PIERGIORGIO VACCARINI
6 luglio 2020
Nel Giugno 2020 la Corte d’Appello di Roma si pronuncia con sentenza n. 2906 sul ricorso promosso dal Comune di Pontecorvo e da una società operante nel settore dei rifiuti avverso la sentenza n. 887/05 del Tribunale di Cassino, confermando la co-responsabilità degli stessi appellanti per aver contribuito alla propagazione di un incendio il quale, verificatosi nei pressi della proprietà di una azienda agraria del luogo, infliggeva a questa danni ingenti.
In breve, nell’Agosto del 1998 nei pressi della cittadina di Pontecorvo (FR) si verificò un incendio boschivo che, essendosi propagato sulla proprietà di una azienda agraria del luogo, provocò la distruzione di parte del suo fondo nonchè di due capannoni annessi a quest’ultimo, adibiti dal Comune a centro di compattazione e stoccaggio di rifiuti solidi urbani.
Così l’azienda agraria agisce giudizialmente contro il Comune accusandolo di non aver adottato le “best practices” in materia di deposito dei rifiuti ed in particolare di non aver svolto controlli periodici sullo stato di accatastamento degli stessi; allora il Comune di Pontecorvo, non ritenendosi direttamente responsabile decise di chiamare in garanzia la società alla quale aveva appaltato la gestione provvisoria dell’impianto di compattazione e stoccaggio dei rifiuti.
Il primo grado si conclude con una pronuncia a sfavore tanto del Comune quanto della società, riconosciuta co-responsabile dell’evento per aver lasciato il sito in una condizione di pericolo una volta terminato l’incarico.
A questo punto le parti impugnano dinanzi alla Corte d’Appello il provvedimento emesso dal Tribunale di Cassino: in particolare la società, considerando che l’incendio avvenne due anni dopo la cessazione della attività, non riconosceva la propria responsabilità gestoria in quanto, da una parte né una norma di legge nè le disposizioni contenute nell’ordinanza comunale con la quale le fu conferito l’incarico, parlavano di obblighi di gestione del sito successivamente al periodo di durata dell’appalto; dall’altra perché nel caso di attività di stoccaggio, diversamente da quanto avviene per le discariche, non è previsto alcun obbligo post-operativo a carico del gestore, il quale infatti, non divenendo cessionario dei rifiuti stoccati non ne acquista alcuna responsabilità di gestione, lasciando quest’ultima a carico dell’appaltante, in questo caso il Comune; infine la società aggiungeva di non ritenersi responsabile per l’evento perché la fortuità dell’incendio ne interrompeva il nesso causale.
Alla luce di ciò, riteneva il Comune responsabile della vicenda per il fatto che quest’ultimo, in violazione della normativa vigente in materia, non avrebbe depositato in discarica i rifiuti rimasti e non avrebbe eseguito, una volta concluso l’affidamento del servizio, la doverosa bonifica del sito ospitante i rifiuti, lasciando una situazione di evidente pericolosità.
Su queste basi, la Corte d’Appello si pronuncia nel mese di Giugno 2020 con la sentenza sopra citata, rigettando il ricorso per infondatezza.
Analizzando l’articolato ragionamento condotto dalla Corte d’Appello, la questione sembra ruotare attorno ad un fattore di responsabilità in materia di gestione dei rifiuti, in questo caso particolarmente nella disciplina dello stoccaggio.
In termini molto generali occorre ricordare che, tra i vari principi ispiratori dell’attività di gestione dei rifiuti indicati dal Testo Unico Ambientale (TUA), assumono particolare rilievo in questo caso il principio di responsabilizzazione e quello di cooperazione ai sensi dei quali tutti i soggetti che prendono parte alla produzione, detenzione, trasporto, smaltimento, deposito dei rifiuti sono tenuti a cooperare tra di loro, obbligo rafforzato dal fatto che questi sono chiamati solidalmente a rispondere per ogni eventuale danno derivante da una cattiva gestione.
A questo punto al fine di contestualizzare detti principi al caso di specie occorre fare riferimento all’attività di stoccaggio dei rifiuti: partendo dalle definizioni preliminari, l’art. 183 lett. aa) del TUA, aggiornato dal d.lgs. 205/2010, la definisce come la funzione di smaltimento consistente nelle operazioni di deposito preliminare e di recupero dei rifiuti.
Per questa attività, contrariamente a quanto previsto per il deposito temporaneo, non è presente alcun limite temporale o quantitativo di giacenza dei rifiuti né tanto meno sono presenti riferimenti dettagliati a criteri distributivi degli stessi all’interno del sito; ciò però non significa che l’attività di stoccaggio è esente da ogni regolamentazione, al contrario questa è tenuta al rispetto di una serie articolata di regole, la cui mancata osservanza comporta il perfezionarsi di un illecito amministrativo, ovvero lo stoccaggio di rifiuti non autorizzato.
In termini molto generali, si prevede che nello svolgimento dell’attività di cui all’art. 183 lett. aa), i rifiuti depositati debbano essere tenuti in spazi idonei, non potendo essere accumulati in modo indiscriminato e/o in grande quantità. Inoltre occorre che questi siano adeguatamente protetti al fine di evitarne ogni dispersione o contaminazione.
Proprio alla violazione di queste regole generali si riferisce la Corte d’Appello nel ritenere la società co-responsabile del disastro. Ciò è confermato dalla relazione del CTU nominato dal Tribunale di Cassino, il quale durante lo svolgimento della consulenza tecnica rinvenne rifiuti accatastati all’interno dei capannoni presenti sul fondo in quantità spropositate rispetto ai limiti consentiti e che, a causa della sopravvenuta incapienza dei depositi, questi erano stati accumulati anche all’esterno delle anzidette strutture.
Oltre all’aspetto appena descritto, la responsabilità della società risulterebbe anche dall’evidente violazione delle norme sulla sicurezza, per il fatto che il consulente notò anche che i rifiuti, specialmente quelli depositati all’esterno, venivano tenuti dal gestore in forma sciolta e senza alcuna protezione o comunque con una protezione di dubbia affidabilità. Proprio perciò il sistema di stoccaggio apparve non idoneo a proteggere il sito dagli agenti esogeni, specialmente dagli incendi, in quanto non era presente alcun impianto di prevenzione adeguato, salvo la presenza di qualche estintore manuale.
La Corte, dunque, nel ritenere la società in parte responsabile dell’evento non sembra farlo, contrariamente a quanto contestato dalla ricorrente, sulla base di un qualche onere post-operativo in capo alla stessa, piuttosto la riterrebbe tale oltre che, come già detto, per la evidente violazione delle norme vigenti in materia di stoccaggio, anche per non aver comunicato al Comune la condizione in cui versava il sito al momento del suo rilascio, impedendogli così di procedere alla messa in sicurezza e alla bonifica dello stesso, attività quest’ultime che, se eseguite, avrebbero certamente impedito l’aggravarsi dell’evento.
Così la Corte nel caso di specie, a margine degli evidenti ed inconfutabili elementi di responsabilità accertati a carico della società, sembra sposare una forma di responsabilità piuttosto rigorosa, quella solidale appunto, come per ricordare il fatto che il settore dei rifiuti sia sorretto su di un sistema di gestione integrata dove ogni soggetto che compone la filiera è responsabile, oltre che per il suo operato, anche per quello dei soggetti che lo precedono e che lo seguono.