di ALESSIA FRUSCIONE
20/09/2017
L’articolo 107 del Tfue, nell’ambito del primo paragrafo, stabilisce che gli aiuti concessi dagli Stati, o mediante risorse statali (sotto qualsiasi forma) sono incompatibili con il mercato interno, dunque vietati, nella misura in cui, favorendo talune imprese o talune produzioni, incidano sugli scambi tra Stati membri, falsando o minacciando di falsare la concorrenza, «salvo deroghe contemplate dai trattati». Qualora anche una sola di queste condizioni dovesse risultare assente, la fattispecie non si realizza e quindi l’intervento pubblico non è soggetto alle regole comunitarie della materia ed al conseguente controllo della Commissione.
Nei paragrafi successive, l’art. 107 prevede alcune deroghe: ad esempio il paragrafo 2 stabilisce che devono ritenersi compatibili con il mercato interno gli aiuti a carattere sociale e gli aiuti destinati a «ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali». Il fatto che tali tipologie di aiuto siano dalla norma considerate compatibili, «non esclude che siano soggette alle regole di procedura stabilite per tutti gli aiuti di Stato, prime fra tutte quelle relative alla notifica. Uno Stato membro non può quindi adottare regimi di aiuto che ricadano in quelle fattispecie senza riceverne autorizzazione dalla Commissione: è vero che questa non avrebbe discrezionalità nel decretarne la compatibilità – in quanto sancita dal Trattato – ma le spetta comunque il compito di valutare se il regime […] rientra in una delle categorie previste dal secondo comma»[1].
Il paragrafo 3 afferma invece che alcuni aiuti di Stato «possono» considerarsi compatibili con il mercato interno, legittimando dunque una discrezionalità assoluta da parte della Commissione: fra le varie tipologie di aiuto elencate, riveste particolare interesse, quella di cui alla lettera d), che va a configurare la cd. “eccezione culturale”. Essa fa riferimento agli «aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune».
Lo stesso Tfue, all’articolo 167, individua il compito dell’Unione europea nel contribuire al «pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune». L’intervento deve intendersi di natura sussidiaria: l’articolo infatti prosegue stabilendo che «l’azione dell’Unione è tesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l’azione di questi ultimi» nei settori che di seguito vengono dalla norma individuati (diffusione della cultura e della storia dei popoli europei; conservazione del patrimonio culturale europeo; scambi culturali non commerciali; creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo). La Commissione si è occupata, nel corso del tempo, di dettare apposite regole volte a formulare i criteri di compatibilità delle tipologie di aiuti più ricorrenti, con riferimento alle deroghe individuate dal terzo comma dell’art. 107.
Con il passare degli anni, quelle che originariamente si configuravano quali linee guida, sono venute ad estrinsecarsi mediante veri e propri regolamenti: fra i vari che si sono susseguiti, appare utile fare riferimento al più recente, ossia il regolamento n. 651/2014/UE della Commissione («che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato», cd. “Gber”, dalla dicitura inglese “general block exemption regulation”). Esso, nell’ambito della Sezione 11a, rubricata: «aiuti per la cultura e la conservazione del patrimonio», comprende l’articolo 53, recante la disciplina degli «aiuti per la cultura e la conservazione del patrimonio» e il più specifico (ai fini del settore di nostro interesse) articolo 54, rubricato: «regimi di aiuti a favore delle opere audiovisive», il quale afferma che «i regimi di aiuti per la sceneggiatura, lo sviluppo, la produzione, la distribuzione e la promozione di opere audiovisive sono compatibili con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, par. 3, del trattato e sono esentati dall’obbligo di notifica […] purché soddisfino le condizioni di cui al presente articolo e al capo I» (il quale comprende una serie di norme di carattere generale riguardanti le soglie di notifica, la trasparenza degli aiuti, l’effetto di incentivazione, l’intensità dell’aiuto e i costi ammissibili, il cumulo, la pubblicazione e l’informazione).
Al di là delle dettagliate disposizioni previste nel seguito dell’articolo, appare utile riflettere sulla problematica che scaturisce dalla lettura di uno dei ‘considerando’ del regolamento in discorso: esso anzitutto ribadisce quanto già abbiamo ricordato, e cioè che «“nel settore della cultura e della conservazione del patrimonio, determinate misure adottate dagli Stati membri, possono non costituire aiuti di Stato in quanto non soddisfano tutti i criteri di cui all’art. 107, par. 1, del trattato, per esempio perché l’attività svolta non è economica o non incide sugli scambi tra Stati membri”, aggiungendo poi che, quand’anche siano aiuti di Stato, “non danno generalmente luogo ad una distorsione significativa della concorrenza” e, come mostra la prassi, “hanno effetti limitati sugli scambi”. Quindi, in considerazione dell’importanza che l’art. 167 del trattato riconosce alla promozione della cultura ed alla conservazione del patrimonio artistico, culturale e naturale, determinati aiuti devono essere esentati dall’obbligo di notifica. Sono invece escluse dal regolamento le attività che hanno un carattere prevalentemente commerciale, come la stampa e i periodici, la moda, il design o i videogiochi». È come dunque se la Commissione affermasse che, al di fuori dei settori menzionati, in cui l’aspetto commerciale è prevalente, «il finanziamento della cultura non costituisce aiuto di Stato, in quanto non si tratta di attività economica e non viene falsata la concorrenza» e «nella misura in cui può essere considerato aiuto, il ridotto impatto su un ipotetico mercato è giustificato largamente dall’obiettivo, riconosciuto dal trattato, della salvaguardia del patrimonio e della diversità culturale europea», potendo così essere ricondotto al campo di applicabilità del regolamento di esenzione.
Dunque più che «individuare eccezioni all’applicabilità delle regole della concorrenza», dovrebbe farsi riferimento «ad un’esclusione di fondo» (della possibilità di configurare un sostegno economico alla cultura quale aiuto di Stato), rispetto alla quale dovrebbero poi «essere individuati casi, peraltro di scarso rilievo, eccezionalmente soggetti alle regole in materia di aiuti di Stato»: solo questi quindi sarebbero quelli disciplinati dal regolamento di esenzione. E invece l’art. 53, «che stabilisce le condizioni in base alle quali un aiuto alla cultura è compatibile (e dunque è aiuto di Stato), riporta un lungo elenco di attività ammissibili, […] a dimostrazione del fatto che qualsiasi intervento nel settore, agli occhi della Commissione, è potenzialmente aiuto di Stato». In sostanza essa sembra privilegiare il concetto di “aiuto compatibile” rispetto a quello di “non aiuto”, lasciando così alle «autorità nazionali il compito e la responsabilità di stabilire di volta in volta se si tratti o meno di aiuti di Stato»[2].
Le perplessità che scaturiscono da queste riflessioni, possono essere spiegate ricordando che si tratta di una disciplina (quella relativa al divieto degli aiuti di Stato e relative deroghe ed esenzioni) che si è stratificata nel corso del tempo, cercando di soddisfare le molteplici esigenze che andavano di volta in volta emergendo. Anche sulla base di una valutazione sommaria della stessa, emergono le difficoltà affrontate dal legislatore europeo nel bilanciamento fra la necessità di mantenere l’equilibrio di un mercato concorrenziale da una parte, e quella di valorizzare e incoraggiare il settore culturale dall’altra (consentendo così uno sviluppo dello stesso svincolato dalle restrizioni altrimenti previste negli altri ambiti, ovviamente nei limiti e nella misura in cui sussistano i determinati requisiti richiesti dagli appositi regolamenti). Il risultato non può essere altro che una fitta rete di disposizioni che, se ad un primo impatto può sembrare di ostacolo, di complicazione, deve in realtà essere letta come un supporto mirante ad evitare abusi e violazioni delle norme sulla concorrenza.
Constatiamo dunque che anche la dimensione europea non può esimersi dalla valutazione degli aspetti culturali e artistici come legati a quelli economici in maniera indissolubile: il destino dei primi è inevitabilmente condizionato dai secondi. «Le misure di sostegno pubblico, e quindi anche gli aiuti di Stato alle opere cinematografiche, hanno due anime, culturale ed economica, interconnesse e inseparabili», che costituiscono elementi «di incentivazione ad un’industria storicamente fragile in Europa e di promozione della diversità culturale»[3]. Esse svolgono, di conseguenza, una «funzione correttiva rispetto ai meccanismi di mercato e suppletiva rispetto alle iniziative deboli». L’eccezione culturale deve essere letta come una formula che mira a legittimare l’intervento regolativo e finanziario dei poteri pubblici al fine di correggere le distorsioni provocate dal mercato, attribuendo poteri in materia culturale agli Stati membri[4].
[1] C.E. Baldi, La disciplina comunitaria degli aiuti di Stato. Manuale critico ad uso delle amministrazioni e delle imprese, Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore, 2015, p. 45.
[2] C.E. Baldi, Disciplina comunitaria degli aiuti di stato e politica culturale europea. Le incoerenze di un sistema fortemente burocratizzato, in Aedon, 2014, n. 3, www.aedon.mulino.it.
[3] L. Bellucci, Cinema e diritto nell’integrazione europea: incentivazione economica e promozione della diversità culturale, in Sociologia del diritto, 2010, n. 3, p. 84.
[4] G. Endrici, Il sostegno pubblico all’attività cinematografica, in Aedon, 2006, n. 1 www.aedon.mulino.it.