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L’ accountability nella cooperazione regolatoria internazionale: il diritto amministrativo nazionale come risposta ad un problema internazionale

di Beatrice Perinelli

17/0217

Gli enti regolatori nazionali rappresentano i soggetti principali della cooperazione regolatoria internazionale intesa come collaborazione su questioni regolatorie (in diversi settori ad esempio la finanza, le sostanze chimiche, le automobili e le medicine) per lo scambio di informazioni rilevanti, per l’armonizzazione degli standard, per l’allineamento delle regolamentazioni e per l’emanazione di regole comuni tra soggetti appartenenti a sistemi giuridici diversi che operano, quindi, al di là dei confini nazionali. Questa forma di cooperazione regolatoria internazionale però ha sollevato molte critiche soprattutto con riguardo alla carenza di accountability degli enti regolatori che, agendo a livello internazionale, si distaccano dai meccanismi di trasparenza che ogni democrazia sviluppata ha stabilito proprio per assicurarne la credibilità dell’operato.

A questo punto bisogna definire il concetto di accountability che nel suo senso più ampio significa obbligo di dare conto del proprio operato a qualcuno, di solito nei paesi democratici questo termine indica il rapporto che si instaura tra cittadini-elettori e parlamentari-eletti nel senso che coloro che governano hanno l’obbligo di dover dimostrare ai governati gli esiti delle loro azioni politiche.

Nel contesto amministrativo l’accountability degli enti regolatori viene assicurata a livello nazionale mediante sia l’obbligo di render conto del proprio operato al Governo o al Parlamento attraverso un sistema di report che indichino i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi proposti sia l’accessibilità alle informazioni e alle attività dell’ente sia la previsione di meccanismi di consultazione; l’ accountability viene poi assicurata in un secondo momento attraverso la previsione della possibilità di contrastare le decisioni prese dalle Agenzie o dalle Autorità Indipendenti attraverso reclami o ricorsi ai tribunali.

Le critiche sollevate in riferimento all’agire internazionale degli enti regolatori nazionali si riferiscono: alla inaccessibilità da parte dei cittadini ai processi decisionali nel senso di impossibilità per coloro che saranno affetti dalle regolamentazioni da questi adottati di essere coinvolti nei processi di regolamentazione, alla scarsa qualità dei risultati ottenuti nel senso che la mancata partecipazione dei soggetti interessati comporta delle regolamentazioni meno deliberative e meno efficienti ed infine alla illegittimità delle decisione prese nel senso che l’opinione pubblica percepisce sempre le interazioni tra enti regolatori come sospette in quanto a differenza delle istituzioni governative formali le loro azioni non possono essere controllate.

Ognuno di questi tre problemi può essere risolto attraverso il trasferimento a livello internazionale degli strumenti previsti dal diritto amministrativo nazionale per assicurare l’accountability degli enti regolatori. Un primo strumento potrebbe essere quello di rendere virtualmente “visibili” i processi decisionali mediante l’istituzione di un’unica piattaforma web in cui riportare tutte le informazioni sui meccanismi di cooperazione regolatoria adottati e pubblicizzare le attività (ad esempio postando i video delle riunioni effettuate o i calendari delle riunioni futuri e degli ordini del giorno), assicurando così una maggiore trasparenza per i soggetti interessati. Una soluzione al problema della bassa qualità dei regolamenti è di prevedere delle forme di coordinazione legislativa nel senso di imporre degli incontri regolari tra i parlamentari delle diverse nazioni coinvolte in forme di cooperazione regolatoria affinché gli enti regolatori possano usufruire dello scambio intervenuto tra questi per adottare delle decisioni più conformi ai bisogni dei cittadini e di includere obblighi per gli enti regolatori di dare conto delle proprie azioni ai rappresentanti politici.

Infine quindi attraverso una maggiore visibilità del processo regolatorio e attraverso il monitoraggio da parte degli stessi parlamentari eletti della corrispondenza tra gli interessi pubblici e le forme di cooperazione regolatoria si ottiene la riparazione del problema di legittimità delle scelte nel senso che il coinvolgimento del pubblico ne comporta una sua “alfabetizzazione” eliminando il sospetto della vischiosità dell’agire regolatorio.

Le soluzioni proposte dalla dottrina per risolvere il problema dell’accountability possono essere raggruppate in due categorie: da una parte vi sono coloro che vedono nel diritto internazionale la risposta a questo problema agendo gli enti regolatori su tale piano, dall’altra parte vi sono coloro che vedono il rimedio nel diritto amministrativo nazionale essendo gli enti regolatori da questo disciplinati.

Le agenzie intergovernative hanno già fatto dei passi nel primo senso infatti hanno promosso la previsione di norme e procedure amministrative globali che devono essere seguite da parte degli enti regolatori nazionali quando agiscono a livello internazionale e che proteggono gli interessi non solo statali ma anche dei cittadini e dei soggetti affetti dalla regolamentazione; in questo modo si crea un “diritto amministrativo globale” in cui i regolatori nazionali agiscono come soggetti partecipanti ad un regime internazionale piuttosto che come meri attori nazionali che utilizzano la cooperazione regolatoria al solo fine di massimizzare gli interessi statali.

Un altro modo di agire attraverso il diritto internazionale per assicurare la legittimità dell’azione regolatoria internazionale è di sviluppare dei principi generali che siano espressione di valori supremi a cui gli enti regolatori nazionali debbano sentirsi vincolati nel momento in cui decidono di cooperare con delle controparti straniere. Tre sono i principi fondamentali che potrebbero assicurare l’accountability  mediante la “costituzionalizzazione” dell’agire amministrativo a livello internazionale assicurandone poi l’effettiva messa in pratica: il principio della differenza legittima, il principio della “cortesia” positiva ed il principio del conflitto positivo.

Secondo il principio della differenza legittima i diversi regolatori che partecipano alla cooperazione regolatoria devono considerare le differenze nella regolamentazione come un’opportunità per governare meglio l’economia o la società, ciò nel senso che anziché rigettare una regolamentazione straniera differente devono cercare di applicarla anche nel loro Stato a meno che questa non sia contraria a norme costituzionali interne, il corollario è che questo principio sia rispettato da tutte le parti in gioco. Tale principio permette quindi la convergenza con il vantaggio di non coprire le divergenze in materia di valori fondamentali, valori che coinvolgono i diritti umani, le libertà o l’organizzazione dei principi di un sistema sociale, politico o economico assicurando così la rispondenza dell’agire amministrativo agli interessi dei cittadini.

Il principio della “cortesia” positiva è fondamentale nelle relazioni internazionali e viene definito precisamente nel caso americano Hilton vs. Guyot come “il riconoscimento che

una nazione permette sul suo territorio degli atti legislativi, esecutivi, o giudiziari di un’altra

nazione.” Si tratta di un principio di cooperazione positiva tra le agenzie governative di nazioni diverse, il punto è che cortesia attiva potrebbe funzionare solo nei casi in cui entrambi i governi coinvolti hanno un interesse in comune da perseguire. Ad esempio la nazione A sta contemplando un’azione regolatoria e la Nazione B ha un interesse significativo nell’attività in esame allora la nazione A ha il dovere di comunicare e consultarsi con l’agenzia di riferimento della nazione B. La Nazione A deve inoltre attendere una risposta dalla nazione B prima di decidere quale azione intraprendere, e deve notificare all’agenzia della nazione B di ogni decisione presa.

In questa versione mitigata la “cortesia” positiva facilita una maggiore comunicazione e lo scambio di informazioni tra i governi, attività che da una parte pongono le basi per relazioni più durature tra enti regolatori e dall’altra migliorano l’accountability in quanto si migliora la qualità delle regolamentazioni adottate.

L’ultimo principio che dovrebbe governare gli enti regolatori quando avviano dei meccanismi di cooperazione regolatoria è quello del “conflitto positivo”, termine di per sé ossimorico, indica la necessità per gli enti regolatori di considerare il conflitto come una possibilità da cogliere anziché da rifuggire; il conflitto in genere si crea quando due enti regolatori hanno visioni diverse sulle azioni da intraprendere oppure perseguono degli interessi opposti e che almeno apparentemente sembrano incompatibili. In tali casi il conflitto è solo la fase iniziale di un processo di cambiamento positivo nel senso che attraverso la cooperazione regolatoria si raggiungerà un risultato condiviso e proprio da quel confronto iniziale si genera una regolamentazione migliore in quanto gli enti regolatori saranno chiamati a tenere conto di prospettive diverse riguardanti un medesimo settore da regolamentare.

Questi approcci della dottrina al problema della carenza di accountability hanno sicuramente il pregio di proporre delle soluzioni che, se adottate in campo internazionale, saranno ugualmente applicabili a tutti gli attori in gioco ma la costruzione di un diritto amministrativo globale richiede un’ampia condivisione di opinioni riguardanti l’agire amministrativo e il bilanciamento tra potere esecutivo ed indipendenza degli enti regolatori per tale motivo la risposta più coerente ed anche di più immediata realizzazione a tale problema è l’utilizzo del diritto amministrativo nazionale mediante un suo adattamento alle sfide internazionali nel senso di garantire agli enti regolatori lo stesso livello di accountability di cui godono nell’ordinamento interno. Ovviamente affinché questo sia possibile il diritto amministrativo nazionale deve essere riformato e ci sono almeno quattro interventi che i legislatori possono effettuare per assicurare una maggiore accountability agli enti regolatori quando questi agiscono in campo internazionale: la previsione di regole procedurali applicabili ad ogni meccanismo di la cooperazione regolatoria, l’autorizzazione legislativa alle forme di cooperazione intraprese, l’imposizione di una supervisione interna dei risultati della cooperazione e la previsione di processi interni di adozione dei regolamenti.

La prima area di intervento sarebbe quella di predisporre nel diritto nazionale delle regole procedurali che garantiscano la trasparenza del processo di cooperazione regolatoria internazionale, la ragionevolezza delle decisioni prese, la partecipazione dei soggetti affetti dalla regolamentazione e l’effettiva revisione delle regole adottate ciò sicuramente garantirebbe l’accountability degli enti regolatori in quanto questi sarebbero in tale modo chiamati a rispondere del loro operato qualora agissero al di fuori del processo previsto. Ad esempio se il diritto nazionale di uno stato prevedesse la possibilità per i suoi enti regolatori di partecipare ai network intergovernativi solo quando questi prevedano dei meccanismi di trasparenza simili a quelli previsti dal diritto amministrativo interno (ad esempio solo se fosse previsto il meccanismo di “notice and comment”) allora lo Stato in questione intervenendo mediante una misura di diritto domestico starebbe costruendo delle buone pratiche regolatorie a livello internazionale infatti se la partecipazione di quegli enti regolatori fosse determinante per i risultati della cooperazione regolatoria allora sicuramente il meccanismo di “notice and comment” laddove non previsto sarebbe introdotto in riferimento a quel particolare network. Il diritto amministrativo nazionale prevedendo degli strumenti per assicurare l’accountability dei suoi enti regolatori agirebbe anche a livello internazionale promuovendo le previsione delle stesse procedure. Agendo in tal modo i legislatori potrebbero da una parte creare un effetto positivo di miglioramento anche delle procedure a livello internazionale dall’altra però il rischio è che ciò rallenti la cooperazione regolatoria o per mancanza di volontà di aderire a quelle procedure a livello internazionale o per visioni contrastanti sui requisiti del processo regolatorio ma in mancanza di un contesto in cui possa effettivamente svilupparsi il diritto amministrativo globale questa appare la soluzione preferita.

Il secondo modo di assicurare l’accountability sarebbe quello di prevedere l’autorizzazione legislativa dei singoli meccanismi di cooperazione regolatoria avviati a livello internazionale. La critica spesso avanzata alla cooperazione è che gli enti regolatori agiscono andando oltre lo scopo per cui sono stati istituiti nel diritto nazionale adottando delle decisioni al di là dei poteri conferiti. Per eliminare tali inconvenienti basterebbe che ogni decisione regolamentare adottata dagli enti nell’ambito della cooperazione regolatoria internazionale fosse preventivamente autorizzata dai rappresentanti politici che essendo eletti direttamente da coloro che sono affetti dalla regolamentazione, cioè dai cittadini, possono conoscerne le preferenze e rispondono del loro operato mediante il meccanismo del voto. Inoltre l’autorizzazione data di volta in volta potrebbe introdurre dei limiti al potere regolatorio garantendone la legittimità dell’operato. Il diritto amministrativo sarebbe però chiamato in tal caso a stabilire delle norme rigide per disciplinare l’autorizzazione parlamentare per evitare che questa da meccanismo di miglioramento dell’accountability si trasformasse in un modo per imbrigliare l’attività degli enti regolatori.

La terza soluzione che può prospettare il diritto amministrativo nazionale è quella di prevedere dei meccanismi di supervisione per vigilare l’operato degli enti regolatori nel campo internazionale. I meccanismi di vigilanza di solito coinvolgono i tre poteri statali: legislativo, esecutivo e giudiziario per assicurare che l’azione internazionale sia coerente con gli interessi nazionali dello Stato, del governo e del pubblico tenendo conto che ciò che potrebbe essere maggiormente adatto per uno Stato potrebbe non esserlo per un altro perciò è compito proprio del diritto amministrativo quello di assicurare il meccanismo di supervisione che sia più adeguato all’ordinamento giuridico interno.

La vigilanza legislativa è assicurata mediante il controllo da parte delle commissioni parlamentari dell’operato degli enti regolatori anche qui però si ripropongono i problemi dell’equilibrio tra indipendenza degli stessi e necessità di supervisione.

La vigilanza posta in essere dal potere esecutivo si sviluppa mediante una coordinazione interna tra l’attività degli enti regolatori e gli interessi governativi affinché i primi siano in grado, nelle sedi internazionali, di rappresentare la volontà della maggioranza dei cittadini a favore di cui agiscono.

La vigilanza avviata dalle corti è fondamentale per assicurare l’accountability dei regolatori infatti queste revisionano i regolamenti sia formalmente che sostanzialmente soprattutto per assicurare la loro corrispondenza ai principi di trasparenza e partecipazione. Il diritto amministrativo nazionale dovrebbe assicurare la possibilità di un tale scrutinio anche per i regolamenti assunti a livello globale.

Infine ultimo sistema sarebbe quello di prevedere dei meccanismi di trasparenza e partecipazione pubblica nel momento dell’esecuzione delle regolamentazioni adottate a livello internazionale. Qui l’accountability viene assicurata nella fase successiva alla cooperazione regolatoria internazionale nel senso che tale cooperazione è già avvenuta e si tratta di implementare le decisioni prese. In questo modo le priorità dei portatori di interessi nazionali, che sono stati in un primo momento ignorati, vengono prese in considerazione e vi è un adattamento di quei regolamenti alle necessità contingenti.

Preso atto dell’importanza che i meccanismi cooperazione regolatoria internazionale rivestono nella formazione del diritto nazionale la soluzione che appare più adeguata al problema della carenza di accountability degli enti regolatori è il combinarsi di strumenti di diritto internazionale con l’evoluzione del diritto amministrativo nazionale mediante l’adozione di strategie che assicurino la corrispondenza dell’azione amministrativa regolatoria ai bisogni e alle necessità della società civile.

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