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LA CORTE COSTITUZIONALE SALVA IL RITO SUPER ACCELERATO

17 febbraio 2020

Lucrezia Vitullo

Il 18 dicembre 2019 è stata pubblicata la sentenza con cui la Consulta, inserendosi in un complesso panorama esegetico, ha dichiarato la legittimità costituzionale dell’articolo 120 c.p.a. nella parte in cui reca il cd rito super accelerato, già abrogato con D.L. n 32 del 2019 ma solo per i processi successivi alla sua entrata in vigore.

Dunque, la rilevanza pratica della pronuncia in commento riguarda esclusivamente i processi istaurati prima della novella legislativa.

L’articolo 120 c.p.a imponeva al concorrente di impugnare il provvedimento di ammissione o di esclusione dalla gara entro il termine perentorio di trenta giorni decorrenti dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante. Il decorso infruttuoso del termine avrebbe comportato la preclusione della facoltà di far valere l’illegittimità derivata degli atti successivi, ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione, anche con ricorso incidentale. 

Il rito suddetto ha destato sin dal principio significative perplessità che possono essere ricondotte ad un’unica grande questione: è possibile collocare l’articolo 120 c.p.a in un sistema processuale nel quale, salve le opportune e rare deroghe, il concetto stesso di diritto alla tutela giurisdizionale è inscindibilmente ancorato alla sussistenza di un interesse effettivo, cioè attuale e concreto? 

Di segno negativo è la risposta fornita da quella porzione di giuristi, la cui forma mentis resta fedelmente strutturata su una idea pratica e funzionale della giustizia, che con repulsione si appresta a riconoscere un modello di ricorso giurisdizionale scardinato dalla sussistenza di un concreto vantaggio; uno strumento di impugnazione privo di immediata utilità.

In senso opposto rema la giurisprudenza pioniera, quella incline a riconoscere gli interessi strumentali, pronta a considerarli come fonte di deroga all’ordinario regime impugnatorio degli atti endo-procedimentali. Trattasi di Interessi da cui deriva un unico beneficio: quello di scongiurare il verificarsi di un futuro ed eventuale danno oppure quello di porre le basi per conseguire un possibile risultato vantaggioso. Da questo schieramento emerge ineluttabilmente un dato: il diritto amministrativo si evolve sempre più verso l’anticipazione della tutela ad una fase in cui la lesione è solo in potenza e non ancora in atto.

Le due ricostruzioni del principio di effettività della tutela sono state rappresentate dai protagonisti del giudizio conclusosi con la sentenza n.271 del 2019: il Tar Puglia e la Corte Costituzionale. 

Il Tar Puglia ha infatti adito la Corte Costituzionale con due ordinanze la n. 138 e la 141 del 2018 sollevando la questione relativa alla compatibilità tra il rito super accelerato e i principi sanciti gli articoli 3,24,103 primo comma, 111 comma primo e secondo, 113 comma primo e secondo e 117 primo comma primo della Costituzione.

Gli argomenti addotti sono stati punto per punto confutati dalla Corte Costituzionale, come si dimostrerà nel prosieguo. 

Il rimettente ha affermato, in primis, che l’art 120 comma 2 bis fosse incompatibile con l’articolo 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui prevede l’inammissibilità dell’impugnazione degli altri atti endo-procedimentali privi di immediata lesività, confermando la generale regola tradizionale. Alla luce della regola ordinaria tali atti potranno essere impugnati insieme a quello finale, che incide concretamente sulla sfera giuridica soggettiva del ricorrente. Invece, a norma dell’art 120 c.pa comma 2 bis, gli atti di ammissione o esclusione alla gara sono suscettibili di autonoma impugnazione, da esperire entro il termine prescritto dalla legge e a pena di decadenza. Di qui l’immotivata disparità di trattamento tra concorrenti sollevata dal Tar. 

La Consulta non ritiene fondate tali ragioni. Infatti, dopo aver ribadito che il legislatore è libero nella fissazione di termini di decadenza e prescrizione, a patto che essi non siano il frutto di scelte manifestamente illogiche, ha affermato che l’articolo 24 Cost. non postula l’affermazione di un livellato sistema di tutela giurisdizionale che comporti stesse modalità o medesimi effetti. Il legislatore può diversamente modularne meccanismi di attuazione e presupposti di accesso, dovendo tuttavia assicurare che il ricorso alla tutela giurisdizionale non sia impossibile o eccessivamente difficoltoso.

La consulta prosegue in merito alla questione concernente la supposta violazione del principio della parità di trattamento. A tal proposito si limita a sostenere che “l’infondatezza della questione è implicita (…) al riconoscimento, nel caso di specie, della rilevanza dell’interesse strumentale”. Possiamo parafrasare tale affermazione ricordando che il principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., obbliga certamente a trattare situazioni uguali in modo uguale, ma postula altresì l’obbligo di trattare situazioni diverse in modo diverso. In questo caso la giustificazione di una specificità di trattamento si insinua nella categoria degli atti endo-procedimentali attraverso il canale dell’interesse strumentale.

Poste tali premesse, non può essere accolta neppure la questione relativa alla incompatibilità dell’art 120 comma 2 bis con gli artt. 24,103,113 Cost., da cui trae origine la concezione per cui la giurisdizione amministrativa è di tipo soggettivo. Alla luce della ricostruzione effettuata dalla Consulta il rito super accelerato, lungi dal rappresentare uno strumento di mero vaglio della legalità dell’azione amministrativa, rappresenta invece un modello di definizione anticipata di rapporti giuridici soggettivi con l’obiettivo di sollecitare nuovamente l’esercizio del potere amministrativo per conseguire un beneficio soggettivo.

In ultimo, non può essere ritenuta fondata la violazione dell’articolo 117 comma 1 per incompatibilità del rito in esame con i principi di cui all’ articolo 6 e 13 della CEDU. La Convenzione, secondo l’autorevole interpretazione della corte del Strasburgo, lascia all’autonomia degli Stati membri un certo margine di apprezzamento nella configurazione del diritto di accesso alla giurisdizione. Consente agli Stati membri la libertà di affermare eventuali limiti, a condizione che siano posti per uno scopo legittimo, rispettino il principio di proporzionalità e non abbiano l’effetto di rendere impossibile od oltremodo difficile l’esercizio del diritto convenzionale.Con la pronuncia analizzata, dunque, la Corte Costituzionale si allinea alla giurisprudenza europea e nazionale riconoscendo la compatibilità del rito con il diritto alla tutela giurisdizionale, in ogni sua declinazione. Un riconoscimento, ormai, postumo. 

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