MORETTI MARTINA
Maggio 25, 2018
L’istituto del precontenzioso è ad oggi disciplinato dall’art. 211 del d.lgs. n. 50/2016.
La disciplina vigente di tale strumento, ereditato dal Codice del 2006, è il frutto della L. 11/2016 che ha delegato al Governo, l’attuazione delle direttive UE 23/24/24 del 2014.
La prospettiva da raggiungere, indicata dalla legge delega era molto chiara e precisa: quella di «razionalizzare i metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale nella materia degli appalti pubblici», contribuendo così ad un recupero di efficienza nel settore, spinto dall’esigenza di europeizzazione, cercando in questo modo di creare un corpus normativo accentrato, autosufficiente, ma soprattutto semplificato, cercando di connettere da un lato l’operato, dell’Autorità di vigilanza del settore, ovvero l’ANAC, e dall’altro quello dell’autorità giudiziaria per i risvolti dell’eventuale litigiosità in sede di gara o di esecuzione del contratto.
L’intento del legislatore nazionale è stato quello di allargare il potere di vigilanza dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, dando una nuova configurazione al parere di precontenzioso, modificando in parte il contenuto del precedente e prevedendo la possibilità di presentazione di un’istanza, singola o congiunta, da parte dei soggetti interessati, con la facoltà degli istanti di vincolarsi aderendo alla decisione dell’ANAC.
Questo orientamento, non si potrebbe comprendere fino in fondo, tuttavia, se in primo luogo, non si tenesse conto del fatto che esso è espressione di una tendenza più generale, quella di accrescere i poteri complessivamente attribuiti all’Autorità, nella convinzione che questo sia il modo migliore per soddisfare l’interesse ad un corretto svolgimento della procedura di appalto, troppo spesso frustrata da una diffusa illegalità. È da considerare poi la necessità, ravvisata da più parti, di introdurre nell’ordinamento forme di tutela non giurisdizionale, preservando in tal modo la funzione giudiziaria.
La caratteristica peculiare è che il parere di precontenzioso è destinato ad operare nella fase di c.d. evidenza pubblica, riguardando controversie e questioni insorte nel corso della procedura di gara. Più precisamente, i pareri di precontenzioso sono espressi dall’Autorità, su richiesta dell’amministrazione o dei concorrenti su «questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara».
Rispetto alla previgente disciplina, nella quale, il parere insorto durante lo svolgimento della gara era dichiarato non vincolante, ora, il primo comma della disposizione, sancisce che i pareri sono emessi dopo 30 giorni dalla ricezione della richiesta da parte dei soggetti interessati, e prevede la vincolatività degli stessi per le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito, impugnabili in via giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo. È utile precisare che l’efficacia vincolante non può mai essere totalmente unilaterale, necessitando della convergenza almeno della stazione appaltante.
Il secondo comma, abrogato a seguito della L. n. 96/2017, è stato sostituito da tre nuovi commi, che consentono l’attivazione di poteri dell’Autorità qualora ritenga sussistente una violazione della disciplina dei contratti pubblici.
Appare significativo, come il Consiglio di Stato abbia sentito l’esigenza di specificare che l’istituto di precontenzioso, non è un processo ne può essere un nuovo grado di giudizio, affermando al contempo che l’ANAC svolge funzioni non lontane dalla giurisdizione. I fini perseguiti sono quelli di ottenere una deflazione del contenzioso e di favorire la cultura dell’alternativa all’accesso della giustizia statale. Decisivo in tal senso, il carattere spiccatamente volontario della disciplina. Tale carattere, comporta allo stesso tempo che, l’efficacia dell’istituto venga limitata alle sole parti che lo abbiano richiesto, non potendosi estendere ad altri soggetti terzi.
Per entrare nel merito della questione, è necessario premettere che il precontenzioso, così come delineato dal Codice degli appalti, contempla allo stesso tempo due istituti diversi e con funzioni altrettanto differenti, a seconda che l’istanza di parere sia formulata a meri fini interpretativi, ovvero soltanto dopo l’adozione di un provvedimento amministrativo potenzialmente impugnabile davanti al giudice amministrativo, dopo la decisione assunta dalle parti di investire l’ANAC nel caso in cui sorgesse una questione.
Il coinvolgimento dell’Autorità nel primo caso, fa connotare l’istituto come uno strumento di indirizzo dell’azione amministrativa, volto a risolvere dubbi interpretativi, nel corso della procedura di gara.
Nel caso invece in cui, il parere sia riferito a vizi di legittimità di un provvedimento amministrativo già adottato, la pronuncia dell’ANAC, tende ad avvicinarsi, dal punto di vista sostanziale e funzionale ad un giudizio, ad una decisione amministrativa. Il parere infatti, in questo caso mirerebbe a risolvere una controversia insorta tra le parti, non in via preventiva, ma su un provvedimento già emanato e a valle di un procedimento in contraddittorio.
In tale prospettiva si collocano i c.d. rimedi amministrativi, strumenti propriamente giustiziali, e caratterizzati dal fatto di essere volti a realizzare finalità di giustizia in forme contenziose.
In merito a ciò sembra delinearsi l’idea che l’istituto del precontenzioso, sia stato pensato, innanzitutto per investire l’Autorità di atti potenzialmente impugnabili davanti al giudice amministrativo, accentrando le eventuali controversie della contrattualistica pubblica in capo all’Autorità in funzione ausiliaria all’apparato giudiziario.
Quando l’istanza è congiunta e il parere ha ad oggetto la legittimità di un atto suscettibile di impugnazione, il parere potrebbe assurgere a vero e proprio mezzo di giustizia.
La decisione dell’Autorità nel caso in cui l’atto di gara risultasse illegittimo, comporterebbe soltanto un dovere, da parte della stazione appaltante di intervenire in autotutela, avvisando tutti i soggetti anche se non vincolati dall’atto dell’ANAC. L’Autorità decidente quindi, opererebbe con il solo onere di «dar conto delle soluzioni accolte in relazione alle questioni sollevate e in vista dell’interesse alla giusta realizzazione delle norme giuridiche e alla fissazione dei fatti secondo verità».
Anche se tale fine appare lodevole, sembra significativo ricordare come già nel 2007, in merito ai rimedi contro la violazione del diritto dei contratti ( in particolare il riferimento è alle c.d. soluzioni alternative introdotte dalla direttiva 2007/66), una parte della dottrina non mancò di evidenziare che l’attribuzione all’allora AVCP del ruolo di organo di ricorso, avrebbe potuto portare conseguenze discutibili, soprattutto in merito alla difficile coesistenza nell’ambito della stessa autorità di funzioni quasi – giudiziali e di altra natura, con paradossali rischi per la sua effettività.
Questo dato, può essere riscontrato in numerosi studi ed in particolare nell’analisi su un campione di pareri portato avanti da alcuni esperti.
Lo studio in esame ha analizzato un campione di 113 pareri pubblicati nel periodo intercorrente tra l’8 giugno 2016 e l’8 marzo 2017.
La dimostrazione empirica viene dal fatto che solo il 22% delle istanze sono state rivolte all’ANAC per fini interpretativi, prima di assumere determinati atti, mentre tutto il resto aveva ad oggetto atti impugnabili davanti al giudice. Forse allora, l’istituto previsto dall’art. 211, diventerà realmente efficiente solo se l’ANAC saprà essere nei suoi pareri, talmente autorevole da scoraggiare l’instaurazione di un contenzioso giurisdizionale.
L’Autorità ha, attraverso il Regolamento del 5 ottobre 2016, disciplinato il procedimento di richiesta del parere ed impugnazione. La legittimazione appartiene a tutte le parti coinvolte nella procedura, nonché ai soggetti esterni alla procedura ma portatori di interessi rilevanti per la stessa.
Questo può rappresentare ulteriore spunto di riflessione, dal momento che il legislatore ha accordato poteri di iniziativa processuale ad un’autorità amministrativa, attribuendole un interesse a ricorrere, normalmente attribuito al soggetto privato, senza in realtà trovare fondamento o riscontri precedenti nella prassi consolidata. Sembrerebbe in tal senso tornare indietro, alla considerazione del Consiglio di Stato nel parere al progetto di Codice, in merito al cassato comma 2 dell’art. 211.
Ma ora che tale previsione è stata abrogata, i tre nuovi commi introducono un sistema che sembra consentire l’attivazione di poteri officiosi da parte dell’Autorità al ricorrere di illegittimità nelle procedure. Più in particolare, comma 1 – bis, riconosce all’ANAC la legittimazione ad agire in giudizio, qualora ritenga sussistente una violazione della disciplina, attribuendole quindi tale facoltà sulla base di un interesse pubblico, paragonandola quasi ad un “pubblico ministero amministrativo”, il comma 1- ter prevede la redazione e la conseguente trasmissione alla stazione appaltante di un parere motivato limitatamente alle violazioni riscontrate, il comma 1- quater autorizza invece l’Autorità ad adottare un apposito regolamento per individuare i casi in cui esercitare i poteri previsti dai commi precedenti.
In conclusione, pur se presenti molti dubbi, in merito a numerose questioni, tra cui quelle sinteticamente elaborate, si può affermare che l’intento del legislatore sia stata concretizzato e la base creata sembra effettivamente preposta per quantomeno favorire la repressione e la prevenzione degli illeciti nel sistema degli appalti pubblici.