08/05/2023
A cura di Giulia Moscaroli
La Sezione Quarta del Consiglio di Stato, con sentenza del 21 marzo 2023, n. 2836, si è pronunciata sul ricorso proposto da una società agricola per la riforma della sentenza del TAR Abruzzo, Sez. I, del 19 ottobre 2020, n. 365.
La vicenda prendeva le mosse dalla presentazione al comune di Capestrano, da parte della società agricola, di diversi progetti finalizzati alla realizzazione di una struttura di produzione e trasformazione vitivinicola. Nel 2019, tuttavia, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di L’Aquila e Teramo esprimeva parere definitivo negativo al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, cui seguiva il diniego del Comune al rilascio del permesso di costruire la cantina vitivinicola.
La società impugnava quindi i provvedimenti di diniego dinanzi al TAR Abruzzo, lamentandone in particolare il difetto di motivazione e di istruttoria. Il TAR respingeva, tuttavia, il ricorso.
Avverso la pronuncia del giudice di prime cure, la società agricola proponeva appello di fronte al Consiglio di Stato, denunciando nuovamente la carenza istruttoria insita nel parere negativo espresso dalla Soprintendenza e il difetto di motivazione per illegittima omessa indicazione degli effetti nocivi che la cantina avrebbe prodotto sul paesaggio.
I giudici di Palazzo Spada, nella pronuncia oggetto di analisi, condividono il tradizionale orientamento giurisprudenziale in materia di autorizzazione paesaggistica. Come noto, l’art. 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio) stabilisce che sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la Regione, dopo aver acquisito il parere vincolante del Soprintendente. L’esercizio di tale potere può essere delegato, come di prassi avviene, a Province e a Comuni per i rispettivi territori, così dando attuazione al principio di sussidiarietà verticale di cui all’art. 118 Cost.
Il parere di compatibilità paesaggistica costituisce pertanto un atto endoprocedimentale emanato nell’ambito della sequenza di atti preordinata al rilascio del provvedimento di autorizzazione paesaggistica. Le valutazioni in esso espresse mirano infatti all’apprezzamento dei profili di tutela paesaggistica, destinati a confluire, all’esito del procedimento, nel provvedimento di concessione o di diniego dell’autorizzazione paesaggistica.
Il parere della Soprintendenza, autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, ha peraltro valore vincolante e assume quindi una connotazione non soltanto di carattere consultivo, ma tale da possedere un’autonoma capacità lesiva della sfera giuridica del richiedente, che la rende impugnabile ex se in sede giurisdizionale (cfr. TAR Puglia-Lecce, Sez. I, 3 dicembre 2010, n. 2784).
Secondo consolidata giurisprudenza, la Soprintendenza, nel rilascio del parere di compatibilità paesaggistica, effettua delle valutazioni di fatti complessi, esercitando una forma di c.d. discrezionalità tecnica, a fronte della quale il giudice, sia pur all’esito di un controllo intrinseco (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 maggio 2021, n. 3809), può solo considerare se la decisione amministrativa rientri o meno nella gamma di risposte scientificamente plausibili e convincenti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167).
Pertanto, il giudice, salvo che l’interessato non sia in grado di mettere in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica della decisione amministrativa, dovrà dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente competente in materia.
Le amministrazioni, nell’esercizio dei propri poteri decisionali, si trovano spesso di fronte alla necessità di effettuare un difficile bilanciamento tra i beni ambientali e paesaggistici e i contrastanti interessi di natura perlopiù economica. Infatti, nel nostro ordinamento si può constatare l’assenza, ribadita anche dalla Corte Costituzionale con sentenza del 9 maggio 2013, n. 85, della primazia assoluta di alcuni diritti – c.d. tiranni – rispetto ad altri interessi costituzionalmente garantiti. Da ciò discende la necessità della tutela sistemica dei diversi interessi, i quali si pongono in rapporto di reciproca integrazione.
Il Consiglio di Stato evidenzia, d’altro canto, che la novella dell’art. 9 della Costituzione, ad opera della legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, depone nel senso di una maggiore tutela dei valori ambientali e paesaggistici, in un’ottica di solidarietà intergenerazionale e di sviluppo sostenibile. Di conseguenza, le diverse disposizioni che regolano i procedimenti in materia di ambiente e di paesaggio devono essere interpretate nel senso di conseguire una pregnante protezione di tali valori.
In questo senso si orienta anche la giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2136, punti 2.5, 2.6) che ritiene non possa escludersi in radice la possibilità, per la Soprintendenza, di rendere un parere in ordine alla compatibilità di un progetto con la tutela del paesaggio, anche ove sia inutilmente decorso il termine ordinario di quarantacinque giorni stabilito dall’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Pur sottolineando la natura perentoria di tale termine, si ammette la possibilità per la Soprintendenza di rendere tardivamente il parere nell’ambito della conferenza di servizi indetta dall’amministrazione competente (art. 146, co. 9). Tale parere avrà tuttavia natura non vincolante e dovrà essere autonomamente e motivatamente preso in considerazione dall’amministrazione preposta al rilascio dell’autorizzazione finale. Questa opzione ermeneutica pare senz’altro finalizzata a una tutela effettiva dei beni ambientali, sempre garantendo comunque un equilibrio con l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici.
Il Collegio giudicante sottolinea inoltre che la Soprintendenza, nell’ambito nel procedimento in cui analizza la compatibilità paesaggistica, può formulare delle valutazioni di merito, di cui dovrà tener conto l’autorità competente a emanare il provvedimento finale.
Infatti, con l’entrata in vigore il 1° gennaio 2010 del menzionato art. 146, la Soprintendenza esercita non più un sindacato di legittimità ex post (previsto nel regime transitorio fino al 31 dicembre 2009) sull’autorizzazione già rilasciata dalla Regione o dall’ente delegato, ma un potere che consente di effettuare anche delle valutazioni ex ante nel merito. Tale quadro normativo consente, quindi, una penetrante valutazione della Soprintendenza sulla compatibilità degli interventi edilizi con i valori paesaggistici già in sede endoprocedimentale.
Trattandosi di una valutazione che attiene al merito amministrativo, i poteri sindacatori attribuiti al giudice amministrativo sono di mera legittimità, con la conseguenza che il parere di compatibilità paesaggistica può essere censurato solo ove la decisione amministrativa sia incoerente, irragionevole o frutto di errore tecnico.
Pertanto, il Consiglio di Stato ritiene inammissibili le censure mosse dalla società appellante che attengono al merito delle valutazioni ampiamente discrezionali di un’autorità deputata alla tutela del paesaggio. Al contempo, reputa infondate le doglianze relative al difetto di istruttoria e di motivazione. Per i motivi summenzionati il Collegio giudicante respinge l’appello e conferma la pronuncia del TAR Abruzzo. Con la pronuncia analizzata, il Consiglio di Stato ribadisce e ripercorrere la precedente giurisprudenza amministrativa in materia di autorizzazione paesaggistica, in particolare aderendo all’orientamento attento a limitare il sindacato del giudice amministrativo ove vengano in rilievo delle valutazioni che concernono il merito amministrativo. Prevale, infatti, in giurisprudenza la tesi del c.d. controllo non sostituivo, il quale pare l’unico conforme al principio di separazione dei poteri che costituisce la base del nostro ordinamento costituzionale.