di Benedetta Barmann
18/07/16
La decisione della Corte di ritenere in contrasto con il diritto europeo la proroga automatica delle concessioni non costituisce, di certo, “un fulmine a ciel sereno”: trattasi, in realtà, di una decisione abbastanza prevedibile e preceduta da vari “campanelli d’allarme”.
Sul rilascio e il rinnovo delle concessioni demaniali il nostro Paese aveva già attirato l’attenzione dell’Antitrust e della Corte Costituzionale, a livello nazionale, e della Commissione europea, a livello sovranazionale.
Per comprendere la decisione della Corte occorre, allora, fare un passo indietro.
I lidi e le spiagge, come è noto, costituiscono il demanio marittimo che, a sua volta, rientra nel c.d. demanio necessario: trattasi di beni che, per certe loro qualità intrinseche, sono sottratti in assoluto alla proprietà privata e possono appartenere soltanto allo Stato o alle Regioni. In particolare il lido del mare e la spiaggia rientrano nell’elenco di cui all’art. 822 c.c. e sono, pertanto, beni demaniali statali. Come tali, sono sottoposti dal codice (e dalla legislazione speciale) ad un particolare regime giuridico (art. 823 c.c.) che si caratterizza essenzialmente per l’inalienabilità: non possono, dunque, costituire oggetto di negozi giuridici di diritto privato, traslativi o costitutivi; non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nelle forme appositamente previste; non possono costituire oggetto di un possesso che ne determini l’usucapione, né garanzia patrimoniale dei creditori dell’amministrazione di appartenenza; non sono espropriabili per ragioni di pubblico interesse.
Dei beni demaniali può, tuttavia, essere consentito un uso che viene definito eccezionale: essi possono difatti essere dati in concessione ai privati, secondo il modello della c.d. concessione contratto; esso si caratterizza per la presenza di un atto amministrativo unilaterale e di un contratto di diritto privato concluso tra la stessa amministrazione concedente e il concessionario. In particolare, con l’atto amministrativo la p.a. dispone del bene in via autoritativa dando vita al rapporto concessorio; con il contratto di diritto privato (c.d. disciplinare) si regolamentano gli aspetti patrimoniali e i relativi diritti e obblighi delle parti.
E’ chiaro, allora, come lo sfruttamento del bene pubblico da parte di un privato possa porre dei problemi in ordine alla tutela della concorrenza. I beni pubblici sono infatti economicamente rilevanti, ed il loro utilizzo fornisce un’utilità al privato. Per queste ragioni, il Consiglio di Stato, in ossequio ai principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, ha più volte affermato che la scelta del concessionario debba avvenire nel rispetto delle regole dell’evidenza pubblica (aspetto recentemente confermato dalla nuova Direttiva concessioni 2014).
Rispetto alla tutela della concorrenza si sono poste allora due questioni rilevanti: l’una relativa al c.d. diritto di insistenza, l’altra alla proroga automatica delle concessioni. Con riferimento al primo, il diritto consiste nel riconoscimento di una causa di preferenza accordata all’ ex concessionario rispetto agli altri concorrenti. Sul punto, i giudici amministrativi propongono oggi una interpretazione comunitariamente orientata che subordina l’operatività dell’istituto al rispetto dei presupposti dati: a) dall’effettiva equipollenza delle condizioni offerte dal concessionario e dagli altri aspiranti sul piano della rispondenza agli interessi pubblici; b) dall’idonea pubblicizzazione della procedura relativa al rinnovo, in una logica di par condicio effettiva; c) dalla necessità di depurare, nei limiti possibili, la procedura dai fattori di vantaggio rivenienti in capo al concessionario dalla titolarità della concessione ovvero dalla titolarità di altro rapporto concessorio funzionalmente collegato al primo.
Per quanto riguarda il rinnovo automatico, come si diceva, tale modus operandi aveva già da tempo attirato l’attenzione dei garanti della concorrenza. E difatti, l’Antitrust, con una segnalazione del 2008, aveva evidenziato come lo stesso non rappresentasse uno stimolo per il concessionario per offrire servizi migliori agli utenti.
Successivamente, nel gennaio 2009, è intervenuta anche la Commissione, contestando la compatibilità con il diritto comunitario delle norme che prevedevano il rinnovo automatico; si riteneva, nello specifico, che tale modalità fosse in contrasto con i principi di concorrenza e libertà di stabilimento sanciti dalla direttiva 2006/123 (recepita in Italia con il d.lgs. 59/2010). La procedura di infrazione si è chiusa nel 2012.
Successivamente, l’art. 34 duodecies del d.l. n. 179/2012, novellando l’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009 (censurato dalla Commissione UE) ha disposto la proroga sino al 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015. Sul punto è intervenuta la Corte, adita da alcuni concessionari che non avevano ottenuto la proroga. Anche la Corte ritiene la normativa citata in contrasto con la Direttiva 2006/123; si legge, difatti, che “il rilascio di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacustre deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i potenziali candidati, che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza (in particolare un’adeguata pubblicità)”. La proroga automatica delle autorizzazioni “non consente di organizzare una siffatta procedura di selezione”. L’articolo 12 della direttiva vieta una misura nazionale che, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati, prevede la proroga automatica delle autorizzazioni di sfruttamento del demanio marittimo e lacustre per attività turistico-ricreative.
Si deve attendere, dunque, un nuovo intervento del legislatore per conformare la materia de qua ai principi comunitari della concorrenza e della libertà di stabilimento.