03/06/2024
A cura di Martina Bordi
La IV Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 1349/2024, si è pronunciata negativamente sull’appello della sentenza del Tar Lazio, Sezione V, n. 12165/2024, proposto da quattro associazioni ambientaliste, tra cui U.S.T. – Uniti per la Salvaguardia del Territorio.
La vicenda verteva sulla realizzazione di un impianto di termovalorizzazione di capacità di trattamento pari a 600.000 t/anno di rifiuti nel comune di Roma Capitale, nella zona di Santa Palomba.
L’impianto in questione è inserito nel complesso quadro del Piano di Gestione dei Rifiuti di Roma Capitale, approvato (a seguito della Vas) con ordinanza n. 7/2022 del Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo, nonché Sindaco di Roma Capitale, Roberto Gualtieri.
Ai sensi del d.l. n. 50/2022, “Gestione dei rifiuti a Roma e altre misure per il Giubileo della Chiesa cattolica per il 2025”, il Commissario Straordinario di Governo, limitatamente al periodo del relativo mandato e con riferimento al territorio di Roma Capitale, predispone e adotta il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale ed approva i progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti.
Una delle principali contestazioni sottoposte al Consiglio di Stato è la presunta violazione e falsa applicazione del principio della gerarchia dei rifiuti previsto dalla direttiva 2008/90/CE, recepita dall’ordinamento italiano dall’art. 179 d.lgs. n. 152/2006 T.U.A.
Il principio della gerarchia dei rifiuti, disposto dall’art. 4 della menzionata direttiva, pone al primo posto la prevenzione, al secondo il riutilizzo e il riciclaggio e al terzo, prima solo dello smaltimento in discarica, il ricorso al recupero tramite termovalorizzatori.
Secondo gli appellanti, il Piano dei Rifiuti di Roma Capitale non prevede il raggiungimento degli obiettivi minimi di recupero di materia stabiliti dalle direttive europee in tema di economia circolare, essendo esclusivamente volte al recupero di energia dai rifiuti attraverso la realizzazione dell’impianto di termovalorizzazione. In questo modo, verrebbe violata la c.d. scala gerarchica imposta dalla normativa europea.
I motivi di doglianza vengono rigettati sia dal Tar del Lazio che dal Consiglio di Stato.
Secondo i giudici, il principio della gerarchia dei rifiuti deve essere letto quale criterio direttivo generale del sistema di ciascuno Stato membro e non come parametro di legittimità puntuale di un singolo atto di pianificazione in materia di gestione di rifiuti.
Già la Corte di Giustizia Europea, nel 2019, con sentenza n. 305 ha disposto che il principio della gerarchia dei rifiuti, quale espressione dell’art. 4, non confligge con una normativa nazionale che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, purché la stessa normativa nazionale sia compatibile con le altre disposizioni della direttiva stessa che prevedano obblighi maggiormente puntuali.
Sulla base della giurisprudenza europea, il Tar Lazio nel 2020 si espresse in riferimento al principio della gerarchia dei rifiuti sostenendo che l’obiettivo predisposto dall’art. 4 della direttiva lasci comunque un margine di discrezionalità nella scelta della gestione dei rifiuti.
I giudici di Palazzo Spada, avvalorando la linea interpretativa del Tribunale di primo grado, non attribuiscono, pertanto, valore precettivo al principio in esame.
La gerarchia dei rifiuti deve essere attuata da ciascuno Stato membro secondo le esigenze nazionali che siano funzionali a generare maggiori benefici ambientali a livello nazionale. Nel caso di specie, secondo la Sezione, dotare Roma Capitale di un adeguato e autosufficiente sistema impiantistico rientra tra gli obiettivi della Direttiva stessa.
Inoltre, è da porre in evidenza che, i poteri relativi alla gestione dei rifiuti di Roma Capitale, raccordabili al solo territorio comunale di Roma, in capo al Commissario straordinario devono raccordarsi sia con il Piano regionale di gestione dei rifiuti e sia con il Programma nazionale, ed è in base al Piano nazionale che deve valutarsi la coerenza con i criteri della direttiva 2008/98/CE.
La quarta Sezione si sofferma in particolar modo sulla lettera d) dell’art. 4, c.d. “recupero di altro tipo”. Il recupero viene definito, ai sensi dell’art. 3, n. 15, della sopracitata Direttiva, come “qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione all’interno dell’impianto o nell’economia in generale. L’allegato II riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero”.
L’allegato II, tra le operazioni di recupero, contempla “Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (…)”; e precisa che “Gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a:….”.
È dunque, secondo il Consiglio di Stato, la stessa direttiva europea di riferimento a contemplare la possibilità dell’utilizzo di impianti di termovalorizzazione che rispondano a determinati parametri di efficienza energetica.
Nel caso in esame, la realizzazione dell’inceneritore rappresenta un intervento necessario proprio per dare attuazione al suddetto principio di gerarchia, riducendo il conferimento in discarica di rifiuti mediante il loro recupero come combustibile per la produzione di energia.
Non solo, aggiunge il Consiglio, si riduce l’impatto ambientale derivante dal trasporto dei rifiuti indifferenziati finalizzato al loro smaltimento in discarica ma riduce anche l’impatto ambientale derivante dal trasporto presso impianti di recupero o di smaltimento non presenti nell’area di Roma Capitale.
Ad avvalorare la lettura del Consiglio viene citata anche una comunicazione che la Commissione Ue ha inviato al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato nel 2017, nella quale si afferma che “i processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’Ue funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio”.
Nella specie, il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale si fa carico della necessità di “garantire che la pianificazione delle capacità di termovalorizzazione sia conforme e favorevole alla gerarchia dei rifiuti e tenga altresì conto del potenziale delle tecnologie nuove ed emergenti per il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti”.
In definitiva, secondo il Giudice, la scelta di realizzare nel territorio di Roma un impianto di termovalorizzazione non risulta in contrasto con l’esigenza di potenziare i livelli superiore della gerarchia dei rifiuti ma è da considerarsi come una scelta necessaria per chiudere il ciclo dei rifiuti della città di Roma Capitale. Non è da dimenticare, infatti, che l’Italia, nel passato, è stata ripetutamente condannata dalla Corte di giustizia proprio per la mancanza di una rete impiantistica di recupero e smaltimento adeguata, in termini di autosufficienza e prossimità.