ANNA GIULIA MANFELLOTTO
23 novembre 2020
Con nota del 8 Ottobre del 2019, l’Autorità nazionale anticorruzione ha richiesto un parere al Consiglio di Stato in relazione alla esatta individuazione della normativa rilevante per la pubblicazione dei propri atti istituzionali.
Oggetto del parere, in particolare, è il documento contenente “Regole per la classificazione, redazione, massimazione e pubblicazione degli atti dell’Autorità”.
Nello specifico il paragrafo 4 delle Regole, rubricato “Pubblicazione degli atti”, stabilisce che, ferma restando la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana nei casi previsti da specifiche disposizioni di legge, tutte le deliberazioni adottate nello svolgimento delle funzioni sono pubblicate sul sito istituzionale, nell’apposita sezione denominata “Albo delle deliberazioni del Consiglio”.
Nella richiesta di parere l’Autorità ha evidenziato che le delibere e i provvedimenti che scaturiscono dalle proprie attività istituzionali non rientrano tra gli atti che essa ha l’obbligo di pubblicare ai sensi del D.Lgs. n. 33/2013.
Secondo l’Autorità, infatti, gli atti da essa adottati nell’esercizio delle proprie funzioni non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 12 del D.Lgs. n. 33/2013, ma piuttosto dell’articolo 7-bis, comma 3 dello medesimo decreto legislativo, il quale prevede la mera facoltà per le pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti ulteriori rispetto a quelli obbligatori per legge.
Gli atti che l’Autorità può adottare sono infatti molteplici:
- Gli atti ex art 13 ss. del D.Lgs. 33/2013 soggetti a pubblicazione obbligatoria nella sezione ‘Amministrazione trasparente’ del sito;
- Le direttive, i programmi, le istruzioni e le circolari ex art 12 del D.Lgs. 33/2013 in tema di disciplina dell’organizzazione, delle funzioni amministrative, dei procedimenti, degli obiettivi, e, infine, delle regole relative all’interpretazione;
- Gli atti a pubblicazione obbligatoria sulla Gazzetta Ufficiale, come ad esempio le linee guida;
- Gli altri atti normativi o a contenuto generale non espressamente disciplinati dal D.Lgs. n. 33/2013, ma a pubblicità obbligatoria (es. contratti o bandi);
- Gli atti eterogenei derivanti dallo svolgimento dei compiti di vigilanza e gli altri atti consultivi emessi dall’Autorità.
Un ulteriore dubbio interpretativo evidenziato dall’Autorità nella richiesta di parere riguarda il trattamento dei dati personali eventualmente presenti negli atti da pubblicare.
Il Consiglio di Stato a riguardo condivide le modalità individuate dal Garante per la protezione dei dati personali nel parere n.38 del 2020 in tema di salvaguardia della riservatezza dei terzi. Il Garante, sollecitato dal Consiglio di Stato, ha reso il proprio parere sulla questione, chiarendo la propria interpretazione della normativa di riferimento. Secondo il Garante, il Codice in materia di protezione dei dati personali (D.lgs. n. 196/2003) consente all’art 2-ter commi 1-3 la diffusione dei dati trattati solo se previsto da una legge o da un regolamento amministrativo.
L’art 5 par 1 lett. b-c del Regolamento generale sulla protezione dei dati n. 679 del 2016, consente l’utilizzo dei dati per finalità specifiche e impone che il trattamento dei dati sia adeguato e pertinente.
Infine le linee guida in materia di trasparenza del 2014 impongono un utilizzo minimo dei dati personali nei documenti pubblicati dalla pubblica amministrazione e consentono di diffondere solo quelli la cui presenza sia indispensabile.
In risposta al quesito il Consiglio di Stato ha affermato che dovrà essere l’Anac ad individuare di volta in volta lo specifico regime di pubblicità.
Il regime di pubblicità non è infatti unico, essendo presenti diverse regole a tutela della trasparenza, che variano in conseguenza della tipologia dei provvedimenti presi in considerazione.
Richiamando le Linee in materia di trasparenza, il Consiglio di Stato ha fatto inoltre riferimento alla delibera del Garante per la protezione dei dati personali n. 243/2014 sul trattamento dei dati personali diffusi sul web, per la quale bisognerà prima di tutto verificare se esiste un obbligo normativo di pubblicazione, dovendo poi selezionare quali dati personali pubblicare. Secondo quanto previsto dalla delibera, è necessario divulgare soltanto i dati personali necessari, eliminando il riferimento a quelli ulteriori. La diffusione deve avvenire nel rispetto di principi di pertinenza e non eccedenza.
Il Consiglio di Stato afferma che la base giuridica di riferimento per la diffusione online dei dati è il D.lgs. n. 33/2013, nella parte in cui disciplina gli ‘obblighi di pubblicazione in materia di trasparenza’.
Il parere qui analizzato prevede che l’Autorità dovrà qualificare di volta in volta gli atti relativi alle funzioni consultive e di vigilanza, non essendo questi riconducibili a una disciplina uniforme.
Con riferimento, invece, ai casi in cui l’art. 12, co.1 del d.lgs. 33/2013 non risulti applicabile, l’Autorità dovrà ‘’procedere alla indicazione in forma anonima dei dati personali presenti ‘’ secondo l’art 7-bis, co 3 del d.lgs. n. 33/2013. Rimane sempre possibile ‘’assumere misure che impediscano ai motori di ricerca generalisti di indicizzare i dati ed effettuare ricerche, dopo anni dall’adozione della deliberazione’’ in ossequio al principio di proporzionalità e minimizzazione dei dati (art. 5 par.1, lett. C, del Regolamento sulla protezione dei dati n.679 del 2016).
Il Consiglio di Stato ha ricordato che l’art. 3 del D.lgs. 33/2013 prevede la facoltà per l’Anac di disporre con delibera la pubblicazione riassuntiva dei dati, al fine di tutelare i dati personali, previa consultazione pubblica e sentito il Garante per la protezione dei dati personali.
Alla base del parere vi è la riflessione del Consiglio di Stato sul rapporto tra trasparenza, accesso e riservatezza. In relazione al dibattito circa la natura giuridica del diritto di accesso, l’Adunanza Plenaria n. 6 del 2006 attribuisce al diritto di accesso un carattere strumentale, in quanto consente ai titolari di ‘situazioni giuridicamente tutelate’ di esercitare poteri procedimentali volti alla salvaguardia dei propri diritti soggettivi e interessi legittimi.
La trasparenza è un principio fondamentale dell’attività amministrativa, infatti secondo l’art 1 della legge 241/1990 ‘’l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge, dalle disposizioni dei procedimenti e dai principi comunitari’’. Ai sensi della legge 241/1990 la trasparenza viene intesa quale diritto di accesso ai documenti amministrativi.
L’art.11 co. 1 del d.lgs. 150/2009 sancisce la pubblicazione integrale dei documenti contenenti le informazioni riguardanti l’organizzazione della pubblica amministrazione e l’impiego delle risorse economiche.
La Legge n. 190/2012 utilizzando il principio della trasparenza quale strumento di contrasto alla corruzione ne amplia l’ambito di operatività.
Il D.lgs. 33/2013, nell’ottica di un controllo democratico sull’attività pubblica, prevede sia l’accesso civico semplice, con l’obbligo di pubblicare dati sull’azione e l’organizzazione della PA sul web, sia quello generalizzato, a seguito della novella del D.lgs. 97/2016, che consente l’accesso a dati e documenti ulteriori rispetto a quelli già disponibili, senza obbligo di motivazione.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 20 del 2019 riconosce al D.lgs. 97/2016 il merito di aver disciplinato compiutamente l’obbligo di conoscenza delle informazioni e dei dati detenuti dalla PA, con la previsione di un regime generale di disponibilità dei documenti. Si ampliano così gli scopi perseguiti dalla trasparenza includendovi la tutela dei diritti dei cittadini e la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa.
Il diritto di accesso trova disciplina anche in ambito europeo: l’art 42 della Carta dei diritti fondamentali riconosce il diritto di accesso ai documenti detenuti dal Parlamento europeo, dalla Commissione europea e dal Consiglio europeo. L’art 15 TFUE pone alla base dell’attività dell’UE il principio di trasparenza, mentre l’art 10 della CEDU definisce quale interferenza al diritto di ricevere informazioni il diniego della richiesta di accesso ai documenti amministrativi.
La Corte di giustizia delle Comunità europee con la sent. 28 novembre 1995, Regno dei Paesi Bassi c. Consiglio dell’Unione Europea, C-58/94 ha stabilito che il diritto di accesso ai dati posseduti dalle autorità pubbliche è attualmente riconosciuto nelle costituzioni e orienta l’azione legislativa dei vari Stati membri. In ambito sovranazionale dunque il diritto di accesso è corollario dei diritti procedimentali dei cittadini in relazione a una buona amministrazione di cui all’art 41 della Carta di Nizza e costituisce inoltre un mezzo per realizzare la trasparenza nelle istituzioni europee.
Questo parere mette in evidenza le difficoltà che la riconducibilità degli atti a una specifica categoria può causare. Il Consiglio di Stato ha pertanto specificato le differenti regole da osservare a tutela della privacy. La divulgazione online degli atti da pubblicare obbligatoriamente secondo gli artt. 13 ss. del d.lgs. 33/2013. sarà accompagnata dalla previsione di rendere non intelligibili i dati non pertinenti o sensibili e giudiziari non indispensabili al perseguimento della trasparenza (art 7-bis, d.lgs. 33/2013).
Analogo trattamento dei dati si applicherà alle delibere e ai provvedimenti scaturenti dallo svolgimento delle funzioni di vigilanza e delle funzioni consultive, con la possibilità di pubblicare sul sito documenti ulteriori rispetto a quelli obbligatori. Infine gli atti pubblicati in Gazzetta Ufficiale e quelli a contenuto normativo generale saranno divulgati in forma integrale, non prevedendo particolari esigenze di riservatezza.
Tutte le restanti deliberazioni adottate dall’Anac nello svolgimento dei compiti istituzionali saranno pubblicate nell’apposita sezione del sito (art 33 Regolamento sul funzionamento dell’Autorità del 2019).
L’amministrazione si trova di volta in volta di fronte alla scelta circa il rispetto del principio di trasparenza, garantito anche a livello sovranazionale, e il diritto alla riservatezza, presidiato dalle norme in materia di Privacy e collegato ai diritti della personalità di cui all’art. 2 della Costituzione. L’obbligo per le amministrazioni è quello di garantire un equilibrio tra le garanzie di democraticità del sistema e i diritti della persona umana. Quindi l’Anac si trova a operare un bilanciamento tra i vari interessi: il diritto alla riservatezza assumerà maggiore o minore rilevanza a seconda che si voglia privilegiare o meno il principio di trasparenza dell’azione amministrativa.