di Nasta Lucrezia
26/11/2017
Una recente sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – sentenza 17/10/17 n°8 – ha offerto un nuovo chiarimento in merito ai presupposti e le condizioni in presenza delle quali l’amministrazione può procedere ad annullare in autotutela un titolo edilizio.
I problemi affrontati e sciolti dai Giudici di Palazzo Spada sono sostanzialmente quattro. Il primo concerne la questione se l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio presupponga, quanto alla sua motivazione, una valutazione ben ponderata dell’interesse pubblico, che vada al di là del mero ripristino della legalità violata, ovvero se, date le peculiarità della materia, l’interesse pubblico all’annullamento possa ritenersi sussistere in re ipsa, violato nella illegittimità dell’atto. La seconda questione affrontata consiste nello stabilire se il decorso di un considerevole lasso di tempo possa incidere sull’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, e quale sia la tecnica di determinazione del dies a quo per l’esercizio di anzidetto potere. Il terzo problema attiene ad una possibile attenuazione dell’onere motivazionale in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati. Infine, la quarta questione riguarda se possa configurarsi un interesse legittimo in capo al privato che abbia fornito prospettazioni non veritiere delle circostanze di fatto e di diritto sottese all’adozione del provvedimento iniziale.
Quanto alla prima questione affrontata, i Giudici ritengono che, anche nel caso di annullamento di titoli edilizi illegittimamente rilasciati, si applichi la disciplina generale dell’annullamento d’ufficio, non potendosi postulare un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione di tali atti a causa dell’assenza di normative speciali che dispongano il contrario. Pertanto, grava in capo all’amministrazione l’onere di motivare puntualmente circa sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto. Dunque, dalla motivazione della sentenza emerge una lacuna del sistema normativo, mancando, ad oggi, ancora una disciplina speciale in tema di presupposti e condizioni per l’adozione dell’annullamento d’ufficio di titoli edilizi, rendendo così necessaria l’ applicazione della disciplina generale contenuta nell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990.
Con riguardo al problema della esigenza del rispetto da parte dell’amministrazione di un dato lasso di tempo per l’adozione del provvedimento di annullamento, il Collegio ritiene che il fattore tempo condiziona in modo rilevante le modalità di esercizio del potere di autotutela. A tal proposito si legge, infatti, che “il tempo rientra nella categoria dei fatti giuridici oggettivi ed è idoneo a sortire i propri effetti sui rapporti giuridici indipendentemente dall’atteggiamento psicologico dei soggetti interessati”. Tuttavia, secondo l’Adunanza Plenaria, “il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio non incide in radice sul potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale”. Sul punto, è possibile osservare come tale affermazione non si ponga in perfetta simmetria con la nuova impostazione introdotta dalla riforma Madia – art. 6 L. n. 124/2015- che, nel quantificare ex lege il termine entro cui il potere di autotutela va esercitato (18 mesi), sembra voler assolutizzare la ragionevolezza del fattore temporale, spogliando l’amministrazione delle sue valutazioni discrezionali in merito. Tale regola, prevista al comma 1 del poc’anzi citato articolo, è soggetta ad una deroga prevista dal comma 2, in caso in dichiarazioni false o mendaci, o false rappresentazioni dei fatti. Mentre, per quanto attiene alla tecnica di determinazione della decorrenza del termine ragionevole, i Giudici ritengono che detto termine debba decorrere solo dal momento in cui l’amministrazione sia venuta a conoscenza dei vizi di illegittimità del provvedimento precedentemente adottato.
Relativamente al terzo problema sopra esposto, non appare sostenibile l’orientamento volto a riconoscere, in sede di motivazione dell’annullamento in autotutela di titoli edilizi illegittimi, maggiore rilevanza all’interesse dei privati destinatari dell’atto e minore rilevanza all’interesse pubblico alla rimozione dell’atto, pertanto deve essere riconosciuta una preminenza degli interessi sottesi alla disciplina urbanistica ed edilizia. In base a quanto affermato, l’onere motivazionale dell’amministrazione potrà ritenersi soddisfatto attraverso il richiamo alle disposizioni che risultano concretamente violate.
Giungendo all’esame dell’ultimo problema sopra esposto, è indubbio che non si possa configurare un interesse legittimo di mantenimento del provvedimento favorevole in capo al privato che abbia fornito una “non veritiera prospettazione delle circostanze rilevanti”. L’assenza della sussistenza di suddetto affidamento è configurabile anche nel caso in cui sia trascorso “un considerevole lasso di tempo fra l’abuso e l’intervento repressivo dell’amministrazione”.
Concludendo l’esame della sentenza, emerge una criticità del sistema, data dalla mancanza di una disciplina ad hoc sull’annullamento dei titoli edilizi, imponendo, allo stato dei fatti, uno sforzo della giurisprudenza per la soluzione di tali casi concreti. Inoltre la recente riforma Madia sembra aver limitato i poteri della P.A. introducendo il termine di 18 mesi per il ritiro dell’atto, in favore di una situazione di certezza del sistema, che spesso mal si concilia con la massimizzazione degli interessi pubblici.