23 settembre 2024
A cura di Riccardo Zinnai
Con l’ordinanza del presidente del Tribunale UE del 12 agosto 2024 si è avuta la prima pronuncia giurisdizionale concernente il Regolamento sulle sovvenzioni estere distorsive del mercato interno. L’ordinanza si inserisce all’interno della causa T-284/24 coinvolgente come parti attrici le società Nuctech Warsaw Company Limited e Nuctech Netherlands e come convenuta la Commissione europea. Nella causa principale, le parti attrici hanno richiesto l’annullamento della decisione della Commissione del 16/04/2024 con la quale sono state ordinate delle ispezioni effettivamente svoltesi tra il 23 e il 26 aprile. È da notare che il ricorso proposto il 29 maggio è stato successive a delle previe dichiarazioni con le quali le società avevano contrariamente annunciato di voler collaborare con la Commissione. L’ordinanza in questione si riferisce più precisamente al procedimento cautelare nel quale si è richiesta la sospensione della decisione oggetto del procedimento principale e di tutti gli atti o richieste conseguenti.
Si noti che le società in questione operano nel settore dei sistemi di individuazione delle minacce e risultano essere società controllate da società cinesi. La causa verte anche sulla richiesta da parte della Commissione europea di avere accesso al contenuto delle caselle di posta elettronica di un certo numero di impiegati che è però conservato all’interno di server situati nella Repubblica popolare cinese.
Il presidente del Tribunale ha innanzitutto ricordato che i ricorsi proposti innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea non hanno automaticamente un effetto sospensivo, ex art. 278 TFUE. La sospensione dell’atto impugnato può essere concessa solo qualora ricorrano congiuntamente le due condizioni relative alla presenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.
Nell’ordinanza si è ricordato che il fumus boni iuris richiede che le domande giudiziali non appaiano a prima vista infondate. Esso è da ritenersi presente anche nel caso in cui almeno uno dei motivi di diritto alla base del ricorso sollevi questioni giuridiche complesse la cui risoluzione non può avvenire in sede cautelare. Parimenti, il fumus boni iuris sussiste anche qualora dalla discussione tra le parti emerga un disaccordo su questioni giuridiche importanti senza che sia possibile ravvisare una soluzione ovvia.
Le richieste delle società si basano su cinque motivi di ricorso. Con il primo motivo, è stata invocata la contrarietà della decisione rispetto al diritto internazionale pubblico e al diritto europeo. Ciò in quanto la Commissione ha richiesto informazioni situate fuori dal territorio dell’Unione. Come secondo motivo, le società hanno evidenziato che adempiere alle richieste della Commissione comporterebbe il rischio di violare il diritto cinese, incluse le norme penali. Con il terzo motivo di ricorso si è dedotto il mancato rispetto dell’inviolabilità dei locali commerciali e del diritto alla riservatezza previsto dall’articolo 7 CDFUE. Come quarto motivo le società hanno allegato l’arbitrarietà dell’ispezione in quanto a loro dire mancavano sufficienti indizi tali da indurre a sospettare la presenza di sovvenzioni estere distorsive del mercato interno. Nel quinto motivo di ricorso le società hanno affermato che non è stato rispettato l’obbligo di motivazione e il loro diritto di difesa.
Poiché gli ultimi tre motivi di ricorso sono stati espressi in maniera eccessivamente sintetica essendo stati presentati come mere affermazioni apoditticamente enucleate in un singolo periodo ciascuna, sono stati giudicati inammissibili.
In relazione al primo motivo di ricorso, il Tribunale ha ricordato che le ispezioni nelle sedi di un’impresa situate all’interno del territorio dell’Unione sono legittime anche qualora l’impresa sia registrata in un paese terzo. Infatti, tale approccio è stato già affermato nel settore del diritto della concorrenza e può analogicamente applicarsi al controllo sulle sovvenzioni estere. La giurisdizione della Commissione per essere giustificata nel diritto internazionale richiede semplicemente che la pratica produca “effetti qualificati” (ovverosia «sostanziali, prevedibili e immediati») nell’Unione o che sia stata implementata all’interno del territorio europeo. Il Tribunale si è pertanto rifatto al precedente espresso nella causa T-286/09 Intel Corp. contro Commissione europea e nel successivo giudizio di impugnazione C-413/14 P. Se così non fosse, sarebbe possibile per le imprese eludere le norme del diritto dell’Unione.
Il Tribunale ha anche stabilito che le parti attrici non hanno dimostrato che sia per loro impossibile accedere alle informazioni richieste dalla Commissione anche se situate all’interno di server cinesi. Inoltre, non hanno esplicitato perché il diritto cinese sarebbe rilevante per le società controllate aventi sede nell’Unione.
Anche per quanto riguarda il rischio di violare il diritto penale cinese, le società non hanno dimostrato che tali norme si applichino alle informazioni richieste né di aver infruttuosamente tentato di ottenere le necessarie autorizzazioni dal governo cinese. Le società non hanno nemmeno suggerito modalità di comunicazione delle informazioni compatibili col diritto cinese.
Inoltre, il Tribunale UE deve giudicare la legittimità della decisione adottata rispetto al diritto dell’Unione europea, non certo rispetto al diritto cinese. Le violazioni del diritto internazionale pubblico sarebbero invece rilevanti ma non sono state dimostrate adeguatamente in questa fase cautelare.
Il Tribunale ha poi considerato il requisito del periculum in mora che, secondo le ricorrenti, consisterebbe in un danno reputazionale con conseguenti danni patrimoniali. Inoltre, il rischio della violazione delle norme penali della Cina è stato prospettato anche rispetto a questo secondo requisito.
Rispetto al danno reputazionale, la Commissione ha ricordato che essa non aveva reso pubblici i nominativi delle imprese soggette all’ispezione. Sono state invece le dichiarazioni rese alla stampa dalla Camera di commercio cinese presso l’UE e dalle società stesse ad aver generato la possibilità di un danno reputazionale. In tal caso, il danno si sarebbe già verificato di modo che una misura cautelare non risulterebbe utile. Inoltre, potrebbe comunque essere riparato dalla sentenza definitiva. Infatti, i danni aventi una natura patrimoniale sono generalmente da considerarsi, a meno di situazioni eccezionali, come non irreparabili in quando possono essere risarciti successivamente. In ogni caso, le parti non hanno dimostrato l’irreparabilità del danno.
Il Tribunale ha anche valutato il rischio di un danno irreparabile derivante dalla violazione del diritto cinese. Ha osservato che l’obbligo di pagare delle sanzioni amministrative pecuniarie non costituisce un danno irreparabile poiché ha una natura patrimoniale.
Si è poi passato all’esame delle norme penali cinesi concernenti la violazione della disciplina sui segreti di Stato. Innanzitutto, le parti non hanno dimostrato che le informazioni richieste dalla Commissione siano qualificabili come segreti di Stato. In secondo luogo, tali norme diventano applicabili qualora i segreti siano stati rivelati senza aver ricevuto la prescritta autorizzazione. Tuttavia, le società ricorrenti non hanno dimostrato di aver almeno tentato di ottenere tale autorizzazione.
Il Tribunale, anche tenendo conto dell’interesse della Commissione a vigilare sulla concorrenza in modo da evitare distorsioni nel mercato interno, non ha quindi concesso le misure cautelari.
Questo caso, sebbene relativo alla fase cautelare, permette di evidenziare alcune questioni relative al regolamento FSR.
In primo luogo, l’organo giudiziario dell’Unione europea ha evidenziato come la c.d. “dottrina degli effetti” sia applicabile non solo alla concorrenza ma anche al controllo sulle sovvenzioni estere. Gli effetti prodotti all’interno dell’Unione giustificano un’applicazione delle norme europee anche a condotte che si svolgono in paesi terzi e quindi un’applicazione normativa che ha un carattere di extra-territorialità. Si noti però che tale dottrina di origine statunitense si è via via diffusa in vari Paesi.
In secondo luogo, emerge come le imprese possano trovarsi a sottostare a regole di diversi ordinamenti tra loro contrastanti. In dottrina si è suggerito che gli Stati potrebbero evitare questa situazione basandosi sulla cortesia internazionale. Tuttavia, le tendenze neoprotezioniste vanno via via affermandosi sempre di più. Anzi, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell ha riconosciuto come una guerra commerciale con la Cina possa essere inevitabile sebbene indesiderata.
In terzo luogo, questo caso ha evidenziato come l’insussistenza dei requisiti per l’avvio di un’indagine nel campo delle sovvenzioni estere possa essere un’argomentazione invocata dalle parti per opporsi ai poteri ispettivi in capo alla Commissione europea.