Lavinia Zanghi Buffi
23 novembre 2020
Il Comune di Ortona (il “Comune”), nel dichiarato intento di affidare alla Eco.Lan S.p.A. (la “Eco.Lan”), società a capitale interamente pubblico e partecipata dal Comune per il 14,35%, il servizio di igiene urbana, si è attivato per farne una propria società in house, approvando, tra le altre cose, le modifiche allo statuto societario necessarie ad assicurare ai soci pubblici un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
Con ricorso presentato al T.A.R. Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, la Rieco S.p.A., operatore del settore, ha impugnato gli atti comunali.
Tra i vari motivi di doglianza, il ricorrente lamentava la violazione, da parte del Comune, del divieto posto dall’art. 11, comma 9, lett. d) del d.lgs. 175 del 2016 (“TUSP”) e relativo alla costituzione di organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società.
Per garantire agli enti partecipanti il controllo analogo sulla società, infatti, lo statuto della Eco.Lan era stato modificato prevedendo la costituzione di organi atipici, il Comitato unitario e i Comitati tecnici, deputati ad esprimere l’indirizzo dei soci pubblici nei confronti degli organi amministrativi della società.
Il Giudice di primo grado ha respinto il ricorso e la questione è giunta dunque all’attenzione del Consiglio di Stato.
Nel confermare la sentenza del T.A.R., il Giudice d’appello ha ritenuto che il divieto ex art. 11, comma 9, lett. d), del TUSP non trovi applicazione alle società in house, e questo sulla base di una molteplicità di ragioni.
Un primo motivo, per così dire “sistematico”, risiede nel fatto che il suddetto divieto è previsto in relazione alle società a controllo pubblico, disciplinate appunto dall’art. 11, e non è invece ripetuto nell’art. 16 dedicato proprio alle società in house, la cui disciplina appare pertanto, secondo il Collegio, «speciale e derogatoria».
Inoltre, se, da un lato, per le società a controllo pubblico, l’art. 2, comma 1, lett. m), del TUSP prevede che il controllo si eserciti nelle forme di cui all’art. 2359 del Codice Civile, le società in house sono sottoposte ad una particolare forma di controllo, il controllo analogo, che, nell’elaborazione della giurisprudenza europea e nazionale, consiste in una forma di «eterodirezione della società» in virtù della quale i poteri di governancenon appartengono agli organi amministrativi della società (come invece dovrebbe avvenire ai sensi del Codice Civile che, nell’ottica di garantire la separazione tra gestione dell’impresa sociale e proprietà della stessa, attribuisce agli amministratori una competenza gestoria generale), bensì al socio pubblico che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni.
Secondo il Consiglio di Stato, la possibilità che l’art. 16 comma 2, lett. a) del TUSP assegna agli statuti delle società in house di derogare alle disposizioni dell’art. 2380-bis del Codice Civile, relativo ai poteri degli amministratori nel sistema societario ordinario, e dell’art. 2409-nonies, che disciplina i medesimi poteri in caso di sistema dualistico, «va intesa quale deroga all’ordinario sistema di gestione della società per azioni incentrata sul rapporto tra consiglio di amministrazione/assemblea sociale».
Appare allora del tutto legittima la costituzione, in una società in house, di organi che, se pur non previsti e disciplinati dal Codice Civile, siano necessari a garantire al socio pubblico l’esercizio del controllo analogo, soprattutto quando tale controllo, come nel caso che qui si esamina, sia esercitato congiuntamente da più soggetti pubblici.
Nel caso di controllo congiunto, infatti, vi è l’esigenza di individuare una sede nella quale i diversi interessi pubblici perseguiti da ciascuno degli enti partecipanti possano trovare una sintesi e fondersi insieme nell’interesse comune perseguito dalla società. Tale sede, tuttavia, non può essere l’assemblea dei soci, per la prevalenza che i soci di maggioranza vi esercitano secondo le ordinarie regole deliberative e per la predominanza, nelle deliberazioni ivi assunte, dell’interesse al risultato economico della società.
Così impostata la questione, il Consiglio di Stato si discosta (senza che ciò però incida sulla valutazione relativa alla legittimità degli atti impugnati) dalla ricostruzione del T.A.R., secondo il quale i Comitati non si sarebbero dovuti considerare quali organi societari atipici, ma come articolazioni degli enti pubblici partecipanti in tutto e per tutto equiparabili ad uffici degli stessi. Al contrario, si specifica, i Comitati sono veri e propri organi della società, composti da rappresentanti degli enti locali partecipanti al capitale sociale, previsti dagli statuti societari e regolamentati da atti negoziali deliberati dalla società stessa, la cui legittimità risiede appunto nel regime speciale e derogatorio di cui le società in house beneficiano nel contesto del TUSP.