecipate lo stesso regime sanzionatorio indicato per il rapporto di lavoro alle dipendenze pubbliche dall’art. 36, comma 5 quater, del d. lgs. n. 165/2001. Secondo quanto evidenziato in dottrina, nel caso in questione l’interesse alla conservazione del contratto è subordinato rispetto ai prevalenti principi di trasparenza, pubblicità ed imparzialità. La stessa Corte Costituzionale nella sentenza 68/2011 ha interpretato la disposizione originaria sul vincolo alle modalità di assunzione del personale nelle società partecipate, l’art. 18 d. l. n. 112/2008, quale norma interposta rispetto all’art. 97 della Costituzione.
Sul tema in analisi anche la giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione e di merito è stata chiamata a pronunciarsi. In particolare, prima della nuova formulazione contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 175/2016 non esisteva una disposizione espressa sulle conseguenze della violazione dell’onere di autoregolamentazione, attualmente chiaramente identificate con la nullità del contratto. Allora, la stessa giurisprudenza aveva desunto la ripercussione in termini di nullità ex art. 1418 del codice civile del contratto di lavoro stipulato senza l’esperimento di procedure di assunzione concorsuali. In specie, si trattava di contratti di lavoro flessibili- ad es, a termine o comunque precari- impugnati a seconda dei casi per profili diversi; tuttavia, ciò che più rileva ai fini del discorso, è che le Corti di volta in volta adite hanno rigettato i ricorsi dei lavoratori e la loro richiesta di tutela tramite l’ordine di conversione del contratto illegittimo in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Diverse sono le sentenze della Corte di Cassazione cui si potrebbe fare riferimento. In particolare, si segnalano le sentenze della Corte di Cassazione civile, Sez. Lavoro n. 4897/2018 e, da ultimo, la n. 3662/2019. Nelle motivazioni delle decisioni, peraltro quasi sovrapponibili, emergono delle affermazioni in particolare, che rispecchiano quanto sopra detto. La Corte, infatti, ha ritenuto indubitabile il carattere imperativo dell’art. 18 d.l. n. 112/2008. Ha affermato che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali ivi previste determina “la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ. perché la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente” e che “sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poiché la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, posto che sia la assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs n. 165 del 2001, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale”. Ha, infine, concluso sostenendo che: “va, quindi, esclusa la portata innovativa dell’art. 19, comma 4, del d.lgs. n. 175/2016 che, nel prevedere espressamente la nullità dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullità virtuali.”
Sui casi, però, alcune riflessioni dottrinali hanno constatato che in tali situazioni non è stato previsto nessun rimedio rispetto all’estromissione del lavoratore dall’azienda in conseguenza della nullità del contratto, residuando solo una tutela risarcitoria; né è indicata chiaramente alcuna responsabilità o sanzione per gli amministratori delle partecipate. Da questa apparente lacuna del quadro normativo sembrerebbe risultare, fermo l’obbligo di autoregolamentazione di cui sopra e di espletamento di procedure selettive secondo il modello di assunzione nel pubblico impiego, una diminuzione dell’efficacia (sostanziale) e della capacità vincolistica di tale obbligo sulle società che ne sono onerate. Contrariamente, concludendo, esistono alcune pronunce giurisprudenziali in sede penale e contabile aventi ad oggetto la condanna degli amministratori rispettivamente per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico per violazione dei principi ex art. 35 d. lgs. n. 165/2001, nonché per illegittima assunzione di risorse avvenuta in violazione della normativa di cui all’art. 18 d.l. n. 112/2008 e per responsabilità per danno erariale per gli stessi motivi, indici della forza vincolante non di poco conto dell’obbligo di autoregolamentazione e di assunzione del personale tramite procedure conformi ai principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità a carico delle società a partecipazione pubblica e dei loro amministratori.