EMMA MUSCO
18/05/2018
Sono già state notificate a imprese ed esercenti arti e professioni le prime cartelle di pagamento che chiedono la restituzione dei tributi sospesi e dai quali, erano stati esentati nell’emergenza post-scosse. Ad esigerlo è lo Stato sotto la pressione della Commissione Europea che ha aperto una procedura di infrazione. Per i comuni che si trovano all’interno del cratere del sisma del 2009 è un vero “terremoto fiscale”.
Oggetto della disputa sono parte delle tasse sospese o abbuonate dal DL 28 aprile 2009, n. 39, il meglio noto Decreto Abruzzo, per aiutare imprese e terremotati: per l’UE si tratta di aiuti di Stato erogati in maniera illegittima e pertanto l’Italia dovrà procedere in via immediata al recupero delle somme. Ma nel mirino della Commissione ci sono anche una serie di leggi che l’Italia ha promulgato in relazioni a calamità naturali verificatesi tra il 1990 e il 2009 (quali ad esempio l’alluvione del 1994 in Italia settentrionale, il terremoto e le eruzioni dell’Etna del 2002, il terremoto in Molise e in Puglia dello stesso anno) nessuna delle quali è stata notificata alla Commissione prima dell’attuazione.
Ma perché e su quali basi giuridiche l’Ue può imporre all’Italia il recupero delle somme in questione?
Per capire le ragioni dell’Unione Europea bisogna fare qualche passo indietro. Nel 2011, in seguito a una richiesta di un giudice italiano, la Commissione è venuta a conoscenza di queste misure. Di conseguenza, essa ha avviato un’indagine approfondita nell’ottobre 2012 per valutare se tali provvedimenti fossero in linea con le norme dell’UE in materia di aiuti di Stato, in particolare con gli artt. 107 e 108 del TFUE.
L’articolo 107.1 del TFUEstatuisce, sostanzialmente, che gli aiuti di Stato sono vietati perché, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsano o comunque minacciano di falsare la concorrenza. Ciononostante, la disposizione in esame, prevede delle eccezioni ed in particolare quella di cui alla lett. b), secondo la quale sono compatibili con il mercato interno“gli aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali”. Negli ultimi vent’anni si è giunti a una definizione più chiara di questa eccezione grazie alla giurisprudenza delle Corti in materia. La prassi costante della Commissione e della giurisprudenza comunitaria è quella di dare un’interpretazione restrittiva delle nozioni di «calamità naturale» e di «evento eccezionale». Si sottopone, dunque, la compatibilità degli aiuti a determinate condizioni: nesso di causalità diretta tra il danno per il quale viene concesso l’aiuto e il fenomeno calamitoso stesso, proporzionalità tra l’entità del danno e l’aiuto concesso, necessità che l’aiuto si limiti a compensare esclusivamente il danno provocato dalla calamità naturale (evitando il rischio di sovra compensazioni), tempestività nella richiesta.
Dall’indagine della Commissione è emerso che le misure adottate in Italia non erano ben orientate allo scopo di indennizzare i danni arrecati alle imprese a seguito di calamità naturali perché non obbligavano queste ultime a dimostrare di avere subito dannie a provare l’importo degli stessi.Ciò significa che l’importo dell’aiuto non era commisurato al valore effettivo del danno. Conseguentemente, alcune imprese hanno ottenuto un indennizzo senza aver subito alcun danno, mentre altre hanno beneficiato di una sovracompensazione. Ciò, secondo la Commissione, conferisce a tali imprese un indebito vantaggio economico rispetto alla concorrenza – che deve invece operare senza tale finanziamento pubblico – ed equivale a un aiuto di Stato incompatibile ai sensi delle norme UE e, in quanto tale, deve essere recuperato. Ma, nel caso di specie, per calamità naturali verificatesi oltre dieci anni fa (ossia, tutte le catastrofi tranne ilterremoto del 2009 in Abruzzo), la Commissione non impone il recupero dell’aiuto dalle imprese che esercitavano un’attività economica nelle zone disastrate. Ciò è dovuto al fatto che in Italia le imprese non hanno l’obbligo di tenere documentazione contabile per più di dieci anni, il che rende impossibile quantificare la sovracompensazione che un’impresa con attività economica nella zona interessata avrebbe percepito ai tempi. Ciò significa che, a norma della decisione della Commissione, le autorità italiane sono tenute a recuperare gli aiuti di Stato incompatibili solamente nei casi in cui i beneficiari non possono aver subito alcun danno perché non avevano alcuna attività economica in zona. Per la misura più recente relativa al terremoto del 2009 in Abruzzo, le autorità italiane devono invece recuperare anche l’importo della sovracompensazione ottenuta dalle imprese. Infine, in entrambi i casi, il recupero è necessario soltanto se l’importo degli aiuti di Stato incompatibili ricevuti dall’impresa è sufficientemente elevato da essere in grado di falsare la concorrenza, e se non è oggetto di un’altra misura di aiuto di Stato approvata o esente.
L’art. 108.3 del TFUE inoltre, sancisce l’obbligo di notifica alla Commissione prima di mettere in atto il regime di aiuti, e attendere l’autorizzazione. La Commissione, nell’ambito di applicazione dell’articolo 107.2.b, deve riconoscere il carattere di calamità naturale e la sussistenza delle condizioni prima esaminate. Dal momento che il regime di aiuti in questione non è stato opportunamente notificato dall’Italia, ed è entrato in vigore senza che la Commissione lo autorizzasse mediante decisione, le misure sono state registrate nel protocollo aiuti di Stato della Commissione come aiuti non notificati (SA.33083, 2012/NN).
L’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 659/1999 stabilisce che “nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali, la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di prendere tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario”. Tuttavia, il regolamento stabilisce dei limiti alle disposizioni di recupero. Ai sensi della medesima disposizione “la Commissione non impone il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario”, come ad esempio la tutela della certezza giuridica o il legittimo affidamento. Tali eccezioni sono state sollevate dalle parti interessate e dalle autorità italiane, ma per la Commissione non sembrano esserci gli estremi per accoglierle. Per quanto concerne il legittimo affidamento, la Commissione ricorda che, in via di principio, “il beneficiario di un aiuto non notificato non può opporsi a un ordine di recupero facendo legittimo affidamento sulla regolarità di un aiuto, poiché un’impresa diligente deve normalmente essere in grado di accertarsi che un aiuto sia stato notificato”.E questo è stato spesso sottolineato dalla CGUE nei casi simili ad essa sottoposti. In merito al periodo di prescrizione di dieci anni, la Commissione ha sottolineato che per nessuna delle misure di riduzione oggetto della decisione, il recupero dell’aiuto è caduto in prescrizione perché qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro (che agisca su richiesta della Commissione), nei confronti dell’aiuto illegale, interrompe il termine della prescrizione, ripartendo da zero (la Commissione è stata informata dell’esistenza delle misure in esame nel 2011 e ha adottato la decisione di avvio del procedimento d’indagine formale il 17 ottobre 2012).
Dunque, nonostante i vari tentativi delle parti coinvolte di ovviare a questo drastico recupero a carico degli imprenditori, la decisione appare chiara: l’Italia è tenuta a recuperare immediatamente le (sole) somme considerate dalla Commissione aiuti di Stato illegali. Nei confronti dell’Italia è stata aperta una procedura di infrazione e, per evitare le pesanti sanzioni dell’Europa, le imposte sospese dovranno essere recuperate entro 30 giorni. Per questo il governo ha nominato un Commissario straordinario per il recupero ed è già iniziato l’iter relativo.
A seguito dell’emissione delle prime cartelle di pagamento, le associazioni di categoria, aziende pubbliche e private hanno proposto ricorso al TAR dell’Aquila per chiedere l’annullamento – previa adozione di idonee misure cautelari, nonché previo rinvio pregiudiziale di validità alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai fini dell’accertamento della invalidità e conseguente annullamento della decisione della Commissione (C/2015 n. 5549 del 14 agosto 2015)- del D.P.C.M. avente ad oggetto la nomina del commissario straordinario per il recupero, dalle imprese e partita IVA, degli aiuti di Statoe delle note attuative riguardanti l’avvio del procedimento per il recupero degli stessi, dichiarati incompatibili con il mercato interno dalla suddetta decisione. I giudici amministrativi si sono espressi solo sulla domanda cautelare rigettandola con ordinanza, in quanto, secondo i giudici, i procedimenti per il recupero di detti aiuti dichiarati illegittimi non si sono ancora conclusi, per cui non appare sussistere ad oggi, un pregiudizio grave e irreparabile anche perché il termine concesso alle società interessare dalla relativa procedura di recupero, è stato prorogato a 120 giorni da un DPCM, e pertanto, l’eventuale mancato rispetto dell’originario termine di 30 giorni non potrebbe comportare l’applicazione di alcuna sanzione decadenziale.
L’udienza di merito è stata fissata per il prossimo 6 giugno.