di Beatrice Perinelli
17/03/2017
L’acronimo ISDS è utilizzato per indicare l’Investor-State Dispute Settlement, cioè il meccanismo di risoluzione delle controversie nate tra uno Stato ed un investitore estero. Tale meccanismo è, di solito, inserito nei trattati internazionali riguardanti gli investimenti e destinato ad indennizzare gli investitori stranieri se le politiche di governo del paese ospitante stanno causando un danno ingiustificato attraverso un’erosione ex post degli incentivi agli investimenti.
Il Partenariato Trans-Pacifico prevede nel capitolo 9 sezione B l’istituzione di un meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stato ed investitore straniero nel caso di misure regolamentari che siano discriminatorie nei confronti di quest’ultimo. Il TPP definisce l’investimento come «l’impegno di capitali o di altre risorse, l’aspettativa di guadagno o di profitto, o l’assunzione di rischio» e tale definizione è basata essenzialmente sul Modello americano BIT (bilateral investment treaty) del 2012 e, soprattutto, non limita le disposizioni previste in tale capitolo agli investimenti ammessi in accordo con le leggi nazionali degli Stati contraenti. Questo significa che qualsiasi investimento estero che rientri in tale definizione potrà essere sottoposto alla protezione accordata dal meccanismo ISDS previsto nel trattato.
Solitamente tale clausola ISDS viene utilizzata dalle multinazionali estere per combattere una politica regolatoria intrapresa in uno Stato contraria agli obblighi previsti nel capitolo sugli investimenti del Trattato.
Essenzialmente gli obblighi che sono stati assunti dagli Stati nei confronti degli investitori esteri sono:
– la non discriminazione rispetto agli investitori locali sia prima che dopo la costituzione o l’ammissione degli investimenti, ma con alcune eccezioni elencate;
– un giusto ed equo trattamento, legato alla evoluzione consueta degli standard di diritto internazionale;
– il riconoscimento di una indennità di esproprio diretto e indiretto.
Il TPP ribadisce il “diritto di regolamentare” delle parti firmatarie nel pubblico interesse nonché per proteggere la salute pubblica, la sicurezza, la stabilità finanziaria, e l’ambiente. Questo aspetto è di fondamentale importanza in quanto solitamente gli accordi di investimento garantiscono una serie di diritti e di protezioni a favore degli investitori senza che tali diritti siano controbilanciati dalla libertà dello Stato di decidere le proprie politiche regolatorie. Con tale previsione esplicita invece si assicura agli arbitri uno “sbocco” interpretativo per controbilanciare i diritti degli investitori e salvaguardare lo spazio regolatorio degli Stati.
Molto importante ed innovativa è la previsione di meccanismi di consultazione finalizzati ad evitare l’instaurarsi delle controversie. È lo stesso articolo 9.18 ad obbligare l’investitore prima di presentare una richiesta di arbitrato ad informare lo Stato della propria richiesta chiedendo una consultazione che dovrebbe concludersi con l’uso di procedure non vincolanti come la conciliazione o la mediazione.
Tali forme di risoluzione della controversie alternative all’arbitrato ISDS sono particolarmente conosciute ed utilizzate nella cultura giuridica del Giappone, parte firmataria del TPP. Gli investitori giapponesi, infatti, sono solitamente riluttanti all’instaurazione di controversie e tendono di solito a risolvere le dispute mediante accordi amichevoli con gli Stati interessati ed i loro rappresentanti e ciò richiede sicuramente degli sforzi da parte di tutti per trovare una soluzione comune. L’esempio giapponese dimostra come dovrebbe funzionare la cooperazione tra Stato ed investitore quando sorge una controversia e dovrebbe essere praticato dalle parti firmatarie al posto dell’istituzione dell’arbitrato ad hoc, anche se nella pratica tale soluzione appare più sbrigativa di un confronto con i funzionari degli Stati coinvolti.
Se, trascorsi sei mesi dalla prima richiesta di consultazione, non si arriva ad una soluzione, allora l’attore può fare richiesta all’altra parte di avviare un arbitrato dovendo però indicare in riferimento a quale convenzione avvia l’arbitrato, avendo una scelta tra: la convenzione ICSID, a condizione che sia il convenuto che l’attore siano parti della convenzione; il regolamento aggiuntivo facilitato ICSID, a condizione che o il convenuto o l’attore siano parte dell’ICSID; il regolamento UNCITRAL; qualsiasi altra istituzione arbitrale o altre norme di arbitrato, se il richiedente e resistente concordano.
Quindi il TPP favorisce l’utilizzo di regolamenti e procedure già esistenti e già ampliamente utilizzate a livello internazionale spronandone il miglioramento. Questo assicura che l’arbitrato internazionale sia più facile da applicare rispetto alle sentenze nazionali, che non sono in genere automaticamente esecutive in un’altra giurisdizione.
Per quanto riguarda la formazione del comitato di arbitri nulla di nuovo è previsto dal Partenariato Trans-Pacifico, in quanto questo è formato da tre arbitri nominati rispettivamente uno dall’attore, uno dal convenuto ed il terzo possibilmente d’accordo tra le parti.
Per garantire un processo più trasparente è stata inserita la possibilità per gli stakeholders di presentare delle osservazioni scritte chiamate “amicus curiae”, in merito alle questioni di fatto o di diritto che possono essere utili al tribunale per valutare la controversia. Questo istituto è di fondamentale importanza per due motivi: primariamente perché dà una definizione precisa di stakeholder, inteso come «una persona o un’entità che pur non essendo parte nel processo ha un interesse rilevante nell’arbitrato»; secondariamente perché ammettere la loro partecipazione all’arbitrato comporta il coinvolgimento della società civile, facendo sì che gli arbitri, nel momento della decisione, tengano conto non solo delle osservazioni delle parti, ma anche di ulteriori argomenti e prove inviate dai soggetti interessati. Aprire le porte del meccanismo ISDS ai portatori di interessi significa poter mettere in luce anche degli interessi pubblici e collettivi magari contrapposti a quelli privati protetti dagli investitori esteri.
Il TPP non stabilisce un meccanismo di revisione delle decisioni per correggere gli errori di diritto: c’è solo un impegno a prendere in considerazione una procedura d’appello dopo l’entrata in vigore del trattato. I termini utilizzati dall’articolo sono molto flessibili lasciando alla volontà delle Parti di stabilire tale meccanismo mediante futuri accordi che assicurino comunque la trasparenza.
Una previsione che ha scatenato molte polemiche da parte della scienza giuridica è quella contenuta nell’articolo 9.25.3 che prevede che: «la decisione della Commissione sulla interpretazione delle disposizioni di questo Trattato ai sensi dell’articolo 27.2.2(f) (funzioni della commissione) dovrà essere vincolante per il tribunale, e ogni decisione o premio stabilito dal tribunale deve essere coerente con tale decisione». La Commissione a cui si fa riferimento è la “Commissione del Partenariato Trans-Pacifico” composta dai rappresentanti dei governi al livello di Ministri o Ufficiali superiori, che avrà quindi la possibilità di emettere un’interpretazione autentica e vincolante delle norme del Trattato. Un potere di tale genere dà diritto ai governi statali di modificare il Trattato dopo la ratifica, mediante un’interpretazione autorevole che potrebbe trasformare il senso degli obblighi in esso previsti soprattutto qualora le parole utilizzate siano flessibili e non senza dei contenuti precisi. Sicuramente la lunghezza e la complessità delle materie disciplinate nel trattato richiede chiarimenti ed adattamenti alle circostanze impreviste, ma lasciare una tale autorità ad una Commissione formata da organi esecutivi potrebbe risultare non democratico e la mancanza di meccanismi di supervisione sull’operato della Commissione è preoccupante.
Nonostante il TPP preveda degli strumenti che assicurano una certa trasparenza nel processo decisionale degli arbitri e una maggiore partecipazione anche di coloro che non sono parti in causa, ma che hanno degli interessi in essa, e nonostante il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti abbia affermato che il meccanismo di risoluzione delle controversie Stato-Investitore rappresenti una «piattaforma giusta e neutrale», il problema potrebbe continuare ad essere la profonda diversità culturale, economica, politica e legale dei paesi contraenti.
Tra l’altro il Partenariato Trans-Pacifico ha previsto la possibilità delle parti di escludere l’applicazione del meccanismo di risoluzione delle controversie Stato-investitore per le misure riguardanti il controllo dell’industria di tabacco per capirne i motivi va tenuto presente il contesto storico e legale dei paesi firmatari. La maggior parte dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione quadro sul Controllo del Tabacco promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità stanno stipulando una serie di Trattati di libero scambio che, da una parte, liberalizzano il mercato abolendo le barriere tariffarie e doganali, ma, dall’altra richiedono un ripensamento delle politiche di controllo del mercato del tabacco perché strettamente correlato alla protezione della salute umana. La sesta conferenza delle parti firmatarie della Convenzione quadro sul Controllo del Tabacco(COP 6), tenutasi a ottobre 2015, ha adottato una decisione con cui si incoraggiano gli Stati a cooperare per esplorare le possibili opzioni legali per ridurre al minimo il rischio che l’industria del tabacco utilizzi i trattati di libero scambio per contrastare le misure di controllo riguardanti il tabacco.
Dopo tale decisione i dodici Paesi firmatari del TPP, che hanno tutti sottoscritto la Convenzione quadro sul Controllo del Tabacco ad eccezione degli Stati Uniti, hanno affrontato in particolare la crescente preoccupazione delle controversie presentate dagli investitori del tabacco.
Una delle industrie di tabacco più accanita e più esperta nell’utilizzo delle controversie Stato-investitore per opporsi alla regolamentazione del mercato da parte degli Stati è sicuramente la Philip Morris.
Tale multinazionale nel 2011 ha avviato un arbitrato ISDS contro l’Australia che avrebbe acquisito o espropriato i diritti dei produttori di tabacco in qualità di detentori della proprietà intellettuale (in particolare dei marchi) avendo inibito l’uso di colori, loghi, testo o grafica non standardizzati sui pacchetti di sigarette. In particolare tale misura regolamentare è stata adottata dall’Australia, ma anche da altri Paesi, a seguito della scoperta relazione tra l’utilizzo di determinate sigarette e il loro aspetto estetico: dei pacchetti vengono comprati più di altri semplicemente perché sono percepiti dal pubblico come più alla moda oppure perché l’uso di determinati colori inganna i fumatori facendo credere che determinati tabacchi siano più salutari di altri.
La controversia si è conclusa nel luglio del 2016 con il tribunale internazionale (UNCITRAL) che ha dato ragione all’Australia rigettando l’impugnazione della Philip Morris. Infatti è stato sostenuto che il reclamo fosse un abuso di diritto in quanto Philip Morris aveva acquisito una sede sussidiaria in Australia all’unico scopo di iniziare l’arbitrato sotto l’Accordo Bilaterale con Hong-Kong e ha riconosciuto a favore dell’Australia il rimborso delle spese legali.
Le clausole ISDS rappresentano quindi una possibilità non solo per le industrie ma anche per gli Stati di poter proteggere gli interessi pubblici attraverso gli arbitrati internazionali a differenza di ciò che sostiene la maggior parte della scienza giuridica. Per tale motivo va guardata con positività la scelta presa in sede di negoziati del TPP di lasciare la decisione alle parti se escludere o meno l’arbitrato ISDS nel caso vengano impugnate le misure di controllo del tabacco. Infatti un governo, strategicamente, potrebbe anche avvantaggiarsi agli occhi dell’opinione pubblica nel caso in cui una misura regolatoria impugnata davanti ad un arbitro internazionale fosse da questo appoggiata.
Non va dimenticato che la possibilità per le parti private, quali in questo caso gli investitori esteri, di poter avanzare delle controversie internazionali contro uno Stato per impugnare un regolamento o degli standard che non soddisfano i loro interessi diventa una specie di spada di Damocle sulla testa delle autorità nazionali di regolamentazione. Queste infatti tenderanno sempre di più ad evitare di regolamentare un settore in cui sanno che poi vi sarà una disputa che come quelle ISDS comporta degli ingenti costi.
È stato proprio questo il motivo per cui da parte di alcuni Stati firmatari del TPP, tra cui spiccano l’Australia, la Nuova Zelanda e la Malesia si è spinto per escludere la possibilità delle industrie di tabacco di utilizzare il meccanismo ISDS.