6 novembre 2024
A cura di Cristiana Traetta
Il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo c.d. correttivo al Codice dei Contratti Pubblici, in occasione della riunione del 21 ottobre 2024. La sua predisposizione è stata preceduta dall’apertura di tavoli e da un’articolata consultazione del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (MIT) con 94 stakeholders, di cui 77 operatori privati e 17 soggetti pubblici, con 630 contributi presentati.
Il provvedimento è stato adottato in attuazione dell’art. 1, comma 4, della legge delega n. 78 del 2022, il quale prevedeva la possibilità – entro due anni dalla data di entrata in vigore del Codice – di apportare mediante decreto legislativo “le correzioni e integrazioni che l’applicazione pratica renda necessarie od opportune”. Allo stato e stando al Comunicato reso noto attraverso il Sito del MIT e della Presidenza del Consiglio, si introducono numerose modifiche sparse, che avrebbero ad oggetto dieci macro-temi principali: dall’equo compenso, alla revisione dei prezzi, agli incentivi ai RUP, all’accesso al credito delle imprese, al Collegio Consultivo Tecnico (CCT).
Tra gli 89 articoli di cui si compone il correttivo, gli articoli 18, 36, 37, 39 e 40 ridefiniscono alcuni aspetti della fase esecutiva, legate al profilo del risultato- prestazione.
Il perseguimento del risultato, inteso quale scopo del contratto, è alla base delle prescrizioni del bando e degli atti di gara, nell’ottica delle quali avviene la stessa aggiudicazione in favore di una determinata offerta. Tuttavia, eventi sopravvenuti e talvolta imprevedibili possono ostacolare o rendere più oneroso l’adempimento della prestazione per come originariamente delineata, rendendo necessario addivenire ad alcune modifiche, in modo tale che non siano vanificate le ragioni alla base dell’indizione della gara e siano soddisfatte le relative esigenze.
Orbene, anche nella fase successiva a quella della selezione del contraente occorre rispettare il principio di concorrenza e il corollario della par condicio, con la conseguente limitazione delle possibilità di rinegoziare l’assetto definito del contratto: ogni modifica che intervenga su questo incide sugli interessi legittimi dei soggetti che alla procedura avevano partecipato in base alle condizioni inizialmente stabilite. Il previo svolgimento della procedura va debitamente considerato nella rimodulazione del contratto, in quanto l’affidatario stesso è stato scelto sulla base di quelle prescrizioni originarie sulle quali si ha esigenze di intervenire.
L’articolo 120 d. lgs. 36/2023 individua ex lege le condizioni che possono legittimare una modifica delle condizioni contrattuali inizialmente pattuite, senza che la mancata indizione di una nuova gara integri una violazione dei principi in materia di concorrenza, per com’anche sanciti dal diritto europeo (art. 72 Dir. 2014/24/UE e 89 Dir. 2014/25/UE). Non a caso uno dei criteri alla luce
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del quale valutare una modifica come sostanziale, e dunque inammissibile, è sancita dall’attuale comma 5 che descrive quale sostanziale quella revisione che “introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero consentito di ammettere candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o di accettare un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione”.
La disciplina si connota per la ricerca di un equilibrio fra interessi contrastanti: da un lato quello della stazione appaltante alla rapida esecuzione del contratto e al conseguimento del risultato che il concorrente si è impegnato a realizzare con l’offerta, senza dover ripetere gli atti di gara; dall’altro, l’interesse degli operatori economici non vincitori, a che le modifiche contrattuali non siano tali da stravolgere le condizioni sulla base delle quali essi hanno predisposto e formulato le relative offerte. In altre parole, le modifiche non devono incidere sul contratto in maniera tale da stravolgere l’oggetto sul quale si è giocata la competizione fra gli operatori economici. Allo stesso tempo si devono ormai tentare di arginare gli ostacoli e blocchi in cui non di rado incorrono le imprese nella fase esecutiva, perché il compimento dell’opera per la collettività di riferimento resta ineludibile, secondo il principio del risultato.
Su questa scia il T.A.R. Abruzzo L’Aquila, Sez. I, Sent., 24 luglio 2024, n. 345 ha ritenuto che il principio di immodificabilità del contratto pubblico successivamente alla sua aggiudicazione “non ha una portata assoluta, ma ammette delle deroghe, sempre che siano rispettati i principi di parità di trattamento degli operatori economici e di trasparenza” (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sezione VIII, sentenza 7 settembre 2016, causa 594-14; parere 13 aprile 2010, causa 91-08). Ha qualificato poi il ricorso alla fattispecie di modifica del contratto in corso di esecuzione, di cui all’articolo 120, commi 1, lettera b), e 2, del d.lgs. n. 36/2023 “in luogo della scelta di indire una nuova procedura per l’affidamento delle medesime forniture, coerente con il principio del risultato di cui all’articolo”. Nel caso menzionato la scelta discrezionale dell’amministrazione è adottata con l’intento “di assicurare, senza soluzione di continuità, l’approvvigionamento tempestivo dei presidi e delle attrezzature necessarie a garantire senza ritardo l’espletamento delle attività chirurgiche e prestazionali per oftalmologia” a garanzia dei livelli essenziali di assistenza per gli utenti del servizio sanitario.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. 13 settembre 2024, n. 7573 ha dichiarato l’illegittimità della revoca del provvedimento di aggiudicazione in caso di rifiuto a stipulare il contratto, in ragione del mutato quadro economico a causa del mancato accesso ai benefici fiscali, per colpa dell’inerzia della s.a. La revoca non sarebbe in linea con il principio del risultato, il rispetto del quale avrebbe piuttosto imposto la rinegoziazione delle condizioni contrattuali che si basavano sulle agevolazioni fiscali, in quanto il mancato accesso alle stesse ha reso eccessivamente onerosa per l’impresa l’esecuzione secondo le clausole originarie.
Il codice ammette le modifiche al contratto, senza una nuova procedura di affidamento, in una serie di casi, ma solo laddove queste non alterino “la struttura del contratto, e l’operazione economica sottesa” (art. 120, comma 1).
L’articolo 36 del decreto correttivo interviene sull’attuale formulazione dell’art. 120 con riguardo all’ipotesi sancita dalla lett. c), comma 1, delle varianti in corso d’opera, in un senso che appare maggiormente coerente con il principio del risultato. Le varianti sono “modifiche resesi necessarie in corso di esecuzione dell’appalto, per effetto di circostanze imprevedibili da parte della
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stazione appaltante.” Tra queste circostanze rientrano l’entrata in vigore di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti sopravvenuti di autorità o enti preposti alla tutela di interessi rilevanti. A tali cause ex. comma 1 lett. c) il nuovo comma 15- bis aggiungerebbe: b) gli eventi naturali straordinari e imprevedibili e i casi di forza maggiore che incidono sui beni oggetto dell’intervento, o i rinvenimenti imprevisti o non prevedibili con la dovuta diligenza nella fase di progettazione; c) le difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non prevedibili dalle parti.
Con il 15-ter si intende circoscrivere la nozione di variante rilevante, stabilendo che non costituiscono varianti ai sensi del comma 1, lettera c): a) la sopravvenuta possibilità di utilizzo di materiali, componenti o tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza incremento dei costi, significativi miglioramenti nella qualità dell’opera o di parte di essa, o riduzione dei tempi di ultimazione, a condizione che non alterino considerevolmente i contenuti progettuali; b) gli interventi imposti dal direttore del lavoro per la soluzione di questioni tecniche emerse nell’esecuzione dei lavori a condizione che non alterino considerevolmente i contenuti progettuali. Il comma 15-quater infine introduce un espresso richiamo al risultato, prescrivendo che “qualora in fase di esecuzione si verifichino errori od omissioni, l’individuazione della soluzione esecutiva deve essere tempestivamente individuata e coerente con il principio del risultato”.
Si interviene dunque per favorire: il superamento delle logiche più rigide anche nella fase che concretamente conduce al risultato, la manutenzione dei contratti pubblici in itinere, nonché una collaborazione proficua all’insegna dell’esatto adempimento. In particolare, la previsione di cui al nuovo comma 15-ter tende ad ampliare il novero delle modifiche ammissibili a fronte di nuovi elementi di fatto idonei alla rivalutazione del miglior modus procedendi.
Peraltro l’ottica del risultato sembra confermata anche dal fatto che sono sempre ammesse le modifiche correttive del progetto volte a migliorare il funzionamento dell’opera, ad assicurare un risparmio di spesa o a fornire soluzioni equivalenti.
Risulterebbe così ampliato il novero delle circostanze che rendono ammissibile l’intervento sul contenuto negoziale, allorquando la realizzazione del risultato voluto dalla s.a. sia ostacolata o ritardata da fattori esogeni e non ipotizzabili già nella fase di predisposizione del bando, nonché nel capitolato speciale.
L’eventuale illegittimità e distorsione dell’istituto è rimessa alla valutazione da parte dell’ANAC, con i conseguenti poteri sanzionatori ex. art. 222 del codice. Per la tutela dei terzi concorrenti che ritengano lesi i propri interessi legittimi rimangono fermi gli ordinari strumenti giurisdizionali.
Dalle ultime modifiche sembra trasparire che la rinegoziazione, nell’ottica del risultato, è lo strumento che consente la conservazione del contratto evitando la tutela esclusivamente demolitoria, la riedizione della gara, con conseguente duplicazione dei costi investiti nella procedura di evidenza pubblica.
Del resto, la giurisprudenza ha ammesso che, nonostante la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, questa rimanga ispirata soprattutto “alla cura in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta realizzazione proprio
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nella fase della realizzazione dell’opera o del servizio” (Cons. Stato, Ad. Plen. 2 aprile 2020, n. 2 par. 12). Si tratta di una declinazione del principio del risultato di cui all’art. 1, in quanto è interesse dell’amministrazione giungere comunque alla realizzazione dell’opera o all’acquisizione dei beni o dei servizi per i quali la stessa si è determinata a procedere con l’appalto e, di conseguenza, è apprezzabile eliminare quelle rigidità che, a fronte di una situazione imprevedibile, conducono necessariamente alla risoluzione anziché alla rimodulazione del contratto.
Un favor per il risultato nella fase di esecuzione è mostrato anche dall’articolo 40 del correttivo, che interviene su premi e penali, stabilendo l’obbligo per la stazione appaltante di prevedere – e non più la mera possibilità) – il riconoscimento di un premio di accelerazione per ogni giorno di anticipo, purché l’esecuzione dei lavori sia conforme alle obbligazioni assunte e siano garantite le condizioni di sicurezza a tutela dei lavoratori impiegati nell’esecuzione. Il premio può essere riconosciuto anche in caso di anticipo rispetto al termine legittimamente prorogato. Infine, il nuovo comma 2-bis estende la possibilità di prevedere il premio anche agli appalti di servizi e forniture.
Lo schema approvato dal CdM deve ancora ricevere i pareri del Consiglio di Stato, della Conferenza Unificata e delle Commissioni parlamentari, probabilmente non entrerà in vigore prima di dicembre inoltrato.
In conclusione, anche nella fase di esecuzione il Legislatore sembra imporre la prevalenza del risultato, favorendo l’utilizzo strategico degli istituti messi a disposizione alle stazioni appaltanti e agli operatori economici, anche in virtù dell’art. 4. Il risultato da raggiungere in questa fase non sembra inquadrarsi come risultato “giuridico”, il contratto, bensì si identifica con un risultato economico, un fatto, consistente nel realizzare l’opera nel tempo previsto e nel modo tecnicamente perfetto o prestare il servizio a sua volta nei tempi e con le modalità previste. Se nella fase di selezione il risultato dell’affidamento del contratto al miglior offerente non deve essere pregiudicato da formalismi imposti alla s.a., con il passaggio all’esecuzione occorre che gli svantaggi prodotti nelle more delle procedure non vanifichino l’individuazione del miglior contraente. A fronte dell’obbligo di esatto adempimento del contratto, l’operatore economico potrà avvalersi del diritto alla rinegoziazione sancito a monte dal principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale (art. 9, che fa espresso richiamo all’art. 120), che sembra essere posto proprio a salvaguardia del risultato. Infatti, anche se sotto il controllo della stazione appaltante, l’attività è di impresa e come tale necessita che l’equilibrio economico del contratto sia mantenuto anche al di là della normale alea di ogni operazione imprenditoriale, per assicurare, nei limiti consentiti, la vitalità di quell’impresa obbligata a produrre il risultato-utilità.